Revue Romane, Bind 31 (1996) 2Gustave Flaubert: Bouvard e Pécuchet, Canovacci, Sciocchezzaio, Dizionario dei luoghi comuni, Catalogo delle idee chic, a cura di Lea Caminiti Pennarola, prefazione di Roger Kempf, traduzione di Gioia Angiolillo Zannino, 2 voll., Rizzoli, Milano, 1992. Pref. e introduz., pp. X-CII; vol. I, pp. 481; vol. II, pp. 906.Paola Polito
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L'B maggio 1880 Flaubert moriva senza aver potuto terminare Bouvard et Pécuchet, l'opera enorme - dal piano superbo e spaventoso - cui lavorava ormai da molti anni. Dopo la monumentale pubblicazione Rizzoli, a cura di Lea Caminiti Pennarola, esperta flaubertiana dell'Università di Napoli, allieva del grande studioso di Flaubert Alberto Cento, cui questa edizione è dedicata, i lettori italiani possono ora accedere a un testo sorprendente, ricostruito con un paziente e annoso lavoro filologico «secondo le indicazioni dei piani e le note» dei dossiers conservati presso la Biblioteca Municipale di Rouen, in un'epoca di grande attenzione per le opere postume, e di riflessione sullo statuto postumo della letteratura, la pubblicazione di questo testo così composito, rimasto incompleto per la morte dell'autore, è destinata a destare grande interesse. F non solo perché, come avverte la curatrice, fornisce ai flaubertiani, con lo Sciocchezzaio (Sottisier), «un documento interessante nella misura in cui conferma e illustra le idee che Flaubert esprime più volte nella Corrispondenza», ma anche perché restituisce alla lettura il piano originale e sconcertante di un romanzo molto poco 'ottocentesco', che con la sua esibizione di sfiducia nella letteratura sembrerebbe corroborare l'idea che il postmoderno stia già tutto nel moderno. Presentata dall'editore come «la prima edizione mondiale del Bouvard e
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Con ammirevole lavoro di ricostruzione si ricuce qui una trama di relazioni e rinvii tra le diverse parti dell'opera e i materiali e piani ad essa connessi, dando al lettore italiano - specialista e non -, oltre alla possibilità di godersi il testo nella completezza dell'impianto originario, anche l'opportunità di accedere agevolmente a una grande dovizia di informazioni e commenti. La prima parte, narrativa, iniziata da Flaubert nel 1872, interrotta nel 1875, ripresa nel 1877 e proseguita fino alla morte, consta della traduzione italiana del testo di Bouvard et Pécuchet, inclusivo dei canovacci e dei piani trovati a Rouen, già pubblicato in lingua originale dal Prof. A. Cento nel 1964, con la collaborazione della stessa Caminiti. La seconda parte - enciclopedia della scemenza ottocentesca redatta, nella finzione romanzesca, dai due personaggi Bouvard e Pécuchet - comprende materiali appartenenti a un piano concepito prima ancora del romanzo, fin nei lontani anni '30, come Dizionario dei luoghi comuni, dal '45 come più vasta raccolta d'estratti e poi dal 1872 come vero e proprio testo cui dare una prefazione narrativa. Nel secondo volume di questa edizione, Caminiti Pennarola ha riunito, in versione italiana e con l'aggiunta di una cinquantina di citazioni, il Sottisier già annunciato da Cento nel 1964, e poi pubblicato nel 1981 presso Liguori: si tratta di una raccolta indicizzata di ben 1871 passi - estratti da libri, periodici e giornali - seguita da una piccola collezione di pezzi epistolari inventati e di citazioni tratte da testi pubblicitari. Concludono il secondo volume il Dizionario dei luoghi comuni, che Caminiti Pennarola qui pubblica in una versione mista, utilizzando i tre manoscritti di Rouen da lei già pubblicati in trascrizione diplomatica nel 1966, il Catalogo delle idee chic, una Bibliografia delle opere utilizzate da Flaubert identificate dalla curatrice, un Indice delle citazioni e un apparato di Commento alle singole sezioni. A dimostrazione dell'utilità del lavoro svolto da Cento e Caminiti Pennarola, Bruno de Cessole ha curato nel 1995, «à l'intention du grand public», un'antologia del Sottisier basandosi sulla ricostruzione congetturale dell'edizione napoletana del 1981. Per anni Flaubert, oltre a collezionare le opinioni degli uomini del suo tempo così come esse potevano ascoltarsi nei salotti o trovarsi nei manuali di conversazione, aveva trascelto dai libri più disparati (testi enciclopedici, opere di riferimento, classici delle letterature specialistiche, etc.) una quantità impressionante di perles della bêtise - com'egli diceva - bourgeoise, dove l'aggettivo stava ad indicare non tanto, o non solo, una tipologia sociale, ma soprattutto una mentalità e un atteggiamento, frutto di una cultura degradataeppure saccente, basata su facili divulgazioni e su principi indiscussi, quanto non verificad, a carattere autoritario e quindi pregiudiziale.1 Ma quel
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che lo scrittore voleva raccogliere e poi dare alle stampe sotto forma di opera comica, o meglio di farsa, erano le evidenze della sciocchezza umana in generale,così com'essa si manifestava nella contemporaneità, e per la quale egli provava il più profondo disgusto, quasi temesse di venirne contagiato. In opere diverse, ma tutte aspiranti a fondare discipline o campi del sapere sia teorico che pratico (Storia, Scienze, Filosofia, Religione, Morale, Politica, Estetica...), come anche in testi letterari, di autori sia grandi che mediocri, Flaubert-con l'aiuto, per la trascrizione, successivamente di due suoi amici - s'era accanito a trovare e ad isolare i segni del luogo comune, della stupidità, animato (com'egli dichiarava) da spirito di vendetta. Al 1880 aveva letto per questa impresa - almeno a suo dire - più di 1500 volumi, oltre che articoli di giornali e riviste (25 gennaio 1880, Flaubert 1930, p. 355-56). I pregiudizi sociali, religiosi e politici, i fanatismi, le contraddizioni, la mancanza di rigore scientifico, i residui di spiritualismo nelle più diverse discipline e tecnologie, la superficialità delle opinioni: tutto questo, già materia costitutiva dello Sciocchezzaio, confluirà - trovandovi altra forma - anche in quella che dello Sciocchezzaio doveva essere la préfation e che diventò di fatto una consistente prima parte diegetica, appunto il Bouvard et Pécuchet, in cui Flaubert, consapevole dell'enormità e della novità del suo impianto, che non sapeva come definire, avrebbe voluto «si vedesse un romanzo filosófico».2 Già nel lontano 1850\ lo scrittore prevedeva che la prefazione avesse carattere mistificante, si prestasse cioè a una lettura bête o facesse pensare che fosse l'autore ad essere bête, mentre di fatto avrebbe contenuto una critica violenta delle principali idee fondanti il vivere civile. I due bonshommes Bouvard e Pécuchet, due svogliati copisti parigini trasferitisi in una fattoria nella piatta campagna di Chavignolles, nel ritiro campestre si dedicano con entusiasmo da neofiti allo studio e alla pratica delle più disparate discipline e tecniche.4 L'ambizione faustiana, la passione per ogni nuova branca dello scibile umano è in loro scaldata dalla speranza di attingere a verità assolute che guidino il comportamento e mettano ordine nel caos. Ma la loro fiducia nell'autorità dei testi, neìì'ipse dixit della scrittura, è sistematicamente sottoposta alla critica di un inflessibile principio di noncontraddizione, che li espone a una delusione dopo l'altra. Come anche apprendiamo dai canovacci, che questa edizione Caminiti Pennarola ci propone utilmente alla fine del I volume, Bouvard e Pécuchet sono destinati a evolvere: espressione, all'inizio, della sciocchezza e dell'insulsaggineche Flaubert vuole stigmatizzare («vuoto della loro conversazione ...vuoto dei loro discorsi»), eredi del Garçon - lo sciocco inventato in gioventù da Flaubert e dai suoi compagni -, i due copisti si trasformano in
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virtù dell'amicizia: «II loro cuore fino allora represso si dilata», «si sviluppano Pur procedendo nella ricerca «senza seguire un ordine, il che produce un Possono, dopo uno studio, formulare la loro opinione (=la mia) attraverso tanto che verso la fine dell'Vlll capitolo, si manifesta una loro assimilazione La loro lampante superiorità era offensiva. Siccome sostenevano tesi immorali, Allora una capacità imbarazzante si sviluppò in loro, la capacità di vedere la Cose insignificanti li rattristavano: le pubblicità dei giornali, il profilo di un Resta, non di meno, che le aspettative nutrite da Bouvard e Pécuchet rispetto ai testi sono esorbitanti se confrontate alle loro capacità di riorganizzazione categoriale delle esperienze e della conoscenza. Lontani da una modalità di pensiero che stabilisca priorità, gerarchie, nessi, la loro bêtise sta, letteralmente, in un approccio pulsionale. Si assiste col romanzo al paradosso deir'intelligente' Flaubert che, per illustrare e mettere alla berlina la stupidità, ricorre (o non può non ricorrere) a un tipo di personaggio 'ingenuo' che si muove in uno spazio ambiguo, tra intelligenza e bêtise, dove i confini tra questa e quella si fanno labili. Il ricorso acritico alla parola scritta come sede della verità, la mancanza di metodo che affligge i due, fanno sì che da una parte si rida della loro assoluta mancanza di buon senso, della loro grottesca 'bestialità', ma dall'altra proprio il loro muoversi così privi di passato', risposte a partire da zero, da una condizione 'aurorale' di ignoranza sprovvista di strumenti, conferisce alle loro esperienze una carica critica specialissima e dirompente. Nel 1988, individuati nella Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità e Molteplicità i cinque valori letterari da conservare nel prossimo millennio, Italo Calvino - parlando del «romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo» (Calvino 1990, p. 103) -, definisce
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l'ultimo romanzo di Flaubert come un modello, le cui doti di scetticismo e, insieme, di curiosità infinita per lo scibile umano «verranno fatte proprie dai più grandi scrittori del secolo XX». Il valore che in questo capitolo Calvino vorrebbe si tramandasse nei secoli è l'«ostinazione a stabilire relazioni fra i discorsi e i metodi e i livelli», l'intendere «la conoscenza come molteplicità» (p. 112-113). In effetti, la pluralità delle opinioni che 'dialogano' in questo testo (dove le idee si fanno dramatispersonae), insieme ai ripetuti tentativi dei due 'sciocchi intelligenti' di verificare le teorie alla luce di una prassi (se pure cieca), evidenziano l'impossibilità di riunire le varie nozioni, conoscenze, ipotesi, interpretazioni e pratiche in un sapere unico. Un pessimismo della conoscenza smonta e nullifica l'accumulo di nozioni e opinioni. Nel confronto che si instaura tra i testi portatori di teorie diverse, spesso opposte o comunque contrastanti, oltre che tra Bouvard e Pécuchet come lettori, commentatori e sperimentatori, nonché tra i due bonshommes e i vari interlocutori che di volta in volta essi stessi si eleggono per discutere di questioni teoriche o pratiche, emerge come la contraddizione stia a fondamento dei fatti e del pensiero umano. Essa, nell'esperienza dei due amici, allontana dalla verità, lascia insoluti gli enigmi, anzi ne crea di nuovi («dov'è la regola?»); la realtà con cui questi sciocchi intelligenti tentano costantemente un aggancio sulla spinta del desiderio, rimane fuori, sfugge al linguaggio, alla scrittura, è un mistero che incanta (Flaubert 1992, p. 105) o «un'illusione, un brutto sogno», «il niente» (p. 259), per cui non valgono consolazioni [«A volte, aprivano un libro, poi lo richiudevano; a che pro?», p. 201], La bêtise è béance, vuoto di senso che toglie ogni speranza, indifferenziazione: «Forse, in definitiva, prosperità e disgrazie si pareggiano?» (p. 258). E' quindi la scrittura il luogo privilegiato in cui si rivela l'assenza di un senso unico, finale? Come per Pellerin, il pittore de L'éducation sentimentale, che «lisait tous les ouvrages d'esthétique pour découvrir la véritable théorie du Beau, convaincu, quand il l'aurait trouvée, de faire des chefs-d'œuvre», anche per i due amici, che pure a un certo punto pensano di mettersi a scrivere (progettando prima la biografìa del duca d'Angoulême, poi un romanzo o un'opera teatrale), giunge «l'ère des doutes» (Flaubert 1952, II pp. 68 e 246), che blocca la strada della scrittura. La decisione finale dei due, i quali nel frattempo, essendosi inimicati tutto il villaggio con le loro stravaganze e polemiche, vivono nell'isolamento riservato dalla società ai folli, sarà quella di tra-scrivere passaggi della scrittura altrui, dapprima «tutto quello che gli capitava sotto mano», poi facendo una
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«classificazione», scegliendo sia «esemplari» dei vari stili che «perle» con cui uguaglianza di tutto, del bene e del male, del Bello e del brutto, di ciò che è NeWa fiction, essi si sobbarcano lo stesso lavoro, abbastanza incomprensibile per via della sua qualità maniacale e pedantesca, svolto negli anni da Flaubert con un'umiltà e una costanza da copista (se pure 'intelligente') che lasciano, per molti versi, stupefatti. Nel testo che ne risulta, 'aperto' perché costantemente integrabile e modificabile, vengono classificate e giustapposte, con intento satirico, le idées reçues, le opinioni che nei vari campi presi in esame (=tutto lo scibile) sono accettate in modo acritico o sono frutto di insufficiente riflessione, di pregiudizio, di illusione. Opera mastodontica e interminabile. Già Leopardi, che nel 1815 scriveva il Saggio sopragli errori popolari degli antichi per «distruggere almeno in parte questi nemici della ragione», annotava: Egli è pur deplorabile che l'uomo, che ha sì breve vita, debba impiegarne, nel Una riflessione che probabilmente Flaubert avrebbe condivisa. Anche il recanatese, benché più modestamente limitandosi a voler dare solo «un saggio degli errori popolari degli antichi», giacché «una storia completa di essi non si avrà forse mai, ed è anche verisímilmente impossibile l'averla» (p. 224), aveva stabilito un «ordine», prendendo di mira sia i pregiudizi «teologicie metafisici» che, tra i fisici, quelli appartenenti all'Astronomia, alla Geografia, alla Metereologia, alla Storia Naturale. Se il giovane Leopardi mirava a fare con quest'opera qualcosa di «profittevole», al servizio della ragione e della verità, per fugare anche presso i moderni ogni sussistenza dei vecchi errori, sappiamo come, nella sua successiva riflessione, il razionalismo si trasformi in un'arma a doppio taglio, che, se è per un verso strumento di conoscenza, dall'altro - coll'uccidere le illusioni e la poesia - toglie ogni possibile consolazione alla nuda acquisizione del vero, «dono funesto», il quale discopre agli umani «l'universalità e la necessità dell'infelicità umana». Se la ragione è ormai irrinunciabile, essa è anche una condanna, perché fa piazza pulita dei miti vecchi e nuovi, incluso quello (Flaubert direbbe: borghese)delle «magnifiche sorti e progressive». Cosicché l'arte, che assolve il compito di risarcire l'irrimediabile frattura, è anche, nondimeno, luogo di
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registrazione dell'impossibilità dell'idillio e di ogni mito consolatorio. Entrambigli autori, pur nelle differenze ugualmente dediti a un'espressione che si risolva in termini rigorosamente estetici, trovano nell'ironia la chiave espressiva di un pessimismo testamentario, l'uno con le Operette morali, dialoghetti fustigatori di ogni facile ottimismo positivista come di ogni fumisteria spiritualista, condensato di aforismi e riflessioni fìlosofìche messe in burla, dove la levità dell'enunciazione è funzionale alla gravita degli enunciati,l'altro con il Bouvard et Pécuchet, grande rappresentazione - e documento - (per dirla con Leopardi) dell'inanità del tutto. Opera controversa, si diceva, questa di Flaubert, incompresa da gran parte della critica, snobbata dai molti amanti del Flaubert sacerdote della perfezione. Commentando il tema della fine del romanzo come forma storica di una più lunga e complessa vicenda narrativa, Jorge Louis Borges cosí esemplificava in un saporoso articoletto del '235: Le negligenze o disprezzi o libertà dell'ultimo Flaubert hanno sconcertato i critici; io credo di scorgervi un simbolo. L'uomo che con Madame Bovary forgiò il romanzo realista, fu anche il primo a romperlo. Chesterton, appena ieri, scriveva: «il romanzo può ben morire con noi.» L'istinto di Flaubert presenta quella morte, che sta già avvenendo - non è l'Ulisse, con i suoi piani e orari e precisioni, la splendida agonia di un genere? - e nel quinto capitolo dell'opera [Bouvard et Pécuchet] condannò i romanzi «statistici o etnografici» di Balzac e, per estensione, di Zola.6 Con questo, Borges, oltre a giustificare la propria scelta di non scrivere romanzi bensì, come sappiamo, racconti brevi, rileva la significatività del fatto che proprio il cultore quasi mistico di un genere consolidato come il romanzo si fosse applicato così tenacemente a smontare una struttura narrativa che aveva in precedenza contribuito a rafforzare: con un testo che è contemporaneamente narrazione saggio e compilazione, scrittura riscrittura e trascrizione, animato da un'ambizione enciclopedica inevitabilmente frustrata, Flaubert - come è ora più evidente in questa bella edizione annotata da Caminiti Pennarola - fa così reagire le due parti l'una con l'altra, mostrando per una volta allo scoperto, nel testo, il suo laboratorio di scrittura. Non gli avevano richiesto minore studio e preparazione, ricerca pedantesca di documentazione, spostamenti fisici e angosce da timore di fallimento altre opere 'difficili', quali ad esempio Salambô e La Tentation de Saint Antoine. Qui, però, il materiale extra-narrativo si fa testo afronte, in quanto stabilisce una rete fittissima di rimandi con la diegesi, serve a dare al lettore lo stesso orizzonte di riferimento culturale in cui si muovono i due protago-
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nisti, appoggia grottescamente la poetica del basso con un repertorio, diremmo, di 'spazzatura del pensiero' che, se non oggettivamente, almeno nella percezione o nella (ri-)sistemazione astuta di Flaubert (fatta di giustapposizioni e di percorsi reattivi agevolati dalla vettorialità della lettura), illustra l'impossibilità di trovare risposte univoche e definitive, e insieme, nell'ostinata e quasi sadomasochistica ripetizione del gesto amanuense che tenta di riempire il vuoto della pagina [«copiamo! E' necessario che la pagina si riempia!» (Canovacci, Xll=conclusione, Flaubert 1992, p. 471), «per caso è stata ritrovata la loro copia, l'Editore la da per rimpolpare la presente opera» (Nota finale a Canovacci, f.68, lb.: p. 474)] testimonia quanto forte fosse l'istanza di interrogazione, quanta l'angoscia Non sempre così divertente come l'autore avrebbe voluto, qua e là noiosa almeno per il lettore moderno, ma sempre feroce e irridente, la seconda parte del Bouvard et Pécuchet vale certamente in sé, ma soprattutto come istanza virtuale di messa alla berlina. La sezione dedicata agli Stili funziona da invito al silenzio e alla pagina bianca, la raccolta di Perle (dei letterati, del partito dell'ordine, del popolo, della religione, dei sovrani) da esortazione alla misura. Più godibile, anche perché Flaubert vi è prepotentemente presente, il Dizionario dei luoghi comuni («Vox populi, vox Dei»), specialmente nei maliziosi 'consigli' di comportamento, che costituiscono una sorta di breviario sul cosa (non) pensare e (non) fare, una sorta di ironico galateo: ACADEMIE FiiANCAISH: Parlarne male, ma cercare di esservi accolti; STAMPATO: Bisogna credere a tutto quello che è stampato; TERRA: Dire «i quattro angoli della terra» dato che è rotonda; BAMBINI: Ostentare una tenerezza lirica verso di loro quando c'è gente; BASI DELLA SOCIETÀ': Id est: la Proprietà, la famiglia, la religione, il rispetto delle autorità. Parlarne con collera se le si attacca; LUCE: Sempre dire: «Fiat lux!» quando si accende una candela; MACHIAVELLI: Non averlo letto, ma considerarlo uno scellerato. Odio contro; MACHIAVELLISMO: Parola da pronunciare solo fremendo. Lo scrittore si scatena là dove prende in giro le viete collocazioni idiomatiche
BATTAGLIA: Sempre «sanguinosa»; IPOTESI: Spesso «pericolosa», sempre «ardita»;
AMBIZIONE: Sempre preceduta da <folle», quando non 'mobile»; o quando registra strampalate definizioni:
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ARACjOSTA: Femmina del gambero; ROSPO: Maschio della rana. Ha un veleno pericolosissimo. Vive dentro alle pietre; FOCHA DI FICO: Emblema di virilità nella scultura; FREDDO: Più sano del caldo; CIAPPONF: Lì tutto è di porcellana; CVI.F STRF.AM: Famosa città della Norvegia scoperta di recente; o quando ci infligge delle freddure: ŒNOVA (CITFa' Di): A un turista che racconta il proprio viaggio a Genova ¡Gênes], non perdere l'occasione di dire: «Allora si trovava in stato di ristrettezza ¡gêne]; PASSFROJmoineau]: Non perdere mai l'occasione per dire: figlio del monaco/-moine] - Non c'è niente che faccia ridere quanto questa battuta. Del resto, non tutte le voci dello Sciocchezzaio e del Dizionario dei luoghi comuni ci sembrano così stupide o risibili; sarà la nostra stupidità a farci da schermo o dobbiamo piuttosto pensare che Flaubert si sia lasciato prendere la mano? I due copisti, osserva Borges, sono fuori del tempo («el tiempo de Bouvard et Pécucìietse inclina a la eternidad»): essi sono ancora lì, chini sulla scrivania, intenti a copiare. Flaubert ce li consegna minacciosi e insieme rassicuranti, pronti a immortalare la sciocchezza presentee a venire - o forse, per quel confine labile e spesso indecidibile tra stupidità e intelligenza, tutto il pensiero umano,7 'bête et non'.
Paola Polito Università di Copenaghen Note 1. «...une seule chose m'indigne, à savoir la bêtise, la grosse ignorance, l'aveuglement des bourgeois. I! vaut mieux en rire, après toui. (...) Le sentiment du comique est un bon soutien dans les fanges de la vie. Si je ne l'avais pas eu depuis longtemps je serais mort enragé.» Lettera alla principessa Matilde, Croisset, mercoledì sera ¡agosto 1877], (Flaubert 1930, p. 59). 2. «Comme je ne puis pas éviter qu'on le prenne pour un roman,(disait-il), je voudrais bien qu'on y vît un roman philosophique, ("est mon testament, le résumé de mes expériences et mon jugement sur l'homme et les œuvres de l'homme.» - da una testimonianza di Auguste Sabatier, L'œuvre posthume de Gustave Flaubert, Journal de Ccncvc, 3 Avril 1881, citata in Bollóme 1966, p. 11. 3. 4 settembre 1850, lettera a Louis Bouilhet: «Tu fais bien de songer au dictionnaire des idées reçues. Ce livre complètement fait et précédé d'une bonne préface où l'on indiquerait comme quoi l'ouvrage a été fait dans le but de rattacher le public à ia tradition, à l'ordre, à la convention générale et arrangée de telle manière que le lecteur ne sache pas si on se fout de lui, ou non (...).» (Flaubert 1930, t.II, p. 239).
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3. 4 settembre 1850, lettera a Louis Bouilhet: «Tu fais bien de songer au dictionnaire des idées reçues. Ce livre complètement fait et précédé d'une bonne préface où l'on indiquerait comme quoi l'ouvrage a été fait dans le but de rattacher le public à ia tradition, à l'ordre, à la convention générale et arrangée de telle manière que le lecteur ne sache pas si on se fout de lui, ou non (...).» (Flaubert 1930, t.II, p. 239). 4. Nell'ordine: orticoltura, agricoltura, frutticoltura, architettura dei giardini, conservazione alimentare, distillazione, chimica organica e inorganica, medicina, farmacopea, igiene, astronomia, geologia, zoologia, mineralogia, sismologia, esegesi biblica, archeologia, storia, mnemotecnica, filosofia della storia, letteratura, grammatica, politica, economia e - dopo una breve e sfortunata parentesi amorosa - ginnastica, magnetismo, filosofia, religione, educazione. 5. Citato da Jorge Louis Borges, Discussione, in Tutte le opere, vol.l, Mondadori, Milano, 1984, p. 404-05. 6. «Las negligencias o desdenes o libertades del último Flaubert han desconcertado a los críticos; yo creo ver en ellas un símbolo. El hombre que con Madame Bovary forjó la novela realista fue también el primero en romperla. Chesterton, apenas ayer, escribía: «La novela bien puede morir con nosotros». El instinto de Flaubert presintió esa muerte, que ya está aconteciendo ¿no es el Ulises, con sus planos y horarios y precisiones, la espléndida agonía de un género? -, y en el quinto capítulo de la obra condenó las novelas «estadísticas o etnográficas» de Balzac y, por extensión, las de Zola.» (Borges 1974, p. 262). Nel V capitolo i due amici passano in rassegna i vari tipi di romanzo, prima il romanzo storico (inaffidabile e ripetitivo), poi il romanzo sociale e a tesi (che sacrifica l'invenzione), e ancora il romanzo d'amore (monotono, sentimentale, riduttivo), il romanzo umoristico (dove la narrazione è costantemente frammentata e l'opera messa in ombra dallo sfrontato intervento dell'autore), il romanzo di avventura (ingegnoso ma alla lunga prevedivile e poco serio), il romanzo realista di Balzac (visionario nei suoi eccessi descrittivi, non più letterario ma statistico o etnografico, puro documento). 7. Lo scrittore annotava nei piani del 1863: «il ya quelqu'un de plus bête qu'un idiot, c'est tout le monde.» Citato da Marie-Jeanne Durry 1950, p. 416. Bibliografía.lorge Louis Borges: Vindicación de «Bouvard et Pécuchet», in Discusión (1932), ora in Italo Calvino: Lezioni Americane (Sei proposte per il prossimo millennio), Garzanti, Alberto Cento: Commentaire de «Bouvard et Pécuchet», publié par Lea Caminiti Marie-Jeanne Durry: Flaubert et ses projets inédits, Librairie Nizet, Paris, 1950. Gustave Flaubert: Bouvard et Pécuchet, édition critique par Alberto Cento, précédée Gustave Flaubert: Dictionnaire des idées reçues, Edition Diplomatique des trois
Gustave Flaubert: Le second volume de Bouvard et Pécuchet (essai), établi et présenté Gustave Flaubert: Le Second Volume de Bouvard et Pécuchet: le projet du «Sottisier». Gustave Flaubert: Le Sottisier, Préface de Julián Barnes, Introduction de Bruno de Gustave Flaubert: Œuvres complètes, Correspondance, Nouvelle édition augmentée, Gustave Flaubert: Œuvres, L'éducation sentimentale, Pléiade, 11, Gallimard, Paris, Giacomo Leopardi: Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, in Tutte le opere, a Giacomo Leopardi: Operette morali, Stella, Milano, 1827; Piatti, Firenze, 1834; |