Revue Romane, Bind 32 (1997) 1

Gabriele Bersani Berselli: Riferimento ed interpretaziune nominale. Referenti testuali tra semantica e pragmatica. Materiali Linguistici 15, Università di Pavia. Milano, FrancoAngeli, 1995. 238 p.

Iørn Korzen

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Il volume di Gabriele Bersani Berselli è una rielaborazione della sua tesi per il dottorato, conseguito nel 1994 sotto la guida di Maria-Elisabeth Conte. Il libro si propone (p. 12) un triplice obiettivo: 1) presentare i diversi modelli di semantica nominale secondo le strategie «quantificazionalista» e «referenzialista»; 2) esplicitare le conseguenze più rilevanti di una scelta dell'uno o dell'altro approccio sul piano generale della costituzione delle teorie linguistiche; 3) valutare la capacità esplicativa delle due alternative rispetto ad alcuni fenomeni di ambiguità (le cosiddette «scope ambiguities») ed ai fenomeni di ripresa anaforica.

I due approcci interpretativi sono descritti preliminarmente nel capitolo introduttivo(p.
7-14). Secondo l'approccio quantificazionalista, una frase come Un uomo

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bussò alla porta viene interpretata con la formula 3x[uomo(x) A bussò-alla-porta(x)],parafrasabile come: «esiste un'entità dell'universo del discorso che è un uomo e che bussò alla porta». Che il parlante intenda riferirsi ad un individuo particolare del mondo o no rimane un fattore secondario.

Invece secondo l'approccio referenzialista la funzione primaria di un sintagma nominale come un uomo della frase citata è quella di selezionare - «riferirsi a» - un individuo particolare, che resta poi disponibile per eventuali riprese anaforiche nel seguito del discorso.

Oltre al capitolo introduttivo ed a quello conclusivo (p. 223-228) il libro si articola in tre capitoli pincipali. Il cap. 1 (p. 15-94) parte dal contrasto fra le teorie semantiche di Russell e di Strawson per delineare la «base» dell'approccio rispettivamente quantificazionalista e referenzialista. Quanto a quest'ultimo viene data - giustamente - molta enfasi all'importante distinzione di Donnellan tra sintagmi referenziali, con i quali il parlante ha intenzione di riferirsi ad un individuo particolare, e sintagmi non referenziali, o attributivi, con i quali il parlante non ha intenzione di riferirsi ad un'entità extralinguistica particolare, ma piuttosto di parlare di qualsiasi entità che soddisfi la descrizione espressa nel sintagma.

Un sottocapitolo particolare (1.3.1) tratta poi più approfonditamente - e convincentemente - le nozioni di individuazione/identificazione (che vengono considerate come sinonime) e le possibilità di referenza nei casi in cui parlante e/o interlocutore non conoscano l'identità dell'individuo identificato. Nello stesso paragrafo viene criticato Donnellan per la sua distinzione, secondo l'autore (p. 42) troppo rigida, tra usi referenziali ed usi attributivi dei SN. Altri sottocapitoli (1.5.1-1.5.5) dedicano invece, piuttosto velocemente, all'analisi generativista, alla semantica formale di Montague, ai referential indices di McCawley, ai discourse referents di Karttunen e alla teoria pragmatica e localista di Hawkins.

Nel cap. 2, intitolato «II confronto empirico» (p. 95-154), le interpretazioni quantificazionale e referenziale vengono applicate ad una serie di costruzioni, più o meno «classiche» nella letteratura linguistica, in cui l'interpretazione di un SN può essere incerta. Si tratta di sintagmi indefiniti in frasi negative, di sintagmi quantificati (per es. tutti gli N, molti N, qualche N) e di SN in frasi in cui è presente un modificatore avverbiale (per es. sempre, mai, qualche volta, dovunque, in nessun luogo) oppure un verbo il cui significato gioca un ruolo particolare per la lettura del SN: un verbo modale, un verbo «intensionale» (che esprime l'atteggiamento del soggetto rispetto alla proposizione espressa, per es. sapere, credere), o un verbum dicendi (per es. dire, negare).

Tali casi favoriscono, conclude l'autore (cfr. soprattutto p. 95-99), l'approccio quantificazionalista, dato che questo riporta ad un unico meccanismo l'interpretazionedel SN nelle varie situazioni ambigue. Per esempio un SN indefinito in una frase con negazione può essere interpretato o come «un N ... non ...» o come «nessun N...», eunSN indefinito in una frase con un sintagma quantificato come tutti gli N¡ può essere interpretato o singolarmente «c'è un N che per tutti gli N,...» o distributivamente«per tutti gli N, c'è un N che ...». Símilmente, in contesti intensionali o modali la lettura specifica e la lettura non specifica di un SN, ossia la lettura de re vs.

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la lettura de dicto, possono essere parafrasate, con la nozione di mondi possibili di
Kripke, rispettivamente «c'è un N che per tutti i mondi possibili rilevanti...» e «per
tutti i mondi possibili rilevanti c'è un N che ...».

La scelta tra le due letture dipende dall'interpretazione dello scope, ossia del «campo d'azione», del sintagma nominale in questione rispetto a quello della negazione, del quantifìcatore, del modificatore avverbiale o del verbo modale/intensionale/ dicendi della frase.

Invece per tali casi l'approccio referenzialista dice soltanto che in certi co-testi un
SN può essere interpretato referenzialmente e in altri no.

Nel cap. 3, intitolato «Referenti testuali ed anafora» (p. 155-221), vengono trattati le relazioni anaforiche e l'apparente vantaggio dell'analisi referenziale, secondo la quale un referente individuato può servire per eventuali riprese anaforiche nel seguito del discorso. Basandosi fra l'altro sui saggi di Chastain, di Karttunen e di Conte, lo studio di Berselli ha qui due grandi meriti: non solo di sistemare i diversi meccanismi di ripresa linguistica (sintattica, semantica e pragmatica) (p. 157-159), incluso il cosiddetto pronome dipigrizia (p. 175-176), ma anche di correggere l'errore, purtroppo insistentemente ripetuto nella letteratura linguistica italiana, che la scelta tra il lo e il ne anaforici dipenda dalla specificità dell'antecedente. Berselli cita qui (,p. 188-189) esempi illustrativi del ne come:

(1)


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(2)


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(3)


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che dimostrano chiaramente come la specificità di antecedente e di anafora siano
assolutamente indipendenti l'una dall'altra.

La scelta tra lo e ne non viene ulteriormente approfondita, a parte un brevissimo accenno che specifica il riferimento del ne (che l'autore a p. 188, seguendo una terminologia di Bonomi, denomina pronominalizzazione «debole», a differenza del lo che sarebbe pronominalizzazione «forte») «alla stessa proprietà, piuttosto che allo stesso individuo, che caratterizza l'antecedente» (p. 189). Posso senz'altro condividere tale opinione: in Korzen (1994) e (1996) ho proposto il termine pronome concettuale (o intensionale) per tali casi di ne, fornendo quindi un'interpretazione semantica parallela a quella di Berselli.

Generalmente la realizzazione e l'interpretazione dei pronomi anaforici dipendono, oltre che dall'antecedente, dal co-testo, un fatto cui Berselli accenna (a p. 224 del capitolo conclusivo) anche se solo in relazione alle possibilità di riprendere anaforicamente un antecedente non specifico, come in casi del tipo:

(4) Marionon ha un 'auto. Se /'avesse, me la presterebbe sicuramente

dove ha particolare importanza la presupposizione esistenziale espressa identicamente nel co-testo di antecedente e di anafora. Stranamente la stessa conclusione non viene applicata a p. 216, dove l'autore sostiene che ««un cane» in Mario non ha un cane non è referenziale, non consente riprese anaforiche:

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(5) *Mario lo porta tutti i giorni al parco».

Tali apparenti contraddizioni provocano una sensazione a volte un poco caleidoscopica del libro, sensazione su cui tornerò in seguito. Sembra strano anche che Berselli, nella stessa pagina in cui punta sull'importanza del co-testo in relazione alla presupposizione esistenziale (p. 224), possa affermare che «i referenti stabili non soffrono [in merito alla possibilità di ripresa al di fuori di un certo dominio] di limitazioni di sorta», dato che, viceversa, tali referenti non sono riprendibili in cotesti con (ossia nel dominio di) un operatore che escluda o metta in dubbio la loro esistenza, per esempio:

(6) Mario possiede un'auto. *Se /'avesse, me la presterebbe sicuramente.

Berselli ha però interamente ragione quando (p. 178) conclude che «l'interpretazione di un pronome è intrinsecamente dipendente, mentre quella di un sintagma nominale referenziale non lo è. Non esiste alcuna relazione necessaria tra antecedente e pronome che fissi, una volta per tutte, l'interpretazione del secondo». Ciò vale anche per es. per sua in Ogni uomo ama sua madre (p. 174), il cui significato è del tutto dipendente da quello di ogni uomo, espressione non necessariamente referenziale.

Esempi di questo tipo servono a Berselli per mettere ulteriormente «in difficoltà» l'approccio referenzialista per quanto riguarda le riprese anaforiche: «non è possibile interpretare referenzialmente - come termine singolare - un pronome, perché non è possibile, né necessario, in via generale, interpretare referenzialmente l'antecedente». Anche qui sono pienamente d'accordo (cfr. Korzen op.cit.): vedo unicamente nei pronomi anaforici (e cataforici) un rinvio endoforico all'antecedente (rispettivamente al SN seguente). Sono anche d'accordo che «I fatti di pronominalizzazione sembrano, così, sostenere [...] un approccio strutturale piuttosto che referenziale» (p. 225): infatti direi più generalmente che tutti i SN in funzione sintattica «sostantivale», cioè come soggetto, oggetto o complemento di un sintagma preposizionale, tranne certi casi di SN senza determinante, hanno la possibilità potenziale di fungere da antecedente; il co-testo è poi determinante per l'effettiva realizzazione di un'espressione anaforica e la posizione nella gerarchia topicale del testo è determinante per la forma di essa (cfr. Korzen 1996: par. 2.1.4 e 4.3.2) e Korzen (in stampa).

La conclusione generale di Berselli è dunque che «la natura intrinsecamente quantificazionale dei sintagmi nominali, analizzati conseguentemente nella forma di operatori che vincolano posizioni all'interno di un loro dominio locale» (p. 225) riesce meglio di un approccio referenzialista a spiegare vari aspetti della semantica nominale. L'eventuale legame tra espressione linguistica ed entità extralinguistica va poi analizzato su altri piani o in altre teorie linguistiche. L'autore deve ammettere che il modello quantificazionale non riesce a spiegare tutti i problemi per es. connessi allo scope, ma «l'esistenza di un residuo empirico resistente non è, in quanto tale, un evento drammatico» {ivi).

Berselli ha strutturato il suo libro come una sorta di «recensione», spesso dura e critica, di studi linguistici degli ultimi trent'anni e la sua familiarità con i vari studiosi e con le varie «scuole» è impressionante e convincente. Il suo libro ci introduce in poche pagine ad una lunga serie di teorie e di problematiche linguistiche e ci «risparmia»dunque

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mia»dunqueuna lettura molto più lunga e (ancora) più faticosa. L'attenzione s'incentra prevalentemente sugli anni '70, decennio maggiormente documentato quanto alle opere citate; numericamente gli studi citati si distribuiscono, rispetto all'anno della (prima) pubblicazione, come segue: prima del 1950: 10; anni '50: 5; anni '60:44; anni '70: 95; anni '80:65; anni '90: 13.

Tale scelta significa però che per esempio la pragmalinguistica e l'approccio funzionale/cognitivo degli ultimi anni '80 e degli anni '90 sono pressoché assenti e con ciò anche tra l'altro lo sviluppo della nozione di modello mentale (anche se qualche volta, per es. a p. 209-210, vengono fatte brevi e sommarie menzioni alle «rappresentazioni mentali»). Tale nozione riduce infatti - in accordo, si può dire, con la linea di Berselli - l'importanza del legame diretto tra lingua e mondo, almeno per quanto riguarda la struttura linguistica e la formazione del testo. Grosso modo Berselli si limita anche al livello di frase è non fa menzione dell'interesse recente per la grammatica testuale, la quale approfondisce particolarmente per esempio le relazioni anaforiche e la nozione di topic.

Più specificamente può sorprendere che un linguista come Lorenzo Renzi, che si è occupato tanto della nozione di referenza, non appaia nella lunga lista di studiosi (oltre che per il suo saggio del 1976 sulla storia dell'articolo italiano). L'uso da parte di Renzi, e di altri linguisti, del termine referenza (cfr. per es. Renzi 1985: pp. 274, 283-284) è interessante da un punto di vista definitorio perché è talmente generale da coprire praticamente la nozione di denotazione, nozione spesso legata all'analisi semantica del lessema nominale.

Infatti, da un libro così meticoloso (di 238 pagine fitte) e con un titolo tanto generico come Riferimento ed interpretazione nominale, ci si potrebbe aspettare una discussione critica circa l'uso stesso del termine riferimento, e quanto al termine nominale sarebbe forse opportuna una precisazione della relazione e differenza tra lessema e sintagma. Di solito il termine riferimento viene usato in senso più lato di referenza, ma (soltanto) a p. 194 si ha la seguente definizione, piuttosto stretta, di riferimento: «l'atto linguistico compiuto da un parlante che usando una certa espressione intende rifersi ad un particolare oggetto». Riferimento è dunque un atto linguistico alla Searle, legato al SN, ma il libro tace su come «nasca» il contenuto semantico (e con ciò la possibilità referenziale) del SN e sul ruolo del lessema-testa a questo riguardo. A p. 168-169 c'è una brevissima discussione della distinzione tra denotazione e riferimento, però sempre in relazione al sintagma nominale e non al lessema nominale.

Trattandosi di una «recensione» di saggi ed approcci linguistici, per quanto certamentecentrali ed importanti, il libro di Berselli si limita agli stessi ambiti di tali saggi e approcci e non menziona altri casi interessanti (e problematici) di interpretazione nominale, troppo generalmente ignorati dalla linguistica italiana, come per esempio i sintagmi nominali senza determinante (es. Ho bevuto vino; Ho sbagliato porta; Ho cambiato scuola) o i sintagmi nominali in posizione diversa da soggetto e oggetto. Per esempio, in riferimento al complemento predicativo si indica soltanto (p. 72) che il SN un linguista della frase Noam è un linguista non instaura un referente e non è, quindi, referenziale - opinione del tutto condivisibile, ma non si offre alcuna analisi

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o definizione «positiva» della funzione pragmatica/testuale del SN predicativo. (Per inciso si potrebbe aggiungere che neanche l'approccio quantificazionalista sembra qui molto opportuno). Il mancato trattamento dei SN senza determinante porta l'autore alla conclusione certamente discutibile che «nel caso delle [riprese deboli, cioè con il ne come in (l)- sopra] una relazione di coreferenza tra antecedente e pronome non è pertinente» (p. 190). Per come il termine coreferenza viene usato da Berselli (e da moltissimi altri linguisti) direi invece che si tratti proprio di questo nei frequentissimi casi del tipo:

(7) Luca ha bevuto vino ieri sera. Anch'io ne ho bevuto.

Bisogna anche dire che in molti casi la stessa struttura di «recensione» e l'enorme ricchezza di dettagli analitici rendono il libro piuttosto ripetitivo e la struttura a volte caleidoscopica: per quasi tutti gli studiosi citati viene presentato l'approccio analitico con indagini minuziose sulle (spesso esigue) variazioni e in molti capitoli e sottocapitoli si ritorna su argomenti e metodi analitici trattati prima. I «Come ho già detto» sono molto frequenti ma purtroppo quasi sempre privi di rimandi precisi alla precedente menzione. In questo contesto è anche fortemente sentita la mancanza di un indice analitico delle nozioni e dei linguisti trattati.

Il livello di astrazione teorica è molto alto e spesso, da un punto di vista didattico, sono pochi gli esempi di applicazione delle teorie sull'effettivo uso pratico della lingua. In molti casi è utile o necessario avere una certa conoscenza precedente degli approcci e delle analisi trattati. Inoltre il linguaggio scelto è sintatticamente molto complesso, caratterizzato (come è tipico per il genere saggistico italiano) da uno stile fortemente nominale e ipotattico e da frasi lunghe e informazionalmente compatte. Tutti fattori, questi, che probabilmente escluderanno dal gruppo di lettori del libro i non già esperti in materia.

E ciò è un peccato perché gli argomenti trattati, a mio avviso tra i più complicati e complessi della linguistica, sono interessantissimi e il libro è molto ricco di dettagli e suggerimenti acuti ed intelligenti. Abbiamo qui, in poco più di 200 pagine, una sintesi precisa e scrupolosa delle teorie e degli approcci di una lunga serie di importanti esponenti delle «scuole» quantificazionalista e referenzialista degli anni '60, 70 ed '80.

Scuola superiore de economia e commercio e di lingue, Copenaghen

Bibliografia

Korzen, lorn (1994): «I pronomi clitici 10, la, li, le\s. ne in italiano. Significato di estensità' significato di 'concetto'», in: Boysen, Gerhard (ed.): Actes du XIIe Congrès des Romanistes Scandinaves. Aalborg, 11-15 août 1993. Aalborg Università Press, p. 269-282.

Korzen, lorn (1996): L'articolo italiano fra concetto ed entità. I-11. Etudes Romanes 36,
Muséum Tusculanum Press, Copenaghen.

Korzen, lorn (in stampa): «Anafora e testo. Su codificazione anaforica e strutturazione
testuale», in: Atti del IV Convegno Internazionale della 5.1.L.F.1. Madrid 27-29giugno
1996.

Renzi, Lorenzo (1985): «L'articolo zero», Sintassi e morfologia della lingua italiana d'uso.
Teorie e applicazioni descrittive. SU 24, p. 271-288.