Revue Romane, Bind 26 (1991) 2

Calvino lettore dell'Ariosto

di

Lene Waage Petersen

L'opera dell'Ariosto, e più precisamente l'Orlando furioso costituisce come è noto, anche per le ripetute dichiarazioni in questo senso fatte dallo scrittore, un punto fondamentale di orientamento e di ispirazione per l'opera di Calvino. Il fatto non è certo sfuggito alla critica, sin dalla troppo citata ma sempre fondamentale intuizione di Pavese che parlò di «sapore ariostesco» già a proposito del Sentiero dei nidi di ragno, alle più recenti affermazioni, di G. R. Cardona, che parla di una «funzione Ariosto» che percorre interamente l'opera di Calvino (Cardona, p. 189), e di G. C. Ferretti:

Ariosto e poemi cavaliereschi diventano volta a volta, lungo l'intero itinerario di Calvino, espressione e motivazione di questa o quella poetica: dalla nuova epica nazionale («II Movimento di Liberazione in Italia», luglio 1949, p. 41) alla poetica del «midollo del leone» (Paragone, giugno 1955, p. 28) all'ultima fase della trilogia favolistica («Italianistica», settembre-dicembre (1974), p. 657); e Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, 1970, pp. XXIII-IV) ad altre ancora. (Ferretti, p. 108-09).

Se ho citato estesamente la proposta di Ferretti, di per sé importante, di una «periodizzazione ariostesca», è perché sono dell'avviso che così come viene formulata qui, non tenga conto di alcune svolte fondamentali soprattutto tra il 1955 e il 1970.

Questo articolo si pone dunque come ricerca della «funzione Ariosto» in Calvino, al livello di poetica esplicita (nei saggi) e di poetica implicita (nelle opere che si pongono in relazione intertestuale co\YOrlando furioso) e a un livello di profondo orientamento soprattutto formale più intimamente presentenella scrittura di Calvino. Prenderemo in considerazione quattro periodio momenti dell'attività letteraria di Calvino: 1. un primo periodo di presenzaariostesca «invisibile» o implicita; 2. il momento del Cavaliere inesistente,che

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tente,chedà luogo alla formulazione di una poetica di «trasfigurazione fantastica»;3. il periodo della doppia «riscrittura» à&W Orlando furioso, 11 castello dei destini incrociati (1968-1973) e L'Orlando furioso, raccontato da Italo Calvino (1967-1970), e 4. un ultimo periodo di una presenza di nuovo soprattuttoimplicita.

I. Una presenza invisibile

Se la narrativa di Calvino, a giudizio ormai unanime della critica, si nutre sin dall'inizio di elementi fiabeschi e avventurosi, la formulazione di una poetica che tenga conto di questa ispirazione «tarda a manifestarsi nella sua produzione giornalistica e saggistica», come nota giustamente Ferretti (Ferretti, p. 25). Egli attribuisce questo fatto a «una certa autolimitazione a manifestare disposizioni e predilezioni sentite come non costanti con Yemergenza sociale e politica» (ibid. p. 26). Mi pare più probabile l'ipotesi di una «gradualità nella maturazione della coscienza critica di sé» (ibid.), soprattutto se si tengano conto delle tenaci aspirazioni «neorealistiche» sia nelle opere narrative che in molte affermazioni di poetica («il triangolo Verga-Vittorini-Pavese», sentito come modello negli anni del dopoguerra (si veda la prefazione al Sentiero dei nidi di ragio del 1964). Dall'esordio nell'46 fino al '54 il nome dell'Ariosto appare una sola volta nel 1949, come citato da Ferretti. In questi anni la struttura dominante è certamente la fiaba, a cui vengono assimilate le altre forme di un narrare awenturoso-favoloso. Il discorso sulla fiaba ( di cui non è qui argomento) giunge alla sua maturazione col lavoro di riscrittura delle fiabe italiane (1954-1956), dunque dieci anni dopo che hanno visto la luce splendidi racconti di impostazione fiabesca come Ultimo viene il corvo (1946). Nel 1952, con // visconte dimezzato, ha fatto il suo ingresso nella narrativa di Calvino la figura del cavaliere, immagine emblematica di un rapporto intertestuale coll'Ariosto. Ancora al momento del Midollo del leone (1955), fiaba e avventura cavalieresca vengono viste come un'unica struttura:

Lo stampo delle favole più remote: il bambino abbandonato nel bosco o il cavaliere che deve superare incontri con belve e incantesimi, resta lo schema insostituibile di tutte le storie umane, resta il disegno dei grandi romanzi esemplari in cui una personalità morale si realizza muovendosi in una natura o in una società spieiate. ( Una pietra sopra, p. 15)

E fra i classici che più gli stanno a cuore «da Defoe a Stendhal» con «tutta la lucidità settecentesca», non un accenno alPAriosto. Dobbiamo aspettare il periodo successivo all'esperienza profondamente ariostesca del Cavaliere inesistente (1959), per trovare la prima esplicita lettura poetica dell'Ariosto. Più tardi il rapporto tra pensiero teorico e scrittura si farà più inestricabile, ma ritengo che spesso la riflessione poetica in Calvino passi attraverso le opere, di cui egli si farà in un secondo momento lettore teorico.

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II. Il cavaliere o la trasfigurazione fantastica

Il cavaliere inesistente.

«Nel tempo che Agilulfo era passato di Francia in Inghilterra, d'lnghilterra in Africa e d'Africa in Bretagna...»: così suona l'esordio al decimo capitolo del Cavaliere inesistente, echeggiando con un divertito sovraccarico la prima ottava dell'Orlando Furioso:

... al tempo che passarono i Mori
d'Africa il mare e in Francia nocquer tanto.

E anche Calvino, come Ariosto, canterà «le donne, i cavalier, l'arme, gli amori» in questo suo primo diretto accostarsi alla materia cavalieresca che inaugura la stagione esplicitamente ariostesca, durata una decina di anni, fino intorno al 1970-1973, con la doppia «riscrittura» del poema ariostesco operata con // Castello dei destini incrociati (1969 e 1973), e con YOrlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino (1967 e 1970).

A parte il riciclaggio dei paladini di Carlomagno nella letteratura del dopoguerra, molti sono i passi di diretta memoria ariostesca: Rambaldo «quanti ce ne stanno sulla lancia, tanti ne infilza uno dietro l'altro»; oppure la scena d'apertura del racconto in cui Carlomagno passa in rivista i paladini a suon di straordinari titoli franco-brettoni italianizzati; essa richiama un «comico fonetico» dell'Orlando Furioso, molto caro a Calvino, e cioè la presentazione delle truppe d'lnghilterra Scozia e Irlanda (Orlando furioso, X, 75-81), da Calvino nella sua scelta per O.F. raccontato da I.C. e ricordato anche nella Piccola antologia di ottave. Sul piano dell'intreccio, «la serata delle partenze», Rambaldo -* Bradamante -* Agilulfo (cap. VII) ricalca la sequenza Fiordiligi -» Brandimarte -* Orlando, che segna nel Furioso l'entrata di Orlando nella quête (Orlando furioso, Vili, 71 ss.)

Nonostante il grande amore per le avventure dei paladini sempre professionato, è tuttavia senza dubbio nell'atteggiamento formale dell'Ariosto verso questa materia che risiede la profonda ispirazione di Calvino, che a partire dal Cavaliere inesistente ha incominciato a specchiare in modo esplicito la sua riflessione poetica in una lettura delle qualità formal-stilistiche del poema ariostesco, in concomitanza con uno spostamento degli interessi di tipo narratologico dal corpus delle fiabe al materiale cavalieresco. La grande impresa delle Fiabe italiane sembra aver coronato e insieme esaurito la stagione in cui la struttura fiabesca era sentita come modello o punto di riferimento per un narrare esistenziale, non realistico. L'allontanamento sul piano creativo era già avvenuto con la fantasia allegorica del Visconte dimezzato (1952) e del Barone rampante (1957).

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// cavaliere. Consideriamo per cominciare il personaggio principale della sequenza narrativa cavalieresca: il cavaliere. Il titolo del romanzo calviniano pone subito Agilulfo come personaggio principale e il cavaliere come punto di riferimento emblematico. Nella critica si è priviligiata l'interpretazione allegorica, ricchissima di spunti per una discussione storico-esistenziale, e chiaramente indicata nel testo, che fa d'Agilulfo la parte speculare di Gurdulù, forma e coscienza opposte all'indistinta materia incosciente, vedendo nella doppia figura l'emblema della situazione esistenziale in cui è posto l'uomo (nella figura di Rambaldo). Esistono altri livelli di lettura possibili, accanto a quella allegorica, e proporrei qui una lettura meno esplicita, in cui Agilulfo costituisce il centro psicico, esistenziale e emblematico del testo: è dall'immagine dell'armatura bianca e vuota, attraversata «a ogni fessura dagli sbuffi di vento, dal volo delle zanzare e dai raggi di luna» che si sprigiona la forza non allegorizzabile della produzione di significato del testo. E possiamo notare come, a partire dalla trilogia degli Antenati, al centro della narrazione di Calvino si trovi sempre più un'immagine fantastica, intorno al quale crescerà il racconto. Il momento del Cavaliere inesistente conincide con la prima riflessione esplicita sul modo fantastico e l'importanza dell'immagine nella genesi dei racconti.

Parola-chiave della descrizione di Agilulfo è tensione: «la tensione della sua volontà» (p. 276), «la tesa ostinazione» (p. 277). In questa tensione è figurata «la presenza più solida» nell'esercito di Carlomagno. Il concetto di tendere si fonde con l'immagine del cavaliere creando quell'ottante, quella funzione, nel senso narratologico dei termini, che Calvino in questo momento della sua poetica legge come struttura fondamentale delle storie cavalieresche, identificando in essa il segno letterario, atto ad esprimere la carica etica e morale fondamentale del soggetto verso il mondo circostante. Questo rapporto non è più, come nella fiaba, definibile attraverso un oggetto senza correre il rischio di scadere nella pedagogia: la tensione di Agilulfo ha come unico oggetto il mantenimento di quella tensione. La fusione del cavaliere con il concetto di tendere ritorna verso la fine del racconto in uno dei monologhi metanarrativi della narratrice:

Quanto mi riesce più difficile segnare su questa carta la corsa di Bradamante, o quella di Rambaldo, o del cupo Torrismondo! Bisognerebbe che ci fosse sulla superficie uniforme un leggerissimo affiorare, come si può ottenere rigando dal di sotto il foglio con uno spillo, e quest'affiorare, questo tendere fosse pero sempre carico e intriso dalla generale pasta del mondo... (p. 329) (II corsivo è mio)

La figura di Agilulfo, soggetto psichico del testo, è carica della tristezza di
chi ha sperimentato la necessità di tale tensione, e la sua sempre più sottile
incidenza sulla realtà; il suo mulinare colpi contro i pipistrelli è senza esito:

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«Nulla: continuavano il loro volo senza principio né fine appena scossi dagli
spostamenti d'aria» (p. 271).

Altra parola chiave che forma sequenza narrativa con il soggetto cavaliere, è correre: «disse Rambaldo correndo verso di lei. Così sempre corre il giovane verso la donna» (p. 303); a p. 315 troviamo Bradamante: «Corse alla sua tenda» e Rambaldo «che correva a piedi a cercarla» e il finale è tutto un correre: «La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade» (p. 353). Mentre tendere è azione psichica e intellettuale, questo correre dei cavalieri segna metaforicamente la vita stessa, da forma, con un'espressione cara a Calvino, all'esistenza. Dalla combinazione di quel movimento con quella tensione che scaturisce l'immagine utópica conclusiva del libro, la fusione della penna e della spada, nell'ultima figura del cavaliere che parte verso il futuro.

Lo spazio. Lo spazio centrale del racconto è costituito dall'accampamento di Carlomagno presso Parigi e dal vicino campo di battaglia. Questo spazio viene sviluppato con tratti molto realistici, di giorno un continuo armeggiare e cucinare, di notte un russare e sudare sotto le tende. Nella distanza e nell'accostamento tra la materia leggendaria e il realismo quotidiano, si apre un campo ironico che ricorda il procedimento dell'ironia ariostesca di insinuare nella descrizione della «gran virtù degli antichi cavalieri» elementi di un realismo scettico. Calvino usa questo campo ironico per una critica delle strutture sociali contemporanee, ma anche con una «verve» comica straordinaria che diventa nel complesso enunciato del testo un elemento fondamentale.

Quando verso la fine del racconto la vera quête ha inizio, dopo la «serata delle partenze», lo spazio si fa leggendario-mitico (boschi, grotte, castelli), per diventare alla fine metanarrativo (la pagina bianca su cui si istoriano duelli e battaglie) e utópico (lo spazio del futuro che chiude il libro). Pure in queste metamorfosi il racconto conserva un forte senso di estensione spaziale, un mondo in cui i cavalieri si possono muovere, uno spazio ancora aperto.

// poeta-narratore. Nel Cavaliere inesistente la riflessione metanarrativa, presentein modo sporadico in molti racconti precedenti, si sviluppa nel corso della narrazione come uno dei fiori giapponesi che messi in acqua si diramanoin folta pianta fiorita. La tripartizione dell'istanza narrativa rispecchia questa costruzione: abbiamo all'inizio un narratore in terza persona (cap. 1-3), forma di presentazione olimpica ed ironica; segue un narratore-persona (Teodora) (cap. 4-11), a cui sono permesse, anche tecnicamente, riflessioni su come raccontare le sue storie, riflessioni che si moltiplicano in un ritmo serrato e che finiscono per svincolarsi completamente dal personaggio; e

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infine lo sdoppiamento della narratrice nella figura a due facce Bradamante- Teodora (cap. 12), che fa dello statuto del narratore un puro emblema del testo. I cambiamenti non sono reversibili; è impossibile figurarsi Bradamante-Teodoracome voce strutturante e centro psicologico del testo. Questastruttura narrativa, non ancorata a nessun punto di vista psicologico nel testo, funziona come una progressiva tematizzazione e problematizzazione della scrittura:

Vorrei correre a narrare, narrare in fretta, istoriare ogni'pagina con duelli e battaglie quante ne basterebbero a un poema, ma se mi fermo e faccio per rileggere, mi accorgo che la penna non ha lasciato segno sul foglio e le pagine sono bianche, (p. 328)

Tuttavia il narratore è spinto verso il narrare dalla stessa «tensione» che spinge i cavalieri verso la battaglia e l'amore; lo si legge soprattutto nel ritmo delle frasi, che si fa sempre più incalzante, facendosi portatore, insieme all'ultima immagine del cavaliere-scrittore, dell'utopia finale.

Non soltanto, quindi, l'atteggiamento distaccato e ironico verso la materia, ma anche l'atteggiamento libero verso lo stesso atto di narrare, l'ordire e il tessere le trame della vita, sembrano particolarmente ariosteschi, nella mescolanza di felice divertimento e profonda serietà, in questo romanzo di Calvino.

La poetica esplicita al tempo del Cavaliere.

Due sono gli scritti di poetica che accompagnano il romanzo e in un certo modo tirano le conclusioni esplicite della ricerca condotta con la scrittura poetica del Cavaliere, uno di analisi culturale-letteraria, // mare dell'oggettività (scritto 1959, pubbl. 1960) e l'altro più specificamente espressione di poetica, Tre correnti del romanzo italiano (conferenza del 1959, pubbl. 1960). Nel primo PAriosto è nominato solo indirettamente:

Non da ieri ci siamo fatti una regola del cercare anche nei testi più lontani le
ragioni di forza d'un nostro discorso, d'una nostra fedeltà.» (Una pietra
sopra, p. 45)

E l'articolo chiude con una dichiarazione, che è in fondo un'interpretazione
del segno di Agilulfo:

Ma il momento che vorremmo (...) è pur sempre quello della non accettazione
della situazione data, dello scatto attivo e cosciente, della volontà di
contrasto, della ostinazione senza illusioni.(ibid.);

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mentre il nucleo fondamentale dell'analisi culturale «la perdita dell'io, la calata nel mare dell'oggettività» rispecchia o più probabilmente ha dato forma al livello allegorico del racconto. Nel secondo si parla assai distesamente delPAriosto, con la più esplicita dichiarazione di «filiazione» che troviamo negli scritti di Calvino:

Tra tutti i poeti della nostra tradizione, quello che sento più vicino e nello
stesso tempo più oscuramente affascinante è Ludovico Ariosto.» (Una pietra
sopra, p. 57)

E il seguente ritratto del poeta doWOrlando Furioso è in fondo quasi un autoritratto, nel senso che cerca nella figura dell'Ariosto una legittimazione per formulare - dopo la finale crisi dell'impegno politico del '56 - un diverso modo di impegno nella realtà da parte della letteratura, un impegno di tipo formale:

Questo poeta così assolutamente limpido e ilare (...) così abile nel celare se stesso, questo incredulo italiano del Cinquecento che trae dalla cultura rinascimentale un senso delle realtà senza illusioni e mentre Macchiavelli fonda su quella stessa nozione disincantata della realtà una dura idea di scienza politica, egli si ostina a disegnare una fiaba... (ibid.)

I concetti chiave adoperati nella descrizione della poesia dell'Ariosto sono «l'ironia e la deformazione fantastica», P«accuratezza formale», «l'energia volta verso l'avvenire» dei cavalieri, e, è interessante notarlo, un concetto importante che fa il suo ingresso, credo, per la prima volta, un «esercizio di levità» (il corsivo è mio). Da questi concetti sperimentati nel Cavaliere Calvino trae la definizione di una esplicita corrente poetica che sente come sua, la trasfigurazione fantastica, un fantastico meraviglioso, sentito come diverso da quella della grande tradizione fantastica dell'Ottocento e della sua continuazione nel Novecento, argomento su cui Calvino tornerà. Confrontando questo testo con il passo citato prima dal Midollo, possiamo vedere come i cavalieri da personaggi morali che si muovono in una società siano ormai trasformati in energia vitale.

Tra questo momento intensamente ariostesco e il prossimo, che si verificherà intorno al 1967, si situano l'esperienza profondamente turbata della Giornata di uno scrutatore (1963) e le avventure cosmicomiche (1965), nonché l'incontro a Parigi con l'Ou.li.po e lo strutturalismo, con la svolta teorica che ne segue.

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III. Ariosto o il mondo delle storie possibili.

Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino.

Nato nel 1967 come una serie radiofonica, pubblicato in una prima versione 1967 e apparso ampliato nel 1970, il libro seduce il lettore con il suo irresistibile piacere di raccontare, reso spumeggiante dalla coesistenza col testo ariostesco, che evidentemente ha portato a una felicità di espressione linguistica e di immagini non incrinita dalle problematiche teoriche che appesantiscono invece a mio avviso // castello dei destini incrociati. Il testo unisce in sé, sapientemente intrecciati, un'introduzione al poema, una rinarrazione delle avventure, e un implicito discorso poetico , da cui emergono le continuità e gli spostamenti della lettura che Calvino fa del mondo poetico dell'Ariosto. Il libro è concepito come una rinarrazione del poema, organizzato intorno a una capillare scelta di passi ariosteschi. Il testo di Calvino consiste di riassunti, che legano i passi scelti, e che procedono spesso a ritmo narrativo vertiginoso, come quando racconta le complicate e eroiche avventure degli ultimi canti in due pagine, per recuperare il personaggio che forse più gli è simpatico, Rodomonte, la cui morte suggella il poema); di commenti, spesso di tipo metanarrativo, che fioriscono intorno a situazioni e personaggi, e di presentazione del passo scelto, con una tecnica che preannuncia le gesta e pregusta immagini e espressioni ariostesche. Tale procedimento dipende forse dall'impostazione orale della prima versione, nel voler rendere abbordabile all'orecchio non abituato il movimento dell'ottava ariostesca. Nell'edizione scritta esso funziona in modo da permettere al lettore un continuo passaggio tra il testo à&WOrlando furioso e quello di Calvino, attirando l'attenzione su precisi procedimenti dell'Ariosto, e rivelando anche come Calvino reinventi le immagini ariostesche: per es. nel descrivere il pensiero d'Orlando insonne, ricordando l'ariostesco:

...quai d'acqua chiara il tremolante lume, dal sol percossa o da' notturai rai, per gli ampli tetti va con lungo salto a destra et a sinistra, e basso et alto. (O.F. VIII, 71,5-8),

Calvino spiega che esso ha «insieme la fissità e l'irrequietezza d'un riflesso di luna sul mare», in cui luna e mare rendono calviniana l'immagine. Un altro «riassunto» di immagini si ha per Astolfo, che si lascia trascinare da Alcina a bordo della «balena-isoletta-bastimento», con una raffinata condensazione delle magiche metamorfosi che circondano Alcina (p. 29). In questo modo le «citazioni» che preannunciano il passo ariostesco spesso fungono da commento critico meglio di ogni analisi.

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II testo di Calvino, tramite alcuni concetti o metafore-chiave, entra in relazione
con alcuni punti nodali delle discussioni poetiche contemporanee:
La scacchiera. La formalizzazione si ritrova al livello più alto di descrizione
nell'uso del gioco degli scacchi come metafora del poema: «L'Orlando furioso
è un'immensa partita di scacchi, (...) una partita smisurata che si dirama in
tante partite simultanee» (p. 45). La metafora implica una formalizzazione
dello spazio, dei personaggi e delle forze che li muovono: la scacchiera è «la
carta geografica che scorre sotto i piedi» (p. 85); le varie avventure sono
delle partite: «La storia d'Angelica e del mostro apre una nuova partita
favolosa» (p. 53), e i personaggi sono i pezzi e la loro fede cristiana o musulmana
come «il diverso colore dei pezzi d'una scacchiera» (p. XXIII) e le
forze da cui sono spinti le donne e i cavalier nel loro errare tra boschi, mari,
continenti sono viste come le regole che determinano i movimenti di ogni
pezzo specifico, facendone così delle funzioni fisse, come per es. Olimpia,
formalizzata nella funzione «bella donna perseguitata», dalla quale non le è
permesso di uscire. Calvino lascia chiaramente capire che, dopo le tristi
vicende con Cimosco e dopo il tradimento cinico di Bireno, la terza sequenza
della sua storia che la vede sposa a Oberto, o finirà male, o non è narrabile,
perche non compatibile con la funzione di Olimpia.

Per la poetica del gioco combinatorio, sperimentato in questi anni da Calvino, ispirato dal gruppo di Ou.li.po. nonché dalla nascente semiología, il gioco degli scacchi costituisce un modello di riferimento importante; una definizione del congegno della letteratura avventurosa tramite la metafora degli scacchi, si trova nella Teoria della prosa di V. Sklovskij, tradotta in italiano proprio nel 1967 (cito da Genot che da del passo una traduzione più bella di quella dell'edizione integrale del 1977):

Le naufrage ou l'enlèvement par des pirates ont été choisis comme sujets romanesques en considération de la seule technique artistique et n'ont rien de plus à voir avec la réalité que le roi d'échecs avec les us et costumes de l'lnde. (Genot, p. 789-90)

L'usare il gioco degli scacchi come metafora strutturante per un vasto materiale di storie già esistenti, come appunto X Orlando furioso, può essere certamente molto illuminante; tutt'altra cosa è invece usare il gioco come modello generativo di storie: è quello che Calvino tenterà con i tarocchi; mentre torna ad adoperare, come si sa, il gioco degli scacchi nelle Città invisibili, ora di nuovo come riflessione, come metafora e non come macchina per generare storie.

// labirinto. L'altra metafora di struttura spaziale è il labirinto, la cui funzione
non risiede in una formalizzazione dello spazio, ma in una descrizione tematica-esistenzialedel
rapporto del soggetto con lo spazio circostante: «II poemache

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machestiamo percorrendo è un labirinto nel quale si aprono altri labirinti» (p. 110). Il labirinto centrale è naturalmente il castello di Atlante «un vortice di nulla», in cui le immagini si rifrangono. Il labirinto si rovescia nel microcosmo,nel groviglio dell'inconscio, tema non usuale in Calvino che affiora però con insistenza in questi anni (nell'articolo Cibernetica e fantasmi, e nel Castello); o si apre verso il macrocosmo: «La giostra delle illusioni è il palazzo,è il poema, è tutto il mondo» (p. 117). Il labirinto è la mefora preferita del modernismo degli anni 50-60 per designare l'estraniazione del soggetto, da Robbe-Grillet a Borges, a Sanguineti. La versione dell'Orlando furioso, portatasulla scena da Sanguineti e Ronconi nello stesso periodo (1968) fecalizza appunto il movimento labirintico. Nell'articolo La sfida al labirinto (1962) Calvino accetta con riluttanza la pertinenza della metafora «è oggi quasi l'archetipo delle immagini letterarie del mondo» {Una pietra sopra, p. 95). NelT'Orlando furioso raccontato da I.C. il labirinto rimane una metafora polisemantica,ambivalente, in bilico tra un polo negativo di spazio chiuso, pieno di illusioni conducenti verso il nulla, e il riconoscere che il viaggio nel labirintocostituisce la nostra vita:

ci resta il dubbio se ciò che veramente conta sia il lontano punto d'arrivo (...)
oppure siano il labirinto interminabile, gli ostacoli, gli errori, le peripezie che
danno forma all'esistenza, (p. 24)

Le energie vitali profuse dagli eroi ariosteschi nel percorrere il labirinto del
poema e della vita riempiono quest'ultimi di senso. (Sul tema del labirinto
cfr. Dolfi.)

Il castello d'Atlante sarà ripreso come spazio narrativo-tematico nel Castello
dei destini incrociati, ma anche, meno vistosamente, come luogo del
desiderio, nella città di Zobeide:

città bianca, ben esposta alla luna, con vie che girano su se stesse come in un gomitolo. Questo si racconta della sua fondazione: uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una città sconosciuta, da dietro, coi capelli lunghi, ed era nuda. Sognarono d'inseguirla. (Le città invisibili, p. 51)

Città del desiderio e d'illusioni, popolata di cercatori come il castello d'Atlante.

// ricamo di un arazzo. Il poema è descritto anche come un disegno di immagini.Angelica è «figurina di profilo disegnata sullo sfondo finito d'un arazzo» (p. XX); di Ruggiero che si avventura nell'isola d'Alcina si dice «pare inoltrarsinel ricamo d'un arazzo» (p. 25). Altra parola usata è «miniature». Abbiamo già accennato al fatto che Calvino, riassumendo o parafrasando il passo ariostesco che sta introducendo spesso rielabora le immagini del poema:un

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ma:unesempio potrebbe essere l'immagine che descrive Astolfo cavalcando il suo Rabicano {Orlando furioso raccontato da 1.C., p. 85-86), incentrata su una qualità fondamentale, la leggerezza che si trova esplicitamente sia in Ariosto (leggiermente) che nel testo di Calvino: «il suo cavallo è così leggero che non lascia orma né sulla sabbia né sulla neve.» Una pagina più avanti Calvino ripete l'immagine sviluppandola: «il galoppo di Rabicano è così leggero che sfiora il suolo come fosse una libellula» (p. 86), con un paragone tipicamente calviniano (anche «leggerezza d'una farfalla», p. XIX), e che non si trova nel testo d'Ariosto. Anche la descrizione così visualmente emblematicadi Olimpia, «figura di donna che si strappa i capelli», rivela come la lettura dell'Orlando Furioso funzioni fondamentalmente anche a immagini.

Nel corso degli Anni Sessanta si può vedere una crescente insistenza sulla funzione dell'immagine, sia nella genesi del testo (la famosa spiegazione dell'origine visuale della prima ispirazione nell'introduzione agli Antenati), sia per la produzione di significati (i tarocchi nel Castello). L'immagine diventa parte essenziale della poetica del fantastico per Calvino intorno a questi anni:

Al centro della narrazione per me non è la spiegazione di un fatto straordinario, bensì l'ordine che questo fatto straordinario sviluppa in sé e attorno a sé, il disegno, la simmetria, la rete d'immagini che si depositano intorno ad esso come nella formazione di un cristallo.(Le Monde, 15 agosto 1970, ora in Una pietra sopra, p. 216)

Certo che la visualità è sempre stata qualità spiccante nella scrittura di Calvino,
ma soltanto ora entra a far parte di una poetica esplicita.

Il poeta-narratore e il genere:

Ruggiero (...) era partito come personaggio di un poema cavalieresco tutto
avventure e meraviglie, ed ecco che rischia di trovarsi in mezzo a un poema
allegorico, (p. 31)

Notiamo il divertente corto circuito tra personaggio e genere, che trasforma, visualizzandolo, quest'ultimo in spazio da cui possono liberamente uscire e entrare i personaggi. Si veda per es. la bella visualizzazione dei rapporti tra l'lnnamorato del Boiardo e l'Orlando furioso:

In principio c'è solo una fanciulla che fugge per un bosco (...): è la protagonista
d'un poema rimasto incompiuto, che sta correndo per entrare in un
poema appena comminciato. (p. 3)

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Questo procedimento rispecchia l'impostazione narratologica del commento, ma può essere letto anche come un riflesso dell'importante insegnamento ariostesco che Calvino ha ritenuto sin dall'inizio: la praticabilità libera dei generi, che possono essere rivisitati e trasformati in nuovo senso in un nuovo contesto.

L'ottava. C'è nel commento all'Orlando furioso e negli articoli di Calvino
sull'Ariosto, soprattutto nella Piccola antologia di ottave (1975), una precisa
attenzione al verso e al metro:

flottava è la misura nella quale meglio roconosciamo ciò che l'Ariosto ha di
inconfondibile: nell'ottava Ariosto ci si rigira come vuole, ci sta di casa, il suo
miracolo è fatto soprattutto di disinvoltura, (p. XXV)

Non c'è dubbio che le caratteristiche dell'ottava ariostesca, sottolineate da Calvino, tra cui: il ritmo del narrare, con i suoi tagli, i cambiamenti, le svolte ironiche, e il modo di argomentare narrando, siano in un certo modo anche qualità dello stile della narrativa di Calvino. Più specialmente Claudio Varese, nel suo articolo Calvino librettista e scrittore in versi sottolinea l'importanza del verso ariostesco per la formazione di Calvino come scrittore in versi (Várese, p. 353-354).

// castello dei destini incrociati.

Le due parti del racconto, ovvero le partite del gioco, // castello e La taverna hanno una genesi molto diversa, di cui bisogna tener conto per poter seguire la «funzione Ariosto»: la prima scritta di getto in una settimana del 1968 con la doppia ispirazione dei tarocchi viscontei e dell'Orlando furioso, la seconda uscita nel 1973, dopo una gestazione travagliata di cinque anni.

// castello. Nel cuore del gioco-racconto, quando la partita è fatta, sta la storia di Orlando, raccontata con sedici tra le più belle carte. Genot, analizzando le implicazioni semantiche della disposizione dei tarocchi, così afferma: «On peut se demander si l'on a jamais représenté en une aussi simple et belle image la multiple splendeur du poème de PArioste» (Genot, p. 798). Considerando la centralità di Orlando, e soprattutto la genesi del Castello come ci viene spiegata da Calvino nella nota posposta al racconto, è facile immaginarsi come i tarocchi Re di spada (il cavaliere nero), // matto, la luna e l'Amore si siano disposti allegramente e per conto loro sul tavolo formando le storie di Orlando e di Astolfo.

// castello dei destini incrociati si apre con la premessa canonica di un'avventura
di libro di fiabe o, meglio, di poema ariostesco: l'arrivo sul far della notte
in un castello nel mezzo di un fitto bosco, dove trovano rifugio «quanti la

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notte aveva sorpreso in viaggio: cavalieri e dame, cortei reali e semplici
viandanti».

Così G. B. Squarotti, nell'articolo Dal castello al Palomar: il destino della letteratura, della cui interpretazione del Castello abbiamo tenuto conto in quanto segue (Squarotti, p. 329). Ariostesco dunque lo spazio e il repertorio di storie a cui attingere, concepito come l'archetipo di tutte le avventure possibili.

Di impostazione diversa, e in fondo non ariostesca, invece la tematizzazione
delle sequenze narrative, lo statuto del narratore, il ritmo del racconto.

Orlando, il cavaliere, rappresenta non più le energie vitali, ma «le congeniali carneficine», «il regno del discontinuo e distinto», descritto in opposizione ai due regni di continuità, quello dell'amore e quello della natura. Con un procedimento inverso a quello allegorico, cioè concettualizzando l'immagine invece di rappresentare il concetto in immagine - si ritorna in fondo a una specie di allegoria, considerando anche la staticità dei racconti. Pure Agilulfo appartiene al regno del discontinuo e del distinto, ma egli possiede la tensione di una storia non ancora raccontata, mentre Orlando è diventato emblema di una sequenza già riempita, come si vede anche nella stessa forma dell'istanza narrativa: non solo i narratori sono ammutoliti, ma il tempo è trascorso, le storie esistono solo nel passato. Il viaggio nel labirinto non ha più estensione spaziale.

Di Orlando divenuto pazzo si dice nel commento ali' Orlando furioso: «Se fosse solo, si perderebbe nel caos della natura bruta» (p. 160), e nel Castello ritroviamo lo stesso concetto: «ecco che Orlando era disceso giù nel cuore caotico delle cose» (p. 33). La perdita dell'io, l'annegare nel mare dell'oggetività rappresentato da Gurdulù nel Cavaliere inesistente è qui pazzia, ma con significati più complessi di prima, non più soltanto visione negativa da parte di un soggetto razionale, ma riconoscimento di una complessa tensione tra razionale e irrazionale. Si nota in questa tematica, come anche nel contemporaneo articolo Cibernetica e Fantasmi, una meditazione sull'irrazionale inconscio, non usuale in Calvino. Il contesto del modernismo, per il quale la pazzia costituisce un fulcro semantico sovversivo, e i tarocchi, hanno costretto Calvino a ripensare la pazzia dell'Orlando, tema fondamentale e fondamentalmente polisemantico in Ariosto, nella tensione irrisolta tra razionalità e irrazionalità. La sequenza di Orlando si chiude con il tarocco l'appeso, dove il narratore, testa in giù, afferma: «Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge all'incontrano. Tutto è chiaro» (p. 34) con un ricordo preciso del passo ariostesco:

E se tu vuoi che'l ver non ti sia ascoso
tutta al contrario l'istoria converti. ( O.F. 35, 27, 5-6).

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Presa in giro di ingenui rovesciamenti di senso? o annullamento di ogni
senso? L'ironia ci consegna solo una paradossale complessità di significati.

Astolfo, poeta lunare: interpretabile anche nel poema dell'Ariosto come un
riflesso del poeta, Astolfo rappresenta nel racconto dei tarocchi emblematicamente
la figura dello scrittore.

La sequenza di Astolfo costringe Calvino a interpretare il segno della luna, che è un immagine importante in tutta la narrativa di Calvino. Egli si pone esplicitamente in una linea di «poeti lunari», Ariosto, Galilei, Leopardi, {Una pietra sopra, p. 186-87). In che modo dobbiamo intendere il termine di poeta lunare? Quali significati sono per Calvino connessi con il motivo e l'immagine della luna? Possiamo individuare almeno tre interpretazioni tematiche della luna:

1. la luna rappresenta la natura, contrapposta all'artificialità della vita
industrializzata, nel racconto di Marcovaldo Luna e gnac, (chiaro di luna vs
la luce accecante ed intermittente dei neon pubblicitari);

2. in un'ottica junghiana la luna rappresenta l'inconscio, l'irrazionale, il femminile. Si veda il racconto La distanza dalla luna, nelle Cosmicomiche, con al centro della storia una luna enorme, lattosa, simbolo dell'attrazione delle forze irrazionali, a cui però il protagonista riesce a sottrarsi;

3. credo però che lunare in fondo per Calvino stia soprattutto a significare una qualità stilistica, da determinare con le parole precisione e leggerezza. Per spiegare la qualità di lunare per quanto riguarda Galilei Calvino si esprime in questi termini: «Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose» {Una pietra sopra, p. 183). E in un'intervista del 1968 afferma «appena la Luna compare, nel linguaggio di Galileo si sente una specie di rarefazione, di levitazione» (il corsivo è mio) {Una pietra sopra, p. 186). Ricordiamo nelle Città invisibili l'immagine della città di Lalage, a cui «la luna ha dato un privilegio più raro: crescere in leggerezza» {Le città invisibili, p. 80.) Nelle Lezioni americane, al primo capitolo sulla Leggerezza, che più intimamente rappresenta la poetica di Calvino si torna a parlare di un poeta lunare come esempio di sospensione e di leggerezza, Cyrano de Bergerac. La prima formulazione della qualità fondamentale di leggerezza sembra avvenuta nel 1959, nell'articolo citato sopra, in rapporto a «quel poeta cosmico e lunare» che è PAriosto, e Astolfo ne diventa il segno, come risulta anche chiaramente dal commento ali'Orlando furioso. Nel Castello invece, la luna non rappresenta, come in Ariosto, il mondo alla rovescia, capace di fornire altri sensi, né l'inconscio, ma si svuota di significati riducendosi alla bianca pagina da cui ha inizio ogni storia. L'apparizione della luna come motivo non ha dato allo stile una vera levità, anche se Calvino si sforza di rappresentare Astolfo con la spensierata leggerezza che gli conosciamo da\YOrlando Furioso.

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Nella Taverna l'atmosfera è molto diversa. All'apertura di racconto non c'è spazio, né personaggi. Sentiamo una voce che parla: « Veniamo fuori dal buio, no, entriamo, fuori c'è buio, qui se vede qualcosa, in mezzo al fumo, la luce è fumosa...». Sembra una voce venuta dal cuore caotico del mondo, che cerca di farsi strada verso una coscienza. E il tema di questo secondo complesso di storie è l'angosciosa domanda se la letteratura e il linguaggio ci permettano ancora di arrivare a una conoscenza. I tarocchi portano in scena famosi personaggi della letteratura mondiale: Faust, Amieto, Re Lear; anche avventure ariostesche, con un'autocitazione di Bradamante che si spoglia dell'armatura, del Cavaliere inesistente. Ma non contano più le storie, pur nella difficile interpretazione; alla fine tarocchi e personaggi si mescolano; e rimane la questione se il mondo è ancora narrabile. Conclusione poco ariostesca : il gioco è servito a rappresentare (come diceva Genot) un mondo di storie possibili, ma non a reinventarne un nuovo.

La poetica dell'immagine a cui è esplicitamente demandato il compito di sostituirsi alla parola ammutolita (le immagini dei tarocchi costituiscono gli elementi del racconto) non riesce a ricreare un discorso , forse intrappolata dalle immagini troppo concrete dei tarocchi. Riteniamo un'ultima immagine del cavaliere, nel momento della sua dissoluzione come sequenza narrativa possibile: il cavaliere al bivio, la storia áúYlndeciso, che possiede una forte carica di autobiografia psichica ed intellettuale. L'interpretazione suggestiva dei dipinti di Carpaccio a Venezia, in cui Calvino unifica il San Giorgio di una parete, ossia l'archetipo del cavaliere, con il San Gerolamo dell'altra in una stessa figura, rispecchia in modo molto più complesso la figura Bradamante-Teodora, nelPesplorare le intricate relazioni dello scrittore tra «vita attiva» e «vita contemplativa». L'impossibilità del discorso narrativo e immaginario, che sembra l'enunciato di questo ciclo di racconti rappresenta in fondo anche, se non soltanto, l'impossibilità del performance combinatoria (si veda anche la nota di Calvino al testo: «il mio interesse teorico ed espressivo per questo tipo d'esperimenti si è esaurito» (p. 128)). Tant'è vero che Calvino negli anni 70-72 {La taverna è pubblicato nel 1973) aveva scritto quel libro straordinario che sono Le città invisibili, che costituisce un catalogo di città possibili che per la loro pura esistenza poetica sono un enunciato sulla non perduta capacità del linguaggio immaginario a formare, e dunque, ad essere conoscenza e coscienza.

IV. Gli ultimi interventi

Dopo la doppia riscrittura del poema ariostesco negli anni 67-73 la stagione ariostesca di Calvino sembra finita. Intorno al centenario dell'Ariosto, nel 1974, Calvino redige alcuni interventi, che in sostanza sono una ripetizione della lettura esplicitata nell'articolo del 59-60 e nel commento aXYOrlando Furioso. Si tratta degli articoli Ariosto geometrico (1974), Piccola antologia di

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ottave(l97s) e The structures of Orlando Furioso, testo di un'emissione radiofonicadel 1974, pubblicato in inglese nel 1986, che costituisce un riassunto molto bello per un pubblico non italiano delle opinioni espresse soprattutto néN Orlando furioso raccontato da 1.C.. Negli ultimi racconti sono rari i motivi ariosteschi, anche se temi labirintici ritornano in Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979). La stagione della trasfigurazione fantastica è terminata.

Conclusione

Se nelle Lezioni americane, scritte nell'ultimo anno di vita di Calvino il nome di Ariosto appare solo una volta di sfuggita, possiamo notare come tre delle qualità scelte a rappresentare l'essenza della letteratura, siano state formulate in concomitanza con le riflessioni poetiche delle stagioni intensamente ariostesche di Calvino:

1. La visibilità costituisce già intorno al 1959, senza essere nominata con questo termine, una parte fondamentale della poetica della trasfigurazione fantastica, richiamata anche come momento essenziale della genesi dei racconti. A partire dal 1970, nel definire un fantastico italiano diverso da quello dell'Ottocento europeo, Calvino mette al centro di una sua poetica del fantastico l'immagine fantastica, come sarà poi sviluppato nel saggio Visibilità. Più precisamente credo si possa individuare un momento «utópico» nella narrativa di Calvino, in cui la carica utópica è collegata all'espressività non razionale dell'immagine fantastica, un periodo che va dal Cavaliere inesistente alle Città invisibili, (cfr. Petersen, p. 93-94). Due sono le immagini portatrici dei significati utopici: il cavaliere con la sua quête aperta, e la città, spazio da esplorare. La svolta da personaggio-emblema a spazio-emblema rispecchia lo spostamento da un'ottica collegata all'immagine dello scrittore (cfr. i tratti «autobiografici» dei cavalieri) a un punto di vista trasferito al lettore (personaggio che esplora lo spazio).

2. La molteplicità: abbiamo visto come l'intrecciarsi inesauribile di storie e avventure deWOrlando Furioso abbia costituito, dopo le fiabe, nel momento della poetica del gioco combinatorio, l'archetipo delle storie possibili, e il modello di una struttura molteplice.

3. La Leggerezza, qualità stilistica che si fa anche atteggiamento psichicoesistenziale e che percorre, come ricerca, tutta la narrativa di Calvino, è anche qualità eminentemente ariostesca, in cui si è riconosciuta la parte più luminosa di Calvino.

Lene Waage Petersen

Università di Copenaghen

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Riassunto

Eopera dell'Ariosto, e più precisamente VOrlando furioso, costituisce un punto fondamentale di orientamento e di ispirazione per l'opera di Italo Calvino. Quest'articolo si pone come ricerca della «funzione Ariosto» in Calvino, al livello di poetica esplicita (nei saggi) e di poetica implicita (nelle opere che si pongono in relazione intertestuale coiì'Orlando furioso) e a un livello di profondo orientamento soprattutto formale più intimamente presente nella scrittura di Calvino. Si prendono in considerazione quattro periodi o momenti dell'attività letteraria di Calvino: 1. un primo periodo di presenza ariostesca «invisibile» o implicita; 2. il momento del Cavaliere inesistente, che da luogo alla formulazione di una poetica di «trasfigurazione fantastica»; 3. il periodo della doppia «riscrittura» dell'Orlando furioso, II castello dei destini incrociati (1968-1973) L'Orlando furioso, raccontato da Italo Calvino (1967-1970), e 4. un ultimo periodo di una presenza di nuovo soprattutto implicita.

Testi citati:

Testi di Italo Calvino:

// cavaliere inesistente, in / nostri antenati, 1960 (8a ed.).

L'Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, 1970 (2a ed.).

Piccola antologia di ottave, La rassegna della letteratura italiana, genn.- agost., 1975.

The structure ofOrlando furioso, in The uses ofLiterature, New-York-London, 1986,
p.162-174.

Per gli altri saggi si cita dalla raccolta Una pietra sopra, 1980.

Saggi critici:

Cardona, G. R.: Fiaba, racconto e romanzo, in Italo Calvino. Atti del convegno internazionale,
Milano, 1988, pp. 187-201.

Dolfi, A.: Eultimo Calvino o il labirinto d'identità, Italianistica, maggio-dicembre
1983, pp. 353-379.

Ferretti, G. C: Le capre di Bikini, 1989.

Genot, G.: Le destin des récits entrecroisés, Critique, agosto-sett. 1972, pp. 788-809.

Petersen, Lene Waage: II fantastico e l'utopia. Percorsi e strategie del fantastico in
Italo Calvino con speciale riguardo a Le città invisibili, Revue Romane, 24,1,1989,
pp. 88-105.

Squarotti, G. B.: Dal Castello a Palomar: il destino della letteratura, in Italo Calvino.
Atti del convegno (cit.), pp. 329-345.

Várese, Claudio: Calvino librettista e scrittore in versi, in Italo Calvino. Atti del convegno
(cit.), pp. 349-368.