Revue Romane, Bind 25 (1990) 2

Cos'è, nella fattispecie, il canovaccio? Appunti sul «Teatro delle favole rappresentative» di Flaminio Scala

di

Steen Jansen

1. Quando Ludovico Zorzi pose la questione scelta qui come titolo, cercava
di differenziare la commedia dell'arte, come istituzione culturale, dal dramma
letterario; egli rispose:

La differenza fondamentale sta in questo: che alla «scrittura» del testo letterario, il comico sostituisce la «metascrittura» di un ipotesto, ciò che correntemente indichiamo come lo scenario o il canovaccio.(...) Il canovaccio è, in sostanza, una descrizione progressiva dell'azione scenica, attuata mediante uno speciale tipo di scrittura (metascrittura, appunto), che prescinde dalla redazione di un dialogo da assegnare ai vari personaggi e da mandare a memoria da parte degli interpreti. Einterpretazione di questa metascrittura presenta per un normale lettore qualche difficoltà; occorre (...) una certa familiarità con le leggi dello spettacolo. (Zorzi 1983, p. 67)

Questa risposta si basa, se pure con le dovute sfumature, sull'opposizione che caratterizza la maggior parte delle discussioni sugli scenari della Commedia dell'Arte - siano essi i testi di Scala o altri (si parla di Scala come l'attore che è anche autore, mentre normalmente di Molière si dice l'opposto: autore che fu anche attore; perché? eccezioni sono Nicoli, Apollonio (il quale dopo aver menzionato Shakespeare e Molière, dice di Scala «autore attore pure lui» (Apollonio, p. 109)) e in parte Marotti) - opposizione cioè fra chi considera gli scenari solo resti imperfetti di spettacoli effimeri e per sempre perduti e fa una distinzione assoluta fra lettura letteraria (da rifiutare in questo caso) e lettura funzionale (ossia teatrale) (Bragaglia, p. 5; Oreglia, p. 20 e in parte Fitzpatrick, p. 177), e chi all'opposto ritiene che non sia escluso

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attribuire ad essi - almeno a quelli di Scala - un proprio valore, anche letterario,come
testi da leggere al pari di altri testi, drammatici, narrativi o lirici.

E' vero che lo stesso Scala afferma che i suoi testi furono ideati prima per la scena, e solo in seguito pensò a farli stampare (Marotti 1976, p. 4); ma in ciò non si distingue probabilmente da altri autori drammatici, da Moliere a Pirandello. E una cosa è determinare se e come Scala si oppone a, e si distingue dal testo drammatico al suo tempo letterario, e tradizionale, un'altra è affermare oggi che i suoi testi appartengono esclusivamente al teatro e non alla letteratura, ossia alla lettura.

Lo scenario può essere detto metascrittura, ma allora nel senso in cui ogni testo drammatico lo è (e addirittura qualsiasi testo letterario, che nello stesso tempo presenta al lettore un universo testuale e gli chiede di stare bene attento a come gli sia presentato quell'universo). Il problema è piuttosto che noi, i letterati, siamo abituati a leggere i testi drammatici più o meno come leggiamo quelli narrativi (lì dove facciamo invece benissimo una distinzione fra lettura di quest'ultimi e lettura di testi lirici). Lo stesso Zorzi accenna a questo problema altrove quando parla a proposito di Goldoni di una

saggistica, per lo più di estrazione letteraria (secondo la quale la nozione tecnica e pratica di teatralità era soltanto, per intenderci, uno pseudoconcetto), a cui risalgono i giudizi 'riduttivi', o semplicemente prescindenti dalla complessa fenomenologia del mondo dello spettacolo, emessi sulla poeticità specifica della produzione goldoniana. (Zorzi 1972a, p. 17)

2. Ci sono oggi numerose analisi degli scenari della Commedia dell'Arte in genere e di quelli di Scala in particolare, ma mi sembra comunque opportuno cercare di vedere come si possano leggere i testi di Scala, per prendere sul serio l'invito di Andreini a servirsi degli scenari di Scala «nell'ore oziose del giorno e della notte per passar via la noia, e per dar onesto e piacevol trattenimento» (Marotti 1976, p. 13), vedere cioè se possono non solo «offrire le indicazioni necessarie per lo spettacolo», ma anche avere «un autonomo valore ricreativo, fruibile attraverso la lettura» (Tessari 1969, p. 114).

Gli scenari della raccolta del Teatro sono distribuiti in giornate come indica il sottotitolo: «la ricreazione comica, boscareccia e tragica, divisa in cinquanta giornate». Questa distribuzione comporta un evidente riferimento all'opera di Boccaccio; ma forse la scelta del termine non è soltanto «alquantopretestuosa», e la «giornata» non indica solo un «ritmo tutto esteriore, che scandisce il succedersi dei canovacci senza inserirli in una cornice narrativa» come vuole Tessari (1969, p. 114). Non c'è la cornice del Decamerone perché non si tratta di un testo narrativo, ma di un teatro immaginario (come fa notare anche Marotti (1980, p. 35), d'un teatro «dans un fauteuil» come dirà più tardi un Musset), uno spazio quindi dove non c'è posto per un narratore, né per una cornice narrativa, ma per «lettori/spettatori» («dame e cavalieri»

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di cui parla Andreini) ai quali è offerto uno «spettacolo» - quello di «un universo artistico e culturale» (ibid) - al giorno. La maggior parte degli scenari portano l'indicazione comedia; gli ultimi dei cinquanta scenari appartengonoad altri generi: pastorale, tragedia ecc. ed hanno strutture, di forma e di contenuto, più complesse delle commedie (benché le ultime di esse abbiano già a volte una più grande complessità). Non sembra per il resto che ci sia una distribuzione per tematica o forma o altro nell'insieme delle commedie.

All'inizio di ogni scenario si trova un argomento, che è una specie di presentazione della favola dello scenario. Nel caso de La sposa (che è l'uno dei due scenari che propongo di leggere sotto) ad esempio, l'argomento è una descrizione abbastanza generica dei rapporti fra i vari personaggi; però non da informazione che non sia anche contenuta nel testo drammatico propriamente detto (e manca invece quella che spiega le nozze dei servi, dei quali non si parla affatto), e quindi non è necessario per la comprensione di questo. Infatti ci sono spesso più informazioni utili nell'elenco dei personaggi con l'appartenza di essi a case (ossia famiglie) che vi si trova.

Così è per la maggior parte degli scenari - anche lì dove l'argomento racconta avvenimenti complessi che precedono l'intreccio presentato dal testo (come nei casi dei figli o padri fatti schiavi dai turchi (/ due vecchi gemelli (Giorn. I) o Isabella astrologa (Giorn. XXXVI) per esempio)): forse il testo non fa conoscere tutti i dettagli di tali avvenimenti, ma abbastanza per far capire ciò che si vede. A volte si trova un rimando esplicito all'argomento nello stesso scenario, come se fosse necessario conoscerlo, ma spesso anche, giunto al rimando, un riassunto di tutte le informazioni contenute nell'argomento (così ne // capitano, Giorn. XI); altre volte infine, può risultare dalla non conoscenza delle informazioni «necessarie» date nell'argomento una raffinata tecnica di progressiva e sorprendente rivelazione (// marito, Giorn. IX; per una diversa interpretazione del rapporto argomento - testo drammatico in questo caso, si veda Ferroni, p. 140-41, e Jansen, p. 164).

E' da notare che un tale argomento, che Scala introduce dunque nei suoi
scenari, non si trova in altri scenari della Commedia dell'Arte (quali si trovano
in Bartoli, Petraccone, Lea, Bragaglia, Premoli).

Tessari ipotizza (1969, p. 115), basandosi su un'osservazione di Perrucci, che l'argomento scritto dello scenario di Scala abbia una funzione nella «concertazione» che ha luogo sotto la guida del capocomico prima che gli attori iniziino lo spettacolo. Non è tuttavia sicuro che il termine «argomento» abbia, nel brano citato (Perrucci, p. 263), solo il significato di «testo scritto», al pari di quello da recitare («una tessitura delle Scene sopra un Argomento formato» (ibid. p. 256)). Gli argomenti degli scenari di Scala sono variatissimi(da sei righe (Le burle d'lsabella, Giorn. IV) a due pagine (La fortuna di Flavio, Giorn. II)); spesso sono molto generici, o danno soltanto un breve

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riassunto dello stesso intreccio; a volte sono troppo complicati (ma questo vale anche per quello che Perrucci da per La Trapoiana, ibid, p. 264) perché, mi sembra, possano essere di grande aiuto agli attori, «acciocché si sappia il contenuto della Comedia, s'intenda dove hanno da terminare i discorsi, e si possa indagare concertando qualche arguzia, o lazzo nuovo» (ibid, p. 263), supposto che loro conoscano lo scenario in senso stretto. Questo, e il fatto che non ce ne siano negli altri scenari, può far pensare ad una altra funzione, oppure ad un altro «precedente-modello» dell'argomento.

Scala chiude molti degli argomenti con una formula quasi fissa: «Quello che ne seguisse l'opera lo dimostra.» (// marito, Giorn IX;), «Quello che poi avvenne la favola lo dimostra.» (La sposa, Giorn. X), «...dal concluder della favola si conoscerà.» (// cavadente, Giorn. XII), «... intervenne quello che la comedia andera dimostrando.» (Li duo capitani simili, Giorn. XVII); mi sembra rivolgersi più a un lettore che non al capocomico o agli attori; lo stesso vale per un'altra chiusura: «... vivono poi vita lieta e contenta.» (Li duo vecchi gemelli, Giorn. I) o «... e dopo vive vita lieta e felice.» (La fortuna di Flavio, Giorn. II); è proprio di favola popolare.

Nella commedia letteraria (umanista o erudita) non c'è un argomento di questo tipo, ma un prologo, che, sia per il contenuto sia per la forma, è diverso dall'argomento di Scala: così il prologo fa parte del testo drammatico (e quindi dello spettacolo). Un argomento simile ad esso, senza rapporto col testo propriamente drammatico, c'è invece nelle raccolte di commedie latine (Plauto, Terenzio) stampate nel quattro- e cinquecento; un altro modello potrebbe evidentemente essere il riassunto che precede tutte le novelle del Decamerone.

Mi pare quindi più probabile che l'argomento degli scenari di Scala, che non fa parte del testo drammatico propriamente detto, è bene sottolinearlo, si rivolga in primo iuogo ai iettore, e che abbia un modello nelle tradizioni letterarie piuttosto che non una funzione precisa rispetto allo spettacolo.

Nell'elenco dei personaggi sono soprattutto importanti la distinzione fra le diverse case (o famiglie) e i rapporti sociali e familiari che vi sono precisati. Sono meno importanti a mio avviso i nomi dei personaggi, almeno alla lettura come si vedrà; lo saranno certo se lo scenario viene letto con in mente le immagini dello spettacolo e delle maschere della Commedia dell'Arte (rappresentate ad esempio dalle illustrazioni del Recueil de Fossard, quali le vede Mastropasqua) oppure con le norme stabilite da Perrucci: per seri ad esempio che siano Pantalone o Pedrolino nella presentazione che ne da il testo, è difficile che l'idea che se ne fa il lettore non sia influenzata dalla valenza, comica o «ridicolosa», delle maschere propria dello spettacolo.

L'elenco delle «robbe» sembra evidentemente legato più allo spettacolo
che non alla lettura; è quasi sempre molto preciso e dettagliato, anche se un
oggetto una o due volta vi è dimenticato: per esempio l'orinale ne Le burle

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d'lsabella (Giorn. IV) (in un altro caso invece molto preciso: «Un orinale
con vino bianco dentro»! (Le disgrazie di Flavio, Giorn. XXXV)).

Il «luogo dove si finge la favola» (Perrucci) è, nelle commedie, sempre una città italiana, all'eccezione de // vecchio geloso (Giorn. VI) dov'è una «Villa sul Padovano»; significa che la scena rappresenta un luogo unico che il lettore deve immaginarsi come una strada o piazza sulla quale danno diverse finestre, e dove è possible sia stare al centro sia tenersi in disparte, non visto dagli altri. In uno scenario, c'è eccezionalmente un cambio di scena, dalla piazza consueta a «un giardino, a Porta Tosa» (// capitano IH atto, Giorn. XI). Negli ultimi scenari del Teatro (che non sono commedie) ci sono invece moltissimi cambi di scena, in luoghi fuori Italia o immaginari.

Ma dove lo scenario è veramente diverso da ciò che siamo abituati a considerare un testo drammatico, e che è l'aspetto al quale guarda la risposta di Zorzi, è nella stesura del testo drammatico propriamente detto, quello da «mettere in scena» (scena reale o immaginaria).

Taviani propone una ipotesi molto importante, e ben motivata, per spiegare
quest'aspetto per noi insolito, affermando che

Ciò che il teatro delle compagnie professionistiche rifiuta - o ciò di cui più
semplicemente fa a meno - non è il primato e la centralità del testo, ma il
primato e la centralità del libro. (Taviani, p. 323)

e quindi

... è chiaro che ... Flaminio Scala contrappone il gesto alla parola non per contrapporre un teatro basato sul gesto («gestuale») ad un teatro basato sul testo ... ma per rafforzare ... il suo argomento secondo cui ciò che è importante in una commedia non è la coltre della dicitura ma la sostanza costituita dalla serie dei fatti; (ibid. p. 325)

Tessari descrive più dettagliatamente le caratteristiche dello scenario:

la parola del soggetto (cioè lo scenario) non è immediata espressione d'un
personaggio, bensì indica il contenuto d'una battuta o la condizione d'un
gesto. Flaminio Scala non definisce univocamente,..., il m0n010g0..., né i1...
dialogo -...- e si limita a esprimere il contenuto psicologico ... degli ... interventi,
e l'effetto scenico ..., nonché la sua chiave musicale...; l'interesse dell'autore
è dedicato in altissima misura alla definizione comportamentistica
dei personaggi: se il drammaturgo tradizionale trascura il gesto per la parola,
il comico vuole innanzitutto sottolineare la sequenza di gesti che danno vita
all'azione ...; la battuta monologica o dialogica ... perde ... la propria centralità,
si allinea sullo stesso piano dell'azione, diviene insomma gesto fra diversi
gesti: battuta-azione. (Tessari 1969, p. 116)

II problema per un lettore moderno è che

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per la nostra mentalità, il livello verbale - la dicitura - di un'opera coincide con il suo livello sostanziale. Ci troviamo quindi in difficoltà e quasi bloccati quando si tratta di distinguere le «parole» dalle «azioni» di un dramma; ... Per noi, il livello verbale di un dramma è ciò in cui si esprime la sua azione. Per Flaminio Scala e per molti del suo tempo era esattamente il contrario: ciò che rischiava di nascondere l'azione; (laviani, p. 326-27)

Infatti rimaniamo «quasi bloccati» non solo «quando si tratta di distinguere parole e azioni», ma davanti all'intero scenario, per cui l'assenza di vere battute e la nostra mancanza di abitudine a distinguere fra strutture caratteristiche di un testo drammatico e quelle d'un testo narrativo ci conducono a guardare allo scenario solo come materiale, o pre-testo, per un eventuale spettacolo o vero testo drammatico, oppure «come riduzione del testo drammatico a »favola«, sì che solamente la novellistica (in quanto narrazione in prosa di avvenimenti comici o tragici) pare presentare caratteristiche esterne in qualche modo simili a quelle dei nuovi testi» (Tessari 1969, p. 114).

Ma gli scenari di Scala devono, a mio avviso, essere considerati testi drammatici a pieno diritto, e dobbiamo leggerli come leggiamo quelli di un Goldoni o di un Pirandello, stando attenti cioè alla loro peculiarità come stiamo attenti a quelle dei testi di Pirandello e di Goldoni, e alle caratteristiche che li distinguono.

3. Per illustrare, e motivare tale affermazione, proporrò la lettura di due scenari di Scala, La sposa (Giorn. X) e // Pedante (Giorn. XXXI), molto diversi fra di essi. Il titolo de La sposa sembra un po' ambiguo: ci sono tre spose, le due figlie dei padroni e una serva; si tratta però della serva, senz'altro, benché non prenda affatto parte attiva all'azione: è soprattutto un elemento decorativo nell'apertura della commedia, e non lei, ma solo le sue nozze hanno una funzione molto secondaria nell'intreccio. E' il più breve dei cinquanta scenari del Teatro delle favole rappresentative; esemplifica la «composizione dei casi» che è lo scenario (Marotti 1976, p. LV) nella sua forma più semplice: presenta la «logica della fabula» (ibid) spogliata da ogni elemento superfluo e con un disegno chiarissimo ritmato sui temi e gli episodi dell'intreccio ben delimitati, che si contrastano, si ripetono e evolvono dalla bella immagine scenica dell'apertura al finale consueto dove le nozze finalmente accettate e concordate fra i padri permettono a ognuno di sposare la persona desiderata.

Com'è il caso nella maggior parte degli scenari, l'intreccio si basa su tre rapporti d'amore contrastati sia dalla società o dalla famiglia impersonata nei padri, sia dai sentimenti stessi, poco stabili, delle persone coinvolte: Franceschina, la serva, fra Arlecchino, che ama e dal quale è amata, e Pedrolino,al quale è stata promessa da Pantalone; Flaminia fra Orazio, suo sposo

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promesso per l'accordo fra i padri, Pantalone e Graziano, e il Capitano, che ella ama e che ama lei; e infine Orazio, ora promesso sposo di Flaminia, ma nel passato amante d'lsabella che l'ama ancora e non vuole che l'abbandoni. Quest'intreccio non serve a mettere in luce i caratteri dei personaggi (come accadde in altri scenari), anzi essi servono, e gli episodi che nascono dai rapporti fra loro, come elementi di una composizione che si distingue per la sua chiarezza e la sua semplicità - quasi come le note dei temi di un pezzo musicale.

Le tre scene che aprono i tre atti sono per un verso simili, e per un altro fortemente contrastanti; si rassomigliano in quanto fanno tutte e tre appello alla vista: creano un'immagine scenica nella quale importano più gli elementi visivi che non, come nelle altre scene dello scenario (comprese quelle di collera: Pantalone contra Flaminia (II atto), Pedrolino contra Isabella (111 atto)), gli elementi di contenuto di un dialogo. Su quest'asse di similitudine si costruisce poi un contrasto fra la prima scena, calma, decorosa, quasi sontuosa, ben orchestrata, e le altre due, ambedue introdotte con l'identico «Romore grande in casa Pantalone», e movimentate, fragorose con inseguimenti «a catena», con spada, pistoiese, stanga ed altre armi.

La scena d'apertura, del I atto e quindi della commedia, è bella per il
sapiente uso della scena (anche quella immaginaria del lettore), cioè della
musica e della coreografia:

SONATORI sonando. Alii quali seguono DUE FACCHINI quali conducono
Pedrolino sposo e PANTALONE conduce per mano FRANCESCHINA
sposa di Pedrolino ... (Marotti 1976, p. 113)

Scala riesce qui a dare un'impressione visiva dell'atmosfera della commedia che si sta per leggere (come sa fare ugualmente ne La caccia (Giorn. XXXVII; cf Tessari 1969, p. 121) e nel Portalettere (Giorn. XXIII), per esempio). Ciò che distingue però questa dalle altre commedie del Teatro è il fatto che gli sposi sono qui i servi (e non i figli dei padroni) e che la bella processione conferisce a queste nozze un rilievo insolito, per cui bisogna dare di questo fatto una spiegazione proprio qui «e Pantalone fa quell'onore a Pedrolino, per esser stato in casa sua molti e molt'anni» (ibid), malgrado sembri uscire dalla forma drammatica (in una maniera però alla quale ci ha abituato Pirandello).

Ma presto, già nella scena che segue immediatamente l'apertura, l'attenzione
si sposta al livello dei padroni e di loro figli: vediamo Graziano preparare
col figlio Orazio le sue nozze con Flaminia, figlia di Pantalone.

E in seguito il tema/intreccio delle nozze di Pedrolino e di Franceschina avrà una funzione molto secondaria, benché precisa (di cui sotto), fino alla penultima scena: lì l'arrivo di Burattino, padre di Franceschina, e la rivelazioneche è anche fratello di Pedrolino e lui quindi zio di Franceschina

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(rivelazione forse un po' sorprendente, anche se fin dall'inizio il «servo da molti e molt'anni» ha già fatto capire che Pedrolino non è più un giovanotto), risolvono il contrasto Pedrolino vs Arlecchino a vantaggio di quest'ultimo, che ora può sposare Franceschina.

Così le nozze dei servi acquistano una funzione di «quadro», o di fondo sul quale può svolgersi l'intreccio principale dei «veri» Innamorati, figli dei padroni - e senza che quest'effetto sia ottenuto (come si vede spesso in altri scenari) da una differenza sostanziale, comportamentistica, fra l'uno e l'altro gruppo di personaggi.

Scala, comunque, sembra aver capito che ciò non basta per assegnare ai
servi la parte nella commedia che vorrebbe dar loro.

Quindi da un lato introduce il personaggio secondario di Arlecchino, che non è (come potrebbe far credere l'elenco dei personaggi), ma diventa il servo del Capitano nel I atto perché arrivano tutt'e due con lo stesso motivo, quello di rapire la donna amata; Arlecchino diventa così l'aiuto - e il doppio - del Capitano senza tuttavia avere una parte determinante nelle sue azioni.

Dall'altro lato introduce (metà II atto) una situazione in cui Pantalone fa pressione su Pedrolino minacciandolo di annullare le sue nozze se non riesce a convincere Flaminia ad accettare quelle sue con Orazio; Pedrolino però non ha nessun successo di fronte al no di Flaminia; è solo l'arrivo del Capitano travestito da musicista che le fa fingere di accettare.

Subito dopo il dialogo fra Graziano e Orazio del I atto, tre scene introducono nell'atmosfef a calma e armoniosa i tre amanti respinti (per una causa o l'altra). Arlecchino e il Capitano scoprono l'uno all'altro (e ai lettori/spettatori) il motivo del loro arrivo, e s'accordano per un progetto: cercare di introdursi in casa di Pantalone per portare via Franceschina e Flaminia, e vanno via per travestirsi; arriva Isabella, travestita da paggio, ma rivelando ai lettori/spettatori la sua identità e il suo progetto, in parte identico a quello dei due uomini: vuole anche lei introdursi in casa di Pantalone, ma per tentare di uccidere la rivale, Flaminia. Lei riesce subito a realizzare la prima fase del suo progetto, facendosi accettare da Pedrolino e da Pantalone come servo alle nozze che si stanno preparando.

Ma l'armonia torna alla fine del I atto: si chiude sulle note di un «quartetto»: Graziano, Orazio, Pantalone e Flaminia: con pochi tocchi sono già presentati come parenti, padri e sposi, che si fanno complimenti cortesi. Benché Pedrolino sia rimasto in scena, e Franceschina appaia con Flaminia (ma solo come la sua «ombra»), questi due, e le loro nozze, non sono, nel testo almeno, «presenti» qui; l'ultima scena del I atto è dunque tutta dedicata alla famiglia padronale - come la prima era dedicata ai servi.

Al centro del II atto, dopo l'irruzione fragorosa dell'inizio, che è il tentativod'lsabella
di uccidere Flaminia, le due donne si incontrano in due scene di
mutua rivelazione, riconciliazione e accordo: Flaminia farà sapere al padre

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che non vuole sposare Orazio, e Isabella farà sapere al fratello, cioè al Capitano,che non avrà bisogno di intervenire come previsto per ottenere Flaminia.Se dunque Isabella avesse trovato il fratello, e se non ci fossero gli accordi fra i padri, tutti i contrasti si sarebbero già risolti. Ma così non sarà: Pantalone non accetta il rifiuto di Flaminia, e prima che Isabella trovi il Capitano, egli e Arlecchino riescono, ripetendo quanto fece Isabella nel I atto, a introdursi in casa di Pantalone, come musicisti.

Nello stesso modo l'inizio del 111 atto ripete quello del II atto, variandolo
poiché ora sono il Capitano e Arlecchino che irrompono riuscendo a portar
via Flaminia e Franceschina malgrado l'opposizione armata di tutti gli altri.

Ma la pace torna presto, e con essa la riconciliazione generale, fra tutti e non solo fra le giovani donne: il Capitano perdona(!) la sorella, Isabella, e Isabella Orazio, e i padri, passata la prima «meraviglia», accettano le nozze non previste da loro, ma scontate per il lettore/spettatore.

Lasciano tutti la scena perché possa essere risolto il problema dei servi, di Pedrolino e di Arlecchino; vince quest'ultimo, come detto sopra, ma senza che si possa dire che il primo sia proprio beffato: la sua reazione è più vicina a quella dei padri, Graziano e Pantalone - ora che sa di essere lo zio di Franceschina.

E' chiaro che questa è una commedia di intreccio, e non di carattere; ma ciò non significa che i personaggi diventano i tipi normali, o presunti tali, della Commedia dell'Arte: Pantalone, Graziano e Pedrolino non hanno niente in comune con le consuete figure che si sogliono indicare con questi nomi; il Capitano non è quello Spavento, ma entra nella parte di Primo Innamorato, come fa spesso negli scenari di Scala (nelle Burle d'lsabella per esempio); Orazio che dovrebbe riempire allora quella di Secondo Innamorato, fa a pena mostra di iniziativa personale: in genere sembra tutto sottomesso al padre; una volta agisce da solo, «facendo quistione» col Capitano (inizio 111 atto), e l'unica volta in cui parla per conto suo (metà 111 atto) sembra un tantino balordo, tanto almeno che può sembrare difficile capire perché lo vuole Isabella (forse l'unico punto debole della commedia se si guarda alla «vraisemblance» dei rapporti fra i personaggi). I ritratti opposti delle due giovani donne corrispondono più alla tradizione, se così si può dire: Isabella la donna attiva e forte psicologicamente, essendo tuttavia, ma solo socialmente, sottomessa al fratello (poiché non hanno genitori come risulta dall'elenco dei personaggi), e Flaminia quella più passiva che bisogna spingere ad agire anche per il suo proprio bene.

Così scrivere una commedia d'intreccio non impedisce dunque a Scala di dare, con piccoli dettagli, una caratterizzazione dei personaggi che, almeno nel testo, li individua rispetto sia ai personaggi, omonimi o no, degli altri scenari suoi, sia a quelli di tutti gli altri scenari della tradizione della Commedia

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Certo si può applicare a molti scenari di Scala il ben noto schema proposto da Zorzi (1983, p. 70), e largamente accettato (cf Tessari 1981, p. 82), per caratterizzare le funzioni dei personaggi-tipi della Commedia dell'Arte, e i rapporti fra di loro. Ma è altrettanto evidente che in molti casi il risultato sarà simile a quello che Zorzi ottiene applicandolo alle commedie di Goldoni, cioè di dimostrare quante varianti diversissime possano esserne derivate (1972a, p. lOss; 1972b, p. 6ss); Scala non lavora con «costanti caratteriali (e dunque comportamentistiche)» (Tessari 1969, p. 117), anzi: sotto nomi identici crea personaggi che si differenziano chiaramente da un testo all'altro.

Il pregio della Sposa rimane comunque il modo in cui Scala presenta, utilizza e manipola quest'intreccio, con solo due travestimenti e riconoscimenti ben motivati e senza nessun lazzo , modo del tutto personale che testimonia chiaramente delle sue capacità di autore drammatico. Ci si può anche convincere paragonando La sposa ad altri scenari, basati più o meno sullo stesso intreccio ma senza Pequilibiro e la semplicità della Sposa, sia dello stesso Scala (La finta pazza (Giorn. Vili), // dottor disperato (Giorn. XIII) ad esempio), sia di altri (ad esempio L'onorata fuga di Lucinda (Bartoli, p. 135ss)).

Ed è questo solo uno dei suoi modi di scrivere, o di comporre scenari. In altri scenari invece sa benissimo complicare l'intreccio all'estremo senza tuttavia rompere la coesione dell'insieme (si vedano l'analisi d'Apollonio de Li tappeti alessandrini (1930, p. HOss) o quella di Tessari de La fortuna di Flavio (1969, p. 121ss)), oppure dare una caratterizzazione approfondita di uno o più personaggi (si vedano l'analisi di Marotti de // vecchio geloso (1976, p. LVlss) o quella di Tessari de // ritratto (1969, p. 125ss)).

Un capolavoro a questo riguardo è II pedante (Giorn. XXXI).
Lo scenario presenta il pedante in questo modo fin dall'inizio:

Cataldo Pedante arriva, mette di mezzo con parole piacevoli, essendogli stato maestro d'Orazio, e conduce via Pantalone. Orazio: che suo padre non conosce la pessima natura del Pedante, e che ora stanno bene insieme; (Marotti 1976, p. 319)

Così il lettore/spettatore non avrà dubbi sul suo carattere d'ipocrita, né su
quello di Pantalone, buonuomo facile da ingannare, e infatuato di Cataldo.

Pantalone e Isabella, sua moglie, non vanno d'accordo; all'inizio del II atto, egli viene a conoscenza di un episodio visto nel I atto: Pedrolino gli narra «come sua moglie ha donato un fazzoletto a un Capitano forestiero, e da quello ha ricevuto in dono un anello» (ibid, p. 321); secondo lei «n'ò cagione suo marito, per attender ad altre donne» (ibid, p. 322). Ora

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Pantalone narra (a Cataldo) tutto il successo della moglie sua ... (e) domanda consiglio a Cataldo sopra quello che gli ha detto. Pedante: che Pedrolino non deveva dir mai cose simili, e che lasci fare a lui con la sua moglie, che ne saperà il vero. Pantalone si contenta, (ibid. p. 321)

II Pedante va per parlare con Isabella, ma prima egli stesso scopre apertamente
la sua vera natura al lettore/spettatore:

rimanendo solo, discorre la vita sua, i suoi vizii, e come, sotto il manto della
simulazione e delle cose morali ricopre tutte le scelleraggini. (ibid. p. 322)

«Isabella confessa d'aver fatto gran mancamento» (ibid.), a cui

II Pedante li dice che, dovendosi ella cavar qualche voglia, non dovrebbe ricorrere a forestieri, ma a persone domestiche e conosciute, e con destrezza di parole offerisce se medesimo per soddisfazzione di lei, promettendole di pacificarla col marito. Isabella, allegra, entra per riconciliarsi col marito. Pedante: d'essersi avveduto che Isabella senz'altro lo farà contento; allegro si parte.(ibid.)

Durante il II atto, e ancora all'inizio del 111, tutto fa credere che il Pedante
riuscirà nel suo progetto.

Ma allora Isabella, inaspettatamente, rivela a Pantalone cosa le ha proposto
il Pedante;

Pantalone si stupisce, avendolo sempre tenuto per un gran'uomo da bene, e
prega sua moglie a farli conoscere ch'egli sia un tristo, (ibid. p. 324),

e lei gli propone subito di fingere di non dormire in casa la seguente notte
per porre una trappola al Pedante.

Quindi il lettore/spettatore sa adesso che il Pedante va ora incontro allo
smascheramento della sua ipocrisia. Quando arriva

con le sue belle paroline e adulando ciascheduno, Pantalone lo prega aver
cura di casa sua per tre o quattro giorni (ibid.)

al quale

Pedante: che viva securo sotto la sua vigilanza e fedeltà...e che vada con la
pace del Signore; (ibid.)

e subito dopo egli fa vedere come ora crede

esser venuta la commodità di goder Isabella a suo commodo, et aver conosciuto
in lei la volontà di compiacerlo, se ben non l'ha detto; batte a casa sua.
(ibid.)

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Ma è Isabella, più scaltra di lui, che l'inganna; quando

vede Cataldo tutto addolorato, li domanda la cagione del suo male; il buon Pedante allora li dice che si sente morire per amor suo, e che, s'ella non lo compiace, che morirà senz'altro... Isabella, per trappolarlo, con belle parole li ordina che vada nella sua camera, e che si ponga nel suo letto e si spogli... Pedante, allegro, entra a spogliarsi, (ibid. p. 325)

Ella lo chiude in camera, e chiama tutti gli altri che possano dargli il giusto castigo; grazie al Capitano sarà meno duro del previsto: «lo discacciano come uomo infame e vituperoso, ad esempio de gli altri pedanti manigoldi e furfanti come lui» (ibid. p. 326); è il consueto «beffatore beffato», ma qui sotto una veste nuova e descritto con un tono di risentimento del tutto insolito negli scenari del Teatro, e che è difficile non attribuire allo stesso autore.

Questo ritratto dell'ipocrita, punito alla fine, (come d'altronde anche quello di Pantalone) si distingue per i singoli tratti che denotano un'osservazione precisa e attenta e per l'inseririsi propriamente drammatico (per non dire scenico o teatrale) del personaggio nell'evolversi d'una azione ben costruita, ed esso fa del Pedante un testo che merita pienamente un posto di prim'ordine fra la Farsa de Zôhan Zavatino di Alione e il Tartufo di Molière.

4. Da Riccoboni, citato da Bartoli, che l'approva:

La Commedia dell'Arte, quale si trova negli Scenari di Flaminio Scala, è giudicata dal Riccoboni «très faible et même j'oserai dire mauvaise», ed ancora «très-scandaleuse». Né gli sapremmo dar torto; (Bartoli 1880, p. XV)

a Nicoli, a A.pollonio che disse delle commedie di Scaia:

molte ne ha singolarmente vive e belle, altre singolarmente ammanierate e
brutte (Apollonio 1930, p. 116)

agli studiosi contemporanei (Tessari, Taviani, Marotti per non menzionare tutti), la figura di Scala e il giudizio sulla sua opera ha subito modifiche assai importanti, sia per quanto riguarda l'analisi dettagliata dei singoli testi che per il valore attribuito all'insieme del Teatro.

Tessari dedica, nel suo studio del '69, un capitolo intero a Scala, col titolo significativo: «Lo sperimentalismo di Flaminio Scala», che contiene moltissime osservazioni dettagliate, acute e informative. In quello del '81 riassume in una formula per certi aspetti stimolante e precisa l'importanza «limitata» della sua opera:

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del tutto eccezionale... risulta l'esperienza isolata di un Flaminio Scala: quella sua audace rivendicazione delle facoltà creative degli attori che lo indusse a pubblicare - nel Teatro delle favole rappresentative - una raccolta di soggetti che avrebbe dovuto elevare la forma del canovaccio (meramente funzionale allo spettacolo) ad esempio di una inedita concezione della drammaturgia - non più fondata sul testo, bensì sulla dissezione del testo in favola, da un lato, e in sequenza di monologhi e di dialoghi separati, dall'altro. (Tessari 1981, p. 94)

Ma non credo che lo scenario di Scala sia «meramente funzionale allo spettacolo» (non più in ogni caso che qualsiasi altro testo drammatico); e invece di «inedita concezione della drammaturgia» direi del testo drammatico. Quando poi egli afferma più avanti (senza precisare bene se ciò vale o no anche per Scala) che

i documenti residui della Commedia dell'Arte non possono reggere alcun
giudizio estetico, per quanto benevolmente attento ai dati più impalpabili e
sfuggenti della composizione drammaturgica (ibid. p. 101)

o ancora

l'unico Canovaccio davvero rappresentato dalla Commedia dell'Arte pone in scena il conflitto tra il Nuovo (gli Innamorati giovani) e il Vecchio (i padri). E lo sviluppa attraverso l'azione pertubatrice di un elemento infimo eppure magicamente malizioso, beffatore e balordo (gli Zanni), (ibid. p. 102)

questo giudizio alquanto riduttivo vale forse per la Commedia dell'Arte in
generale, ma è manifestamente falso per quanto riguarda i testi di Scala.

Sarebbe più appropriato dire che l'opera di Scala è eccezionale perché non ha avuto seguaci - come ad esempio ebbe invece Aloysius Bertrand (e quali!) quando inventò il poème en prose, genere o forma testuale a suo tempo non meno insolito di quanto lo fosse lo scenario di Scala quando decise di pubblicarlo - ma ciò non dovrebbe impedirci, lettori moderni (bloccandoci, come dice Taviani), di leggere, e di analizzare il testo di Scala quale è, anche senza porre necessariamente il concetto di Commedia dell'Arte quale limite alla nostra lettura; l'opera di Scala appartiene ovviamente a questo genere, ma non si riduce ad essere solo espressione di esso - come i testi di Racine non sono soltanto esempi rappresentativi della «tragedie classique»

Steen Jansen

Università di Copenaghen

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1. Tim Fitzpatrick mi ha fatto notare che per lui ci sono lazzi alla fine del primo atto dove «Pedrolino insegna ai facchini il modo di governarsi nelle sue nozze, per ricerverne onore ....» Non è certo una lettura esclusa, ma neppure ovvia, mi sembra, e influenzata, come altre interpretaziuni, più dagli schemi tipi dello spettacolo della Commedia dell'Arte che non dallo stesso testo della Sposa quale si presenta al lettore.

Nota

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Riassunto

// teatro delle favole rappresentative di Flaminio Scala è una raccolta di scenari per certi versi non dissimili dagli altri scenari della Commedia dell'Arte; ma è la prima tra quelle oggi conosciute, e l'unica che sia stata stampata e pubblicata all'epoca (1611). Earticolo tenta di dimostrare come il canovaccio, o meglio gli scenari di Scala non contengano soltanto indicazioni necessarie per uno spettacolo, ma siano anche autentici testi letterari, d'una forma insolita certo, ma pur sempre testi drammatici da leggere come tali e con attenzione.

Testi citati

Apollonio, M. (1930): Storia délia Commedia dell'Arte. Firenze.

Bragaglia, A.G.(ed) (1961): Perrucci: Dell'Arte rappresentativa premeditata ed all'improvviso.

Ferroni, G. (1989): Uossessione del raddoppiamento nella commedia dell'arte in Pietropaolo.

Fitzpatrick, T. (1989): Flaminio Scala's Prototypal Scénarios: Segmenting the
Text/Performance in Pietropaolo.

Jansen, S. (1989): Sur la segmentation du teste dramatique et sur quelques scénarios
de Flaminio Scala in Pietropaolo.

Lea, K.M. (1934): Italian Popular Comedy. Oxford.

Marotti, F.(ed) (1976): Scala: Ilteatro délie favole rappresentative. Milano.

Marotti, F. (1980): La figura di Flaminio Scala in Mariti, L.(ed): Aile origini del teatro
moderno. La commedia dell'arte. Roma.

Mastropasqua, F. (1971): Lo spettacolo délia Collezione Fossard in M. F. e C. Molinari:
Ruzante e Arlecchino. Parma.

Nicoll, A. (1931): Masks, Mimes and Miracles. London.

Petraccone, E. (1927): La Commedia dell'Arte. Napoli.

Pietropaolo, D.(ed) (1989): The Science of Buffoonery: Theory and History of tlie
Commedia dell'Arte. Toronto.

Premoli, B.(ed) (1988): Scenari casamarciano. Roma.

Taviani, F. e M. Schino (1982): Ilsegreto délia Commedia dell'Arte. Firenze.

Zorzi, L. (1983): Intorno alla Commedia dell'Arte in Sartori D. e B. Lanata: Arte
délia maschera nella Commedia dell'Arte. Firenze.