Revue Romane, Bind 23 (1988) 1Pieter De Meijer: La prosa narrativa moderna, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, Voi. Ili, Le forme del testo, tomo 2: La prosa, p. 759-847. 1984.Lene Waage Petersen Side 154
"La letteratura è
un fenomeno complesso. Per quanti sforzi si facciano, è
del tutto impossibile Side 155
s'avvia a conclusione. Tale pluralità di punti di vista e conseguentemente anche di approcci metodologici, ha portato a una impostazione dell'intera opera radicalmente differente da altre storie letterarie, con la loro progressione cronologica, e spesso unidimensionale del discorso critico-storico (quale per esempio la recente grande storia della letteratura danese, diretta da Fjord Jensen). Nel vastissimo materiale sono stati operati dei tagli trasversali che permettono approcci diversi, angoli visuali anche inusitati, discorsi e contesti nuovi. L'impresa editoriale di Asor Rosa ha il grande merito di rendere evidente, in un momento in cui fanno difetto le grandi sintesi di tipo estetico e storico, il vasto orizzonte di problemi inerenti la descrizione dei complessi rapporti tra letteratura testo e società. I due primi volumi // letterato e le istituzioni e Produzione e consumo hanno privilegiato problematiche concernenti la letteratura e il letterato nel loro essere fenomeni sociali. Con il terzo volume si arriva al cuore del problema, come scrive lo stesso Asor Rosa nell'introduzione, perché "il discorso sugli aspetti formali rappresenta in un certo senso la chiave di volta dell'intero sistema...", di un sistema, aggiungiamo, che vede nel testo il suo punto focale. "Il existe une historié des formes littéraires, comme de toutes les formes esthétiques et comme de toutes les techniques, du seul fait qu'à travers les âges ces formes durent et se modifient. Le malheur, ici encore, c'est que cette histoire, pour l'essentiel, reste à écrire, et il me semble que sa fondation serait une des tâches les plus urgentes aujourd'hui. "Così s'esprimeva Genette nel 1972 (Figures 111, p. 18). Con i due tomi del terzo volume della storia letteraria si è voluto dare un contributo a questa storia, per quanto riguarda la letteratura italiana. Prima di entrare nell'argomento specifico, che è la discussione del lungo saggio sulle forme della narrativa moderna, può essere utile - per vederne la collocazione - accennare alla struttura dell'intero volume sulla prosa, diviso in due grandi sezioni, una sulla prosa narrativa, "la finzione", e l'altra sulle funzioni della prosa, nei testi "fattuali". Nell'ultima sezione spicca il bel saggio di Maria Luisa Altieri Biagi sulle forme della comunicazione scientifica, mentre un altro articolo affronta un problema poco conosciuto, I libri di famiglia, genere come sembra esclusivamente italiano, e assai diffuso, in cui un nucleo familiare attraverso le generazioni si tramanda la propria "cronaca familiare". La parte sulla letteratura più propriamente detta è costituita da tre saggi: 1. La prosa narrativa antica (dal Novellino alla novellistica del Cinquecento, con al centro l'esperienza del Boccaccio), 2. il bel saggio di Asor Rosa su La narrativa del Seicento, e il già nominato articolo del critico olandese Pieter De Meijer sulla narrativa moderna: tre saggi che idealmente ricoprono l'intero arco temporale della letteratura italiana. Stupisce, sia detto tra parentesi, dover cercare invano una trattazione dell'epica. L'epica, spesso considerata allo stesso livello degli altri "grandi generi" quali la poesia, il teatro, la narrativa, sarebbe forse più correttamente da collocare accanto al romanzo, alla novella, come sottotipo di un più vasto genere /registro/ discorso narrativo. E certo comunque che per la descrizione di molte strutture epiche si sono rivelate utilissime le varie categorie narratologiche; ed è un peccato che i grandi poeti epici da Dante all'Ariosto, in questa rassegna delle forme narrative, non vengano considerati nella loro veste di narratori. De Meijer imposta il suo discorso sugli sviluppi della narrativa tra la fine del Settecento e la neoavanguardia intorno al 1965 facendo ricorso alle categorie narratologiche messe a punto dalla critica «trutturalistica e semiotica, in un tentativo originale di seguire, nell'evolversi delle singole forme, i mutamenti progressivi del sistema letterario. Il tentativo, ricco di suggestioni e di implicazioni teoriche, da dei risultati a mio avviso consistenti e convincenti per alcune della categorie, riuscendo anche ad aprire scorci nuovi, a rivalutare alcuni testi consi- Side 156
derati meno centrali, a tracciare delle linee assai stimolanti, qualche volta anche sorprendenti. Mi sembra però che la trattazione per le categorie proposte possa presentare dei problemi: alcune di esse si prestano a svolgimenti molto consistenti, come si è detto, mentre altre, o sono meno operative, o soffrono ancora per la mancanza di studi analitici che possano fornire il materiale per una sintesi. Sul piano concreto delle singole analisi rimangono, com'è naturale, ancora dei dubbi o interrogativi. Il saggio si articola sostanzialmente in due parti, sulla base della doppia struttura narrativa "narrazione vs storia". Prima di giungere ad esaminare le categorie in essa contenute, lo studioso esamina alcune scelte espressive che si presentano allo scrittore su un livello più alto del racconto. Si tratta delle opposizioni prosa vs poesia, lingua vs dialetto; scelte-comesi vede - di precisa rilevanza soprattutto per la narrativa italiana. Vorrei fare alcuni commenti alla prima opposizione che ritorna ad essere discussa più avanti, nel paragrafo sulla forma breve del narrare. De Meijer solleva la nota discussione sulla retoricità della prosa italiana, la sua tendenza a una costrizione e condensazione sul piano linguistico-stilistico, e cita l'affermazione, molto valida mi sembra, di Debenedetti sull'opposizione esistente in un preciso momento tra la forma del frammento e la prosa d'arte da una parte, e i tentativi di sviluppo di una narrativa di ampio respiro dall'altra. È una questione importante, ma mi sembra che il discorso andrebbe impostato in modo più preciso sulle differenze tra lirica e narrativa e non tra prosa e poesia, basandosi non solo sul livello linguistico, ma anche sulla situazione fondamentalmente diversa dell'enunziazione della narrativa rispetto alla lirica e sul principio di una strutturazione diversa, posta al centro del genere, definibile come universo narrato vs tema enunciato. Stimolanti i commenti sull'opposizione oralità vs tradizione scritta, anche se ancora non esiste materiale per una sintesi. Si intravedono, per una linea di ricerca di oralità, alcuni capisaldi, Verga, naturalmente, Silone, i neorealisti, e Calvino per le fiabe. Si potrebbero forse aggiungere alcune esperienze degli anni settanti, femministe o meno, in cui s'esprime una rinnovata tendenza a raccontarsi le proprie esperienze, evitando, per motivi ideologici, la tradizione scritta; e anche, più interessante sul piano letterario, la ricerca dell'ultimo Balestrini di una oralità ispirata ai cantari. La parte sulla narrazione costituisce a mio avviso il nucleo centrale e veramente riuscito del saggio, anche perché la storia della critica ormai è ricca di studi sull'istanza narrativa che liâiiiîù ùffciiu alio sluûiuMj olandese n materiale necessario per una sistematizzazione slorica, il che non sembra ancora possibile per altre categorie. Sono così raggiunti i due obbiettivi fondamentali di una descrizione delle forme del testo'. 1. tracciare la storia di una forma attraverso il susseguirsi dei testi.e 2. cogliere le relazioni di tale storia con momenti precisi della storia in senso più largo. Il secondo obbiettivo viene raggiunto tramite il concetto di "garanzia della narrabilità", con cui il critico riesce a tradurre le forme della narrazione in visioni del mondo storicamente collocabili. La trattazione risulta, a mio parere, feconda, non solo per il ricco materiale di precedenti analisi confluitovi, ma anche per il ricorso, non sempre esplicito, a una combinazione di categorie che contribuisce ad irrobustire il discorso: il problema del narratore, quello del punto di vista o prospettiva, con la delimitazione del campo visivo e delle caratteristiche di chi narra e di chi quarda, contribuiscono, insieme alla fondamentale questione sulla narrabilità del mondo, ad inserire il discorso sulle forme in un contesto storico. Vorrei sottolineare la complessità della trattazione in questa parte del saggio, portando l'attenzione anche al modo in cui il De Meijer delimita il campo rispetto alle esperienze settecentesche: "Perché nascesse una prosa narrativa più moderna, ci volevano le Side 157
modalità discorsive ispirate alla prosa del mondo, ma anche la narrazione condotta da un individuo inteso a evocare una sua esperienza unica, soggettiva" (p. 796), detto delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, con cui viene fatto incominciare il romanzo moderno. Come si vede, il genere "romanzo moderno" viene delimitato in una prospettiva storica tramite una concomitanza di elementi tratti dal livello del discorso, dall'istanza narrativa ma anche dalla storia, dall'universo raccontato. Ciò corrisponde, mi sembra, alla nota definizione di genere, data da Maria Corti: "il luogo dove un'opera entra in una complessa rete di relazioni con altre opere" - e più avanti: "... il rapporto fra l'organizzazione tematica e il piano formale, senza di che non vi è genere" (M. Corti: Principi di comunicazione letteraria, 1976, p. 156-57). È chiaro che il romanzo ed eventuali sotto-generi sono difficili da afferrare come tipi; tuttavia potrebbe essere fruttuoso cercare di circoscrivere alcuni sottotipi, nel corso dell'evoluzione del romanzo detto moderno. De Meijer divide la storia delle istanze narrativa in due grandi momenti: la narrativa octroyée (con mediazione esplicita e superiore), e la narrativa liberata, in cui la narrazione si "libera" di una mediazione superiore esplicita, mentre, come sottolinea il De Meijer, la facoltà di guardare dentro ai personaggi non viene negata al narratore. I due tipi fondamentali della prima fase sono Le Ultime lettere di Jacopo Ortis e / promessi sposi, modelli per la narrativa dell'Ottocento fino alla seconda fase che inizia con la poetica verista, a parte un'esperienza destinata ad rimanere isolata come il romanzo del Tommaseo Fede e bellezza. Per la seconda fase soprattutto, il campo di analisi è suddiviso nelle forme di narrazione impersonale da un lato, e le forme a cui fa capo un io-narrante dall'altro. Molto rilevante
per il cambiamento dalla prima alla seconda fase mi
sembra l'osservazione Lo sviluppo centrale di ambedue le istanze narrative viene descritto, e giustamente mi sembra, come una progressiva degradazione del punto di vista, dalla superiorità garante della narrabilità, fino ai vari punti di vista parziali, ristretti, "inetti"; l'attenzione è attirata, per es. sui molti esempi di punti da vista di bambini o di adolescenti prensenti nella letteratura italiana. Molte sono le osservazioni interessanti: sui Cento anni di Rovani in cui viene visto "il passaggio dalla modalità del discorso storiografico al discorso del cronista moderno del giornalista." (p. 800) o sui Viceré, "forse l'opera più sottovalutata della prosa narrativa italiana". La seconda fase copre un arco di tempo relativamente vasto, da Verga a Sanguineti, e dopo l'affermarsi del romanzo novecentesco con Svevo soprattutto, si avverte la mancanza di tentativi da parte dello critico di circoscrivere altri momenti precisi dello sviluppo del romanzo. La seconda parte del saggio si orienta verso la descrizione delle forme che agiscono sul livello della storia, non più narrazione dunque, ma universo narrato. Si tratta della ricerca, progetto molto ambizioso, di una tipologia delle storie. Qui l'impresa si fa ancora più ardua, come rileva lo stesso critico, facendo sue le parole di Chatman: "non siamo ancora pronti per un assalto consistente al problema della macrostruttura e della tipologia dell'intreccio" (p. 821). Anche se la narratologia ha privilegiato negli ultimi vent'anni gli studi sugli elementi della storia: teoria attanziale, sequenze narrative, funzioni ecc, ciò ha portato a risultati consistenti soprattutto per quanto riguarda generi ben circoscritti, come le fiabe o il romanzo d'appendice I lavori più ricchi rii implicazioni per questa ricerca rimangono, secondo il De Meijer La teoria del romanzo di Lukács, per le individuazioni fondamentali dell'incontro tra anima e mondo, e le ricerce di Bachtin intorno ai cronotopi (categoria in cui confluiscono le nozioni fondamentali di spazio e tempo); i cronotopi sono i "luoghi letterari" dei percorsi Side 158
dell'eroe, quali
la strada, il salotto, la città... L'approccio del Di Meijer prende spunto dall'affermazione di una tensione fondamentale tra elementi fiabeschi o romanzeschi - chiamati con un termine poco felice "finzione", e la tendenza alla verosimiglianza, privilegiando troppo, mi sembra, la seconda direttiva, come è d'usanza nella tradizione critica italiana, così da far scomparire quasi del tutto la linea surrealista-fantastica, Pirandello - Landolfi - Savinio - Buzzati - e, anche se in modo diverso. Caivino; mentre lo studioso si augura invece ricerche più dettagliate sulla persistenza del fiabesco e del romanzesco nella narrativa tesa verso la verosimiglianza. La descrizione dell'ambientazione verosimile si articola in tre sezioni, spazio, tempo e ambienti sociali (si vede come le categorie fondamentali di spazio e tempo sono collocate all'interno della seconda direttiva, quella della verosimiglianza, relegando in ombra la linea "di finzione", anche se si parla dello "spazio astratto"). Nella trattazione della categoria spazio vorrei attirare l'attenzione su un'osservazione divertente e ricca di implicazioni; rileva il De Meijer prendendo spunto dagli studi di Bachtin sui movimenti dell'eroe nello spazio, come il protagonista delle storie italiane preferisca muoversi entro lo spazio nazionale ! Pochi i viaggi esotici, rispetto per es. alla letteratura francese. Quanto più randagi sono stati gli eroi della grande epica in uno spazio che equivaleva al mondo conosciuto ! Possiamo aggiungere che il discorso subisce, sembra, un cambiamento nella letteratura più recente: in Calvino, in Tabucchi o in De Carlo, sono molti e significativi gli spostamenti internazionali dei personaggi. (Ira parentesi si può deplorare che la storia descritta dal De Meijer in sostanza si fermi agli anni Sessanta, con Sanguineti.) I viaggi nel tempo sembrano aver attirato meno l'interesse dello studioso. La descrizione di questa categoria rischia a mio avviso di avvicinarsi più a un catalogo di esempi che non a una vera prospettiva di ordine storico. Mi pare un difetto del modello assunto per la descrizione di non essere in grado di cogliere in un insieme la grande importanza del tempo nel romanzo del Novecento, sul piano della narrazione (dove è menzionato nel commento al "roman-mémoires", ma andrebbe seguito anche nel confronto tra tempo della narrazione e tempo narrato), e sul piano tematico, in rapporto ai significati della memoria, in Svevo, in Pavese, in Buzzati per citare alcuni esempi. In conclusione vorrei rilevare che soprattutto la trattazione della narrazione rischia di privilegiare troppo una linea sperimentale. Manca, per es., ogni riferimento, alle opere di Elsa Morante, die put picscuíaiiu, uìtic al luru innegabile vaiore leuerario in generaie, forme interessantissime di narratori-autoriali o protagonisti-narratori, tematicamente significanti nella visione del mondo della scrittrice. Forse non è
compatibile con l'impostazione scelta dal critico, ma si
avverte, a mio avviso, Il saggio di De
Meijer rappresenta in ogni modo un tentativo ammirevole
di sintesi, il primo Copenaghen
|