Revue Romane, Bind 26 (1991) 1Svend Bach, Jorgen Schmitt Jensen: Storre italiensk grammatik. Kobenhavn, Munksgaard, 1990. viii+7s9 p.Lars Larsson
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Lo studio della grammatica della lingua italiana si va sempre intensificando, ne è testimone la pubblicazione di parecchie grammatiche nel corso di pochi anni: nel 1988 vengono pubblicate le grammatiche di Carrera Díaz {Curso de lengua italiana, 1: Parte teòrica, Ariel, Barcelona), Schwarze (Grammatik der italienischen Sprache, Niemeyer, Tubingen), Serianni (Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, UTET, Torino) e quella curata da Renzi (Grande grammatica italiana di consultazione, 1: La frase. I sintagmi nominale e preposizionale, II Mulino, Bologna); nel 1990 quelle di Reumuth e Winkelmann (Praktische Grammatik der italienischen Sprache, Gottfried Egert Verlag, Wilhelmsfeld) e di Krenn (halienische Grammatik, [che purtroppo non ho ancora potuto consultare]), e, infine, la Storre italiensk grammatik di Svend Bach e Jorgen Schmitt Jensen (in seguito SB e JSJ) e che qui verrà trattata in modo particolare. Qui non ho l'intenzione di mettere a confronto quest'ultima grammatica con le altre; farò comunque qualche breve osservazione di carattere generale su ognuna di esse, con l'intento di mostrare in che cosa la grammatica di SB e JSJ si distingua dalle altre. Le grammatiche menzionate sopra sono state concepite e elaborate con metodi e scopi molto diversi, ma due di esse si distaccano dalle altre in quanto non sono contrastive: quella di Serianni e quella curata da Renzi. La trattazione di Serianni è senza dubbio la più tradizionale e conservativa di tutte; oggetto della sua descrizione è «l'italiano comune: quello che chiunque scrive (o dovrebbe [corsivo mio], o vorrebbe scrivere) e che è non solo scritto ma anche parlato dalle persone colte in circostanze non troppo informali» (p. VII), dal che si deduce che la trattazione non è soltanto descrittiva ma anche normativa. L'autore non cita soltanto esempi della lingua di oggi, ma da notevole spazio alle sue fasi precedenti. Fra le grammatiche scritte in italiano
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questa è per il momento la più completa, una specie di Battaglia e Pernicone aggiornata. La Grande grammatica italiana di consultazione (sono previsti ancora due volumi) è concepita in base alla grammatica generativo-trasformazionale e nella veste attuale è rivolta direttamente agli specialisti: «Quella che abbiamo voluto fare è una grammatica specialistica, completa e rigorosa dell'italiano. Speriamo che a partire da essa ... si possa semplificare ancora, ad uso dei ragazzi, delle scuole, del lettore comune.» (p. 23). In questo volume, che non è una grammatica in senso tradizionale, sono riuniti articoli di varia lunghezza, dedicati a singoli campi della sintassi dell'italiano nell'ambito dei SN e dei SP. I vari capitoli sono stati curati da noti italianisti, che in questo volume presentano in forma sintetizzata il risultato delle proprie ricerche. Basti citare G. Cinque (La frase relativa), L. Renzi (L'articolo) e L. Rizzi (// sintagma preposizionale). Le grammatiche che si rivolgono in primo luogo agli stranieri sono nettamente contrastive, in quanto gli esempi vengono sempre tradotti in spagnolo (Carrera Díaz) e tedesco (Schwarze; Reumuth e Winkelmann). SB e JSJ traducono raramente gli esempi ma aggiungono d'altro canto spesso una spiegazione all'esempio citato: «E' maschio o femmina? (sagt om fx en nyfodt [detto ad esempio di un neonato])» (§102.1 e, p. 173); «L'ltalia si alleò con la Francia (taet knyttet til verbum strettamente al verbo])» (§276.0, p. 351); «Lavora presso una ditta famosa (ogsâ [anche]: in una ditta famosa)» (§208.1, p. 287); ecc. Anche le grammatiche contrastive sono impostate in modo diverso. Carrera Díaz ha scritto un manuale il cui scopo è prevalentemente didattico, il che risulta già dal titolo. Questo Curso si rivolge a «hispanohablantes» che «se inician enel estudio de la lengua italiana» (p. 9). Il materiale è stato ordinato secondo «criterios de progresión lógica y economía del rendimiento didáctico», per cui viene eliminata formalmente «la clásica división entre morfología y sintaxis». La grammatica di Reumuth e Winkelmann è la più tradizionale di tutte. Mancano completamente discussioni teoriche. Gli autori danno una regola, cui seguono gli esempi, tradotti in tedesco, e basta. Questa grammatica è comunque, nonostante il piccolo formato rispetto alle altre qui menzionate, molto ricca di informazioni. La grammatica di Schwarze, concepita in base ai principi di forma e funzione, è divisa in quattro capitoli: 1) La frase semplice; 2) La frase complessa; 3) La formazione delle parole; 4) La funzione cognitivo-comunicativa della lingua e la sua espressione grammaticale. Con questa quadripartizione del materiale sarebbe stato auspicabile che il volume fosse corredato di un indice analitico, perché non è sempre facile sapere dove cercare l'informazione desiderata, se nelle parti dedicate alla morfologia (cap. 1) o alla sintassi (cap. 2) o nella parte che considera l'aspetto funzionale della lingua (cap. 4). L'impostazione strutturalista della grammatica è poco economica nel senso che essa richiede molto spazio, per cui il numero delle pagine non è in correlazione con i «dati» contenuti in esse. Direi perciò che è soprattutto il modo in cui l'autore presenta il materiale che attira l'interesse e ho l'impressione che questa grammatica sarà più il manuale degli insegnanti che non degli studenti. Con la pubblicazione della grammatica di SB e JSJ il pubblico scandinavo e danese
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tradizionale: ha i paragrafi numerati in continuazione ed è corredata di un ampio La grammatica si rivolge a tutti coloro che vogliano studiare l'italiano, sia a italianisti e studenti universitari che a un pubblico più vasto. Perciò gli autori hanno cercato di evitare una terminologia troppo specializzata (p. v). La grammatica descrive la lingua italiana contemporanea, parlata e scritta, considera vari livelli di stile e, in alcuni casi, certi fenomeni regionali. Questi livelli vengono indicati tramite l'uso di abbreviazioni per antiquato, arcaizzante, dialettale, familiare, letterario, «linguaggio quotidiano», popolare. Troviamo inoltre abbreviazioni per generalmente e raro. Easterisco e il punto interrogativo vengono usati per indicare costruzioni impossibili e quasi impossibili rispettivamente. Non si tratta comunque di una descrizione sistematica dei registri troppo distanti dalla «norma» generale (p. v). La descrizione si basa soprattutto su manuali e altri studi già esistenti ma anche su indagini particolari svolte dagli autori. Gli esempi citati provengono da fonti sia orali che scritte; a volte essi sono stati costruiti apposta ma sono stati debitamente «controllati» da informatori. Gli autori hanno ovviamente collaborato alla realizzazione della grammatica ma essa non è il risultato di una stretta collaborazione in quanto SB e JSJ, sin dall'inizio, si sono divisi il lavoro da svolgere nella maniera seguente: JSJ è responsabile delle parti dedicate al verbo (ad eccezione dei paragarafi dedicati al tempo e all'aspetto del verbo) [pp. 52-94; 370-399; 460-543; 557-647], ai pronomi personali (pp. 37-38; 184-199), (pp. 38; 199-206), relativi (pp. 48-51; 260-267) e interrogativi (pp. 51; 267-272), alla negazione (pp. 357-369), e alla concordanza (pp. 661-668). Le parti restanti della grammatica sono state scritte da SB. Il libro consta di quattro parti principali: Fonetica e ortografia (pp. 1-23), Morfologia (pp. 25-94), Sintassi (pp. 95-668), Formazione delle parole (pp. 669-701). Il volume è corredato inoltre di un elenco di abbreviazioni (pp. vii-viii), una bibliografia delle opere di linguistica citate (pp. 703-708), un indice analitico (pp. 709-737) e un indice generale (pp. 739-759). Il volume è, come si vede, di notevole ampiezza, per cui devo limitarmi, per ovvie ragioni, a fare alcune osservazioni di carattere generale, che riguardano tutto il volume e che sono il risultato di una prima rapida lettura della grammatica. Per vedere in quale misura le regole che vengono date siano affidabili, ho comunque studiato con maggiore attenzione alcuni singoli paragrafi. Consultando l'indice sinottico (p. iv), mi ha subito colpito il fatto che gli autori hanno mantenuto la tradizionale divisione in Morfologia e Sintassi. Gli autori non ne danno alcuna giustificazione. Sarebbe senza dubbio stato più facile consultare la grammatica se i vari paragrafi della parte morfologica fossero inseriti all'inizio dei sottocapitoli corrispondenti dedicati alla sintassi. Con l'aggiunta della parte dedicata alla formazione delle parole, arriviamo perfino, come nel caso del SN, a una tripartizione del materiale, in quanto la formazione del plurale dei nomi e degli aggettivi e l'accordo dell'aggettivo vengono trattati in tre parti distinte del volume: i nomi «normali» nella morfologia, i nomi del tipo il muro - i muri/le mura nella sintassi e i nomi composti nella parte dedicata alla formazione delle parole. Un altro fatto che mi ha colpito è che in questa grammatica la Morfologia occupa solo un decimo del volume. Nelle grammatiche che osservano questa bipartizione la parte morfologica è spesso grande quanto quella sintattica (cosi ad esempio nella grammatica italiana di M. Plum). Questo dipende in parte dall'esistenza della parte
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dedicata alla formazione delle parole ma anche dal fatto che fenomeni che qui si trovano nella Sintassi generalmente vengono trattati nella Morfologia. Nonostante questo, mi sembra che la parte morfologica in questa grammatica sia meno ricca di informazione rispetto a quella che si trova in grammatiche più «piccole». Per illustrare questo fatto esaminerò ora più da vicino la parte dedicata al nome. SB divide i nomi secondo il genere e la desinenza al plurale in cinque gruppi, il primo dei quali ulteriormente suddiviso in tre sottogruppi e il terzo in sette: 1) nomi masch. e fem. (con desinenze differenti): a) // tempo - i tempi b) la casa - le case; e) /'/ problema - i problemi; 2) nomi masch. e fem. (con desinenze identiche): il giornale - i giornali, la chiave - le chiavi; 3) nomi con la stessa forma al sing. che al plur. (v. infra); 4) nomi masch. in -o con cambiamento di genere e con la desinenza -a al plur.: l'uovo - le uova; 5) parole straniere, che mantengono il genere e la desinenza al plurale della lingua di origine: il leader - i leaders (ev. / leader), il mémoire - i mémoires (§7, pp. 26-28). I nomi ambigeneri al plurale vengono trattati nella Sintassi (§ 70, pp. 117-121), il genere e il plurale dei nomi composti nella Formazione delle parole (§§so9-513, pp. 670-678). Del genere dei nomi «normali» e del rapporto che in molti casi esiste trail genere grammaticale e la terminazione del nome si dice ben poco. Nei §§ 520-521.2 (pp. 689-692) vengono trattati i nomi del tipo figlio -figlia, dottore - dottoressa, ecc, e in nota quelli che non presentano la corrispondenza tra genere grammaticale e genere naturale (tipo la sentinella e il/la soprano). Nel § 521.3 (pp. 692-693) vengono menzionati alcuni nomi maschili/femminili del tipo il pero - la pera, il soffitto - la soffitta e pochi dei parecchi omonimi esistenti del tipo il fronte - la fronte. Tornando ora alla parte dedicata al nome «normale» (§§7-10, pp. 26-30), osserviamo che lo spazio dedicato ad esso è piuttosto ridotto, cinque pagine in tutto, di cui la metà viene riservata alle regole che riguardano la grafia e la pronuncia (tipo // sindaco - i sindaci, il carico - i carichi, ecc.). A titolo di paragone si può menzionare che alla morfologia dei numerali cardinali vengono dedicate quattro pagine (§23, pp. 40-43), ai relativi tre e mezzo (§§27-28, pp. 48-51). Considerando anche la parte sintattica, mi sembra di poter osservare a volte un certo squilibrio tra il numero di pagine dedicate a un certo fenomeno grammaticale e la difficoltà che lo stesso fenomeno costituisce per uno scandinavo. Questo vale ad esempio per l'uso degli articoli nei SN in funzione di predicato nominale (§§loo-104, pp. 170-177). Per quanto riguarda la morfologia del nome mi domando anche se non sarebbe ora di non dividere il nome in più classi (secondo l'origine etimologica o in altro modo). Proporrei invece il seguente schema come regola principale per la formazione del plurale dei nomi:
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La regola è semplice: i nomi femminili in -a hanno il plurale in -e; tutti gli altri nomi 1) La regola è valida anche per i nomi ambigeneri, cioè quelli con genere naturale: 2) Alcuni nomi conservano al plurale la stessa forma del singolare, cioè sono 3) Alcuni nomi hanno la desinenza -a al plurale. 4) Alcuni nomi hanno due desinenze al plurale. 5) I nomi «irregolari» sono pochi: l'ala - le ali, l'arma - le armi, il bue - i buoi, il 6) La regola è valida solo in parte per i nomi composti. Per quel che riguarda le regole date nella Morfologia, avrei qualche osservazione da p. 26 (§7, primo gruppo, a): Alcuni nomi in -o sono invariabili: avocado, shampoo, p. 26 (§7, primo gruppo, e): Non tutti i nomi che terminano in -ma e -(is)ta sono p. 27 (§7, terzo gruppo, e): I nomi abbreviati con desinenza in o non sono sempre femminili: il frigo, lo stereo, lo zoo. Varrebbe forse la pena di aggiungere a la radio e la foto le altre abbreviazioni femminili in -o. Aggiungerei ancora che qualsiasi parola abbreviata rimane inalterata al plurale: le bici, i caccia, i cine(ma), i mitra, ecc. Il motivo per cui cinema e mitra sono inalterati al plurale non dipende dal fatto che hanno la desinenza in -a (terzo gruppo, f). p. 27 (§7, terzo gruppo, f): Non direi che i nomi maschili in -a e invariabili al plurale siano pochi. Si tratta di una categoria molto eterogenea composta da parole sostantivate o ellittiche, soprattuto, da parole di origine straniera (non di rado esse sono denominazioni di animali: barracuda, boa, cobra, gorilla, lama, panda, puma, ecc.). p. 28 (§7, terzo gruppo, g): Alle lettere si potrebbero aggiungere le cifre e le note. p. 28 (§7, quinto gruppo): Ho l'impressione che leader sia la forma plurale più p. 29 (§8.2): Le forme con la velare (farmachi, stomachi, fondachi) vanno considerate p. 31 (§l2, terzo gruppo, a): Non è necessario che l'aggettivo finisca per vocale p. 31 (§l2, terzo gruppo, e): Eaggiunta (a mio vedere superflua) a pie di pagina
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p. 32 (§13): Dovrebbe essere inserita in questo paragrafo la regola che determina la formazione del superlativo assoluto in -issimo, cioè che esso viene formato in base alla radice fonetica dell'aggettivo al maschile plurale: stanchi [-ki] - stanchissimo; simpatici [-tji] - simpaticissimo; vecchi - vecchissimo; pii - piissimo. Manca inoltre l'unica eccezione alla regola: ampio - amplissimo. p. 33 (§13.3): «grande forkortes isaer i relativi faste forbindelser tiì gran (...) eller grand1 (foran vokal) ¡grande viene abbreviato soprattutto in espressioni più o meno fisse in gran (...) o grand' (davanti a vocale)]». Il troncamento avviene soprattutto quando grande ha significato astratto e l'elisione avviene in pratica soltanto al maschile nelle due combinazioni grand'uomo e Grand'Hôtel. p. 34 (§l5, note 1): «Nâr -mente fojes til adjektiver der ender pâ -le eller -re bortfalder disses finale -e [Quando -mente viene aggiunto a un aggettivo che termina in -le o -re la -e finale cade]». La regola vale soltanto nei casi in cui -le e -re sono preceduti da vocale: acre - acremente; mediocre - mediocremente; lugubre - lúgubremente [benché raro]; folle - follemente. Come risulta dagli esempi, la elle e la erre costituiscono sempre il secondo elemento di un nesso «muta cum liquida». p. 34 (§l5, note 2 a): «bortfald af finalvokal finder ogsâ sted i to [corsivo mio] adjektiver pâ -lo og -ro [benevolo e leggero] [la vocale finale cade anche in due [...] aggettivi in -lo e -ro]». Si aggiungano ancora malevolo e ridicolo. Forse sarebbe meglio dire, come nel caso precedente, «nei seguenti aggettivi in vocale + -lo e -ro» o «nei seguenti aggettivi in -ero e -oh», data l'esistenza di aggettivi terminanti in «muta cum liquida» + o: allegro - allegramente. p. 34 (§l5, note 2 b): Oltre a violento esistono almeno altri tre aggettivi in -ento che p. 35 (§l6, note 1): «Fórmeme lo og gli bruges endvidere ogsâ foran mere usœdvanlige initialkonsonanter og konsonantgrupper som ps-, pn-, gn-, x-, og evt. [corsivo mio] i + vokal [Le forme lo e gli vengono usate inoltre davanti a consonanti e gruppi di consonanti meno comuni come ps-, pn-, gn-, x- e eventualmente i + vocale]». Eesempio àipn- è ovviamente il «classico» lo pneumatico della norma, che però quasi sempre viene preceduto da il: il pneumatico. Per quanto riguarda la combinazione i + vocale sarebbe meglio dire [j-] + vocale: lo iato, lo jugoslavo [ma i jeans], lo yogurt (forme come l'iato e il jugoslavo sono rare). Per quel che riguarda il tipo s + consonante (lo stile) va precisato che anche i nomi che iniziano per [J-] (rappresentato da grafie varie) sono preceduti da 10/gli: lo champagne, lo scialle, lo shampoo. Meriterebbero una menzione particolare i prestiti in h-, che normalmente vengono trattati come se l'acca iniziale fosse muta e la parola iniziasse per vocale: l'hapax, Vhinterland, l'hockey, l'hotel (sempre però la hall). Anche altre combinazioni di consonanti possono comportare l'uso di 10/gli: «Allo Ngaga preme molto che lo Sciacallo sia in buona salute» (Grazia, 29.7.1984, p. 127,2); «Fatevi indicare subito il corallo di fuoco, il pesce pietra, lo Pterois volitans (pesce scorpione)» (Club vacanze, Villaggi ai Tropici, inverno 1990/91, p. 49,1); «la magica atmosfera che loHyatt Hotel regala a tutti i suoi ospiti« (Going, edizione inverno 1990/91, p. 24). p. 39 (§22): Si dice troppo poco a proposito dell'elisione di questo e quello. pp. 48-51 (§§27-28): II lettore non specialista avrà difficoltà a capire da una parte
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mentre il quale sostantivale introduce una relativa aggettivale con antecedente esplicito. p. 67 (§37): Non assegnerei un valore asillabico alla / in inviamo (e altre forme) p. 69 (§39): Questo è un paragrafo importante per lo studente e che mi augurerei La parte centrale del volume, la Sintassi, viene introdotta da un capitolo dal titolo Principi generali (pp. 96-112), nel quale vengono analizzate le parti del discorso e le loro funzioni grammaticali. Segue poi una serie di capitoli dedicati al SN: Nomi, aggettivi e avverbi di modo (pp. 113-154); Determinativi, pronomi e proawerbi (pp. 155-272) e al SP Preposizioni (pp. 273-333). Dopo i brevi capitoli Congiunzioni (pp. 334-335) e Avverbi (pp. 337-339) segue di nuovo un capitolo che tratta sia il SN che il SP: Indicazioni particolari di tempo e luogo (pp. 340-356). Dopo il capitolo Negazioni (e espressioni affermative) (pp. 357-369) si passa al SV, che viene presentato in cinque capitoli diversi: La struttura interna del SV (pp. 370-399); Tempo e aspetto (pp. 400-454); (pp. 455-459); // congiuntivo nelle proposizioni principali (pp. 460-466) e Imperativo (pp. 467-468). La seconda parte della Sintassiviene dedicata alle proposizioni subordinate. Come nel caso dei vari sintagmi costituenti della frase semplice, troviamo qui un capitolo introduttivo Proposizioni subordinate: Classificazione (pp. 469-495). Seguono poi i tre capitoli L'uso del modo verbale (indicativo - congiuntivo) nelle proposizioni subordinate (pp. 496-543); Tempo e aspetto nelle proposizioni subordinate (pp. 544-556) e / modi indefiniti del verbo (pp. 557-647). Nelle pagine rimanenti della Sintassi si fa qualche accenno ali'Ordine delle parole (pp. 648-660) e all'Accordo (pp. 661-668). Molti capitoli (e sottocapitoli) della Sintassi si basano evidentemente sul magnum opus di JSJ: Subjonctif et hypotaxe en italien. In questo studio si trovano, come è ben nofo, informazioni non solo sul congiuntivo ma anche su molti altri aspetti della sintassi dell'italiano. La terminologia, la descrizione e l'analisi grammaticale di JSJ viene ora ripresentata in forma condensata, soprattutto nei capitoli dedicati alla classificazione delle proposizioni subordinate (pp. 469-495) e all'uso del congiuntivo (pp. 460-466 e 496-543) ma anche in quelli che trattano i pronomi e gli avverbi relativi e interrogativi (pp. 260-272) e la negazione (pp. 357-369). In altri casi, JSJ si è trovato nella favorevole posizione di poter appoggiare, in modo più o meno diretto, la sua descrizione su studi specifici già esistenti; penso in primo luogo al capitolo, molto lungo del resto, in cui vengono trattate le forme indefinite del verbo, ma anche ai paragrafi in cui vengono trattati i pronomi personali e possessivi, il si, e l'uso degli ausiliari. Per quanto riguarda i capitoli dedicati ai relativi (pp. 48-51 e 260-267), l'esposizione avrebbe guadagnato molto se JSJ avesse tenuto conto di alcuni articoli di G. Cinque. A SB è toccato il compito di trattare le parti restanti della Sintassi, compito, questo, che non deve essere stato senza problemi, dato che SB ha potuto basare in misura minore la sua esposizione su lavori già esistenti. Alcune delle categorie trattate da SB sono poi difficili da descrivere in modo sistematico, in quanto si tratta di problemi di carattere sintattico-lessicali. Questo vale ad esempio per l'uso dell'articolo e delle preposizioni, che in molti casi può variare da un nome all'altro. A volte mi sembra anche che la descrizione di un certo aspetto o costrutto sia più una descrizione
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di varie possibilità che una descrizione dei limiti dell'aspetto o costrutto in questione. In altri casi ancora sembra che le regole siano state formulate ad hoc, come, ad esempio, quella data nel §274 a (p. 349): «samt onavne der fonetisk ligner traditionellelandsnavne ved atende pâ -ia, -gna (la Sicilia, la Sardegna, la Groenlandia), eller übetonet -ica (la Corsica) [e i nomi di isole che foneticamente sono simili ai tradizionalinomi di stati in quanto terminano in -ia, -gna (...) o -ica atono (...)]». La regola è senza dubbio di scarsa utilità pratica, dato l'esiguo numero di nomi di isole che terminano in -ia, -gna e -ica: si tratta in primo luogo delle regioni Corsica, Sardegna e Sicilia e delle nazioni Groenlandia, Manda e Manda. A volte si possono trovare contraddizioni all'interno di uno stesso paragrafo, come nel caso del §278 (p. 355): «Et efterstillet adjektiv, der betegner midlertidig status eller aktivitet (...) fremkalder heller iklce artikel [un aggettivo posposto che indica uno stato o un'attività temporaneanon comporta l'uso dell'articolo]»; l'aggettivo in di Roma antica non si distingue da quello in nella Lucca medievale. Nell'ultimo caso l'articolo determinativo è obbligatorio(quando la preposizione è in), mentre l'uso dell'articolo presenta una forte oscillazione quando si tratta di un sintagma del tipo '(PreP- [non in]) + nome di città + aggettivo'. Questa ed altre inesattezze nei paragrafi 274-279 (pp. 349-356) sembranoderivare da uno studio troppo superficiale della fonte su cui si appoggia SB. Segue ora qualche osservazione sporadica, risultato di questa prima lettura della p. 133 (§76.1 note): Non credo che si possa dire la maggior parte e la più gran parte p. 133 (§77.1): Ho dei dubbi sull'uso di più buono nell'esempio L'ultimo suo p. 134 (§77.2 note): La combinazione proprio mica male nell'esempio Hai una p. 134 (§78.1): Non capisco perché si parli di dativo a proposito dell'esempio La p. 188 (§118): È possibile semplificare di parecchio lo schema per rendere conto 1. mi 2.gli, le (dat.) 3. vi 4. ti 5. ci 6. si (riti.) 7. 10, la, li, le (dat.) 8. si (sogg.) 9. ne Con poche precisazioni ulteriori la regola diventa «perfetta». pp. 263 e 265 (§§190.6 e 192.2.2) La preposizione da non viene mai seguita da che p. 307 (§234): «Visse verber kraever dog come [Alcuni verbi esigono comunque p. 350 (§274 a): Israele è maschile. p. 353 (§276.2): «Nul-artikel bruges ... b) Efter superlativer og superlativiske udtryknâr der ikke laegges sasrlig vaegt pâ den partitive vasrdi [L'articolo zero viene usato ... b) Dopo superlativi ed espressioni superlative quando non si da particolare importanzaal valore partitivo]». Luso dell'articolo zero non dipende dall'importanza che si da al valore partitivo, ma è condizionato dal nome proprio in sé, in quanto l'articolo zero non appare che in combinazione con determinati nomi (in ordine di frequenza):
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Italia, Europa, America, Francia, Spagna, Africa, Asia. A parte espressioni del tipo il p. 355 (§279): «Nâr by- og onavne indgâr i stedsadverbialer (...) bruges a som den normale, lette prasposition ... NOTE. I arkaiserende eller bureaukratisk sprog findes ogsâ in + bynavn (in Firenze) [Quando i nomi di città e di isole fanno parte di un avverbiale di luogo si usa normalmente la preposizione a ... NOTA. In un linguaggio arcaizzante o burocratico si usa anche in + nome di città]». Manca l'importante precisazione che la preposizione cambia, da a a in (nella forma articolata) quando al nome di città viene aggiunta un'ulteriore determinazione: nella Milano di oggi. pp. 553-554 (§445.4): «Ved sastningsklovning (typen: è lui che lo dice, §391 [da correggere in §389]) benyttes normali den usammensatte form af essere der temporalt/aspektuelt svarer til verbalet i c/ie-saetningen; hvis dette star i sammensat tempus, svarer essere's tempus til hjaelpeverbets ... Man kan ogsâ bruge presente af essere uanset bisaetningens verbalform [In una frase scissa (...) si usa normalmente la forma non composta del verbo essere che temporalmente/aspettualmente corrisponde al verbo della proposizione introdotta da che; se quest'ultimo è espresso in un tempo composto, il tempo del verbo essere corrisponde a quello dell'ausiliare ... Si può anche usare il presente senza riguardo al tempo della proposizione subordinata]». In italiano, a differenza del francese, il presente non si lascia affatto combinare liberamente con qualsiasi altro tempo verbale nella proposizione introdotta da che. La concordanza dei tempi è determinata in primo luogo dalla funzione dell'elemento soggetto a scissione rispetto al verbo della proposizione introdotta da che; quando l'elemento scisso è un avverbiale temporale la non-concordanza è generalmente esclusa: cfr. «*È allora che lo vide» con «Fu allora che lo vide». In un esempio come «£" a questo punto che Yha detto» la presenza dell'elemento deittico questo rende comunque possibile la non-concordanza, in quanto questo localizza l'avverbiale rispetto al parlante. È probabile che la non-concordanza che si osserva nell'esempio riportato da SB («E' in questo settore che i suoi collaboratori si cimentarono con maggiore impegno») vada spiegata in questo modo. pp. 670-673 (§§so9-512): Per qualche motivo le parole portaerei e antifurto vengono La grammatica di SB e JSJ è, nonostante le mie obbiezioni su alcuni punti, piuttosto innovativa, nel senso che gli autori hanno considerato e incluso molti dati «nuovi», frutto della ricerca durante l'ultimo ventennio. Questi dati non vengono solo sintetizzati in forma di regole, ma spesso anche discussi più approfonditamente {cfr. ad esempio i §§118 NOTE e 323.3.2 NOTE 2). Nel formulare le regole gli autori si esprimono con molta prudenza; sono infatti molto frequenti i «ma anche», «eventualmente», «ma eventualmente anche», «ma non è escluso», «forse», ecc. Accanto a esitazioni simili troviamo spesso espressioni di tipo normativo: «meno corretto», «molto corretto», «quasi scorretto». Troppe espressioni di questo tipo non facilitano ovviamente il lettore nella consultazione della grammatica.
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II volume è ovviamente molto ricca di esempi (che a volte sono stati semplificati rispetto all'originale), ma mi domando se in una grammatica di questa mole non si dovesse indicare la fonte esatta degli esempi citati. Infatti, più d'una volta avrei voluto essere in grado di risalire alla fonte per fare delle verifiche. La grammatica si rivolge in primo luogo a un pubblico danese e in molti casi troviamo confronti diretti con il danese (cfr. ad esempio i §§ 303, 310, 359). Un paragrafo contrastivo dedicato al discorso diretto e indiretto non sarebbe comunque stato fuori luogo, perché l'uso modale e temporale del verbo nel discorso indiretto costituisce sempre una grande difficoltà. La mancanza di una grammatica più approfondita dell'italiano destinato a un pubblico scandinavo pone da tempo problemi per l'insegnamento dell'italiano a livello universitario. Le cause sono due: le grammatiche esistenti sono o invecchiate o troppo piccole. La grammatica di SB e JSJ potrà colmare questa lacuna solo in parte, perché per la stragrande maggioranza degli studenti (almeno in Svezia), come per qualsiasi altro lettore non specialista, risulterà di difficile penetrazione, sia per la complessità nell'esposizione dei dati che per le sue dimensioni. È comunque prevista una versione «minore» di questa grammatica, che attendo con grande interesse. La grammatica di SB e JSJ rappresenterà una pietra miliare nella storia della grammatica italiana, in quanto si tratta di un grande passo in avanti nella descrizione dell'italiano nel suo insieme. Il volume verrà studiato sia dagli studenti più avanzati che dai docenti. Si tratta insomma di un volume che tutti gli italianisti terranno a portata di mano. Università di Uppsala |