Revue Romane, Bind 23 (1988) 1Roberto Brunicardi: Dante pà dansk. Et praktisk eksempel pâ anvendelse af en moderne oversœttelseskritisk metode. Studier fra Sprog-og Oldtidsforskning, Muséum Tusculanums Forlag. København, 1987. 89 p.Gunver Skytte Side 145
Della Divina
Commedia di Dante Alighieri esistono due traduzioni in
danese: quella di Chr. Side 146
Roberto Brunicaidi, in questo libro, che è una rielaborazione della sua tesi di laurea, si propone di esaminare e confrontare le due versioni dantesche, tra di loro e rispetto all'originale italiano. La tesi di Brunicardi è che il lavoro di Molbech non sia una mera traduzione, bensì una versione libera, poetica (mantiene la terza rima, e lo stile porta l'impronta del Romanticismo danese), mentre quello di Hee Andersen, metrico, ma senza rima, mirando a portare il lettore verso l'opera originale, e verso la lingua di partenza (Lj), sarebbe una traduzione. Brunicardi considera costantemente la differenza cronologica tra i due lavori, sia per quanto riguarda la norma linguistica sia per il pubblico che all'epoca di Molbech era costituito da un'elite letteraria, mentre la traduzione di Hee Andersen si rivolge a un pubblico più largo. L'analisi vera e propria è preceduta da una breve rassegna di brani significativi della letteratura critica intorno alle due traduzioni, documentazione assai interessante, perché, oltre a testimoniare della fortuna delle due traduzioni in questione, da anche una impressione, sia pure modesta, della critica delle traduzioni in genere in Danimarca. Brunicardi, per ragioni ben comprensibili, ha limitato la sua analisi ali'lnferno. I risultati di questa analisi, che, basandosi su una lettura minuziosa dell'originale e delle due versioni danesi, tiene conto sia del lato letterario che del lato linguistico, sono esposti in tre capitoli separati che trattano rispettivamente l'aspetto metrico, l'aspetto stilistico e l'aspetto semantico. Nell'analisi di Roberto Brunicardi sarebbero da rilevare molti dettagli ricchi di suggestioni. P. es., p. 44-45, gli schemi che rappresentano in modo graduato l'effetto drammatizzante delle diverse traduzioni del verbo dire e del verbo gridare (Brunicardi parla addirittura di "altezza del suono"), da cui risulta evidente una maggiore tendenza a servirsi di effetti drammatizzanti nella versione molbechiana che non in quella di Hee Andersen. Sono molto belle le pagine (p. 5 3-59) che trattano la metafora delle descrizioni della natura. Mentre Hee Andersen tende a diminuire o semplificare l'uso della metafora, l'animazione della natura nello stile romantico di Molbech sorpassa quella dell'opera originale. Interessanti sono le osservazioni sull'uso delle espressioni ridondanti, trattato p. 62-65. La rima, tra l'altro, costringe Molbech a un uso esteso di ridondanza: nel canto IV dell'lnferno, p. es., la versione di Molbech conta 154 versi, contro i 151 versi dell'originale. La lettura
dantesca di Roberto Brunicardi testimonia di un'alta
sensibilità per le sfumature Nella conclusione, Brunicardi rileva l'alta qualità di tutt'e due le versioni, benché essa sia basata su pregi assai differenti nei due casi. Perciò è anche impossibile, secondo Brunicardi, decidere in modo assoluto quale sia la versione migliore. La discussione su questo punto diventa così un interessante contributo al dibattito generale intorno ai due concetti di fedeltà e di equivalenza delle traduzioni. Dalla traduzione di Hee Andersen è già passato un quarto secolo: Roberto Brunicardi fa presente che, considerata la rapidità del cambiamento della norma linguistica, sarebbe ormai desiderabile una nuova versione in danese dell'opera dantesca. Ci auguriamo che ci sia presto la possibilità di realizzare tale impresa. Copenaghen
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