Revue Romane, Bind 25 (1990) 2

Appunti sul duello in Ariosto e in Tasso

di e

Lene Waage Petersen

Daniela Quarta

Nella poesia epico-cavalleresca, il duello - in particolare nella sua forma di singoiar tenzone - rappresenta un luogo privilegiato di incontro/scontro, dal quale emergono valori individuali e collettivi, e forze motrici di carattere etico-ideologico come anche motivazioni psicologiche più o meno coscienti.

Proprio quale luogo d'incontro di contenuti etici/politici/psicologici e di elementi formali assai fissi, sottoposti a variazioni e ripetizioni, il duello costituisce una sorta di genere letterario a se stante, all'interno della struttura del poema cavalieresco. Possono, quindi, in un primo momento essere isolati una serie di elementi funzionali all'azione, e cioè: l'incontrarsi dei contendenti e il motivo della contesa, lo scontro vero e proprio e la conclusione del duello (e a questo proposito è doveroso sottolineare la frequenza delle interruzioni del duello. In alcune situazioni particolari si può parlare ài frazionamento dello stesso duello in due parti, mentre in altri casi dovrebbero considerarsi come distinti). Importante poi rilevare gli elementi in funzione descrittiva, come la definizione dello spazio, della «messa in scena» del luogo in cui si svolge lo scontro, ivi compresa la presenza di spettatori al duello - quando vi siano - e pluralità dei punti di osservazione; importante anche la descrizione degli antagonisti e del procedere del combattimento.

Questo intervento presenta due brevi saggi di lettura dei duelli del primo canto dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e del duello di Argante e Tancredi del canto sesto della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso; si tenta di evidenziare taluni problemi e suggestioni da sempre presenti nella critica letteraria, privandoli della tensione comparativa che vuole stabilire primati estetici per recuperare, invece, tutta la complessità del fenomeno che vede all'interno dello stesso genere letterario (il poema cavalieresco), fiorito nella stessa area geografica (Ferrara), tante profonde trasformazioni nel volgersi di un cinquantennio.

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Nessun migliore esempio che la critica dello stesso Tasso alla gerarchia di
valori ariostesca come emerge dai duelli degli ultimi canti del Furioso; per
segnare l'enorme distanza tra due visioni poetiche e del mondo:

Ma fu nondimeno anteposto Leone a Bradamante, e in questa maniera tutti i debiti dimenticati, & tutti gli uffici furono perturbati nella persona di Ruggiero: percioche prima siamo obbligati a Dio, poi al Re, nel terzo luogo alla moglie, o all'amante che ama di casto amore; nel quarto all'amico (...). Nondimeno Ruggiero prepone l'ambitioso Greco alla moglie fedele; & la moglie che non era ancor moglie al Re, che era suo Re, & il Re, che non era suo Re al suo Dio, che fu il Dio di Ruggier primo, di Ruggier secondo & di Ruggier terzo. (Citato da Hempfer, p. 296)

Al di là, dunque, della fissità del duello, s'impongono differenze e distinzioni che qui verranno solo sinteticamente accennate ed esposte e che dalla loro stessa contrapposizione vorrebbero svelare la trama sottile di similitudini e abissali diversità.

I duelli del primo canto dell'Orlando Furioso

Isolare nella grande trama dell'Orlando Furioso un singolo duello che possa essere rappresentativo del genere risulta assai difficile. Qui è in gioco, infatti, un'estrema variazione e mobilità di elementi; ed i molti scontri a due si distinguono, nella descrizione, soprattutto attraverso l'inesauribile fantasia ariostesca nel variare i dettagli tecnici (armi, cavalli, mosse e soluzioni) del duello. Valga come unico esempio la conclusione-sospensione del feroce combattimento tra Mandricardo e Orlando (canto XXIII, 87-88), conclusione avvenuta per colpa dei poco solidi finimenti dei cavalli che, rompendosi, mandano prima Orlando in terra e poi Mandricardo a spasso su un cavallo senza briglie. Lodato dai commentatori a lui contemporanei a da critici più recenti per la sua maestria nel ritrarre la tecnica del duello («nessuno vi sfoggia tanta scienza di scherma», scrive il Rajna) l'Ariosto viene però anche, come nel citato commento del Tasso, criticato per incongruenze e rotture rispetto alle norme e ai codici cavaliereschi.

Lo scopo della presente lettura, che prende a oggetto i tre duelli del primo canto (il terzo continua, con una tipica rottura a fine canto, nel secondo canto) è di seguire l'introduzione e il primo svolgersi del «genere duello», per ricavarne alcune delle strategie fondamentali e cogliere una prima serie di costanti e di varianti. Ricordiamo brevemente che il duello 1 è legato all'episodio di Ferraù, che troviamo seduto presso una riviera intento a cercareil suo elmo caduto nelle acque, quando viene interrotto dalle grida di Angelica in fuga, di cui assume la difesa contro l'inseguitore Rinaldo (ott. 14-22); il duello 2 mette in scena Sacripante che, apprestatosi a «cogliere la rosa», Angelica, viene distolto dall'impresa da un cavaliere sconosciuto (Bradamante)che

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damante)cheegli sfida a duello (ott. 59-71); mentre il duello 3 ha luogo quando Rinaldo, raggiunti Sacripante e Angelica, sfida il cavaliere saraceno a restituirgli cavallo e amante (I, 77-86 e 11, 1-18). I duelli, brevi (occupanti cioè poco spazio nella narrazione) formano un crescendo sapientemente strutturato, da quella specie di riassunto di duello, costituito dall'incontro tra Ferraù e Rinaldo, alla singoiar tenzone, elaborata in modo esemplare e a regola d'arte tra Sacripante e Rinaldo.

A considerare i tre duelli più da vicino si può individuare una struttura a tre fasi: 1. un 'introduzione nella quale viene stabilito lo schema narrativo fondamentale, e cioè la relazione soggetto-oggetto-antagonista, e dove si organizza il primo elemento descrittivo fondamentale, lo spazio inteso come scena per il duello, nonché l'eventuale presenza di spettatori da cui potrebbe risultare una dimensione teatrale del duello; 2. lo scontro vero e proprio, composto dalla sfida verbale e dalla battaglia e 3. la conclusione che qui prende forma più di sospensione, e dove la relazione con l'oggetto della contesa e eventuali spettatori, normalmente lasciata in ombra durante lo scontro viene ripresa.

L'introduzione

Caratteristico dei tre duelli, per quanto riguarda la relazione soggetto-oggetto-antagonista,
è il fatto che essa si stabilisce per caso, in quanto nessuno dei
contendenti ha cercato l'altro:

tanto girò (Angelica, seguita da Rinaldo), che venne a una riviera.
Su la riviera Ferraù trovosse... (1,13 e 14)

Ecco pel bosco un cavallier venire... (Bradamante) (1,60)

Poi rivolgendosi (Angelica) a caso gli occhi, mira
venir sonando d'arme un gran pedone. (Rinaldo) (I, 77)

I personaggi sono mossi da una forza intima di carattere quasi irrazionale che guida la loro ricerca, la loro «inchiesta» (per Rinaldo e Sacripante di Angelica, per Bradamante di Ruggiero), e l'antagonista si trova casualmente a sbarrare la strada del cavaliere che va inseguendo, lo sguardo lontano, la sua meta sfuggente. Questo è evidente soprattutto nell'episodio di Bradamante che disarciona Sacripante, salvando Angelica quasi senza awedersene, e prosegue come una sonnambula la sua ricerca. Solo nel duello tra Sacripante e Rinaldo vengono a scontrarsi due «inchieste», due forze che si muovono verso la stessa meta, e ne scaturisce un vero scontro. Le altre motivazioni nascono invece in modo del tutto casuale, e presentano un carattere meno «cavalieresco»:

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La motivazione di Ferraù

e perché era cortese, c n'avea forse
non meno dei due cugini il petto ca1d0,... (I, 16)

è una motivazione doppia (non rara in Ariosto) di cui il primo membro si conforma alle norme cavalieresche, mentre il secondo corregge la portata del primo, adducendo un'altra ragione, di un realismo psicologico tipicamente rinascimentale. La motivazione di Sacripante:

Re Sacripante, che non puô patire
che quel con l'importuno suo sentiero
gli abbia interrotto il gran piacer che'avea,... (1,60)

si rivela senza la minima ambiguità nella sua crudezza realistica, appoggiandosi su una filosofia del comportamento utilitaristica e non più ideale. Le forze che si incontrano e si scontrano nei duelli sono dunque di due tipi: da una parte, la passione irrazionale che muove «l'inchiesta» amorosa, e, dall'altra, manifestazioni di una psicologia che noi riconosciamo come realistica e scettica. Una terza forza che il lettore si aspetterebbe di vedere in atto si fa invece attendere: si tratta di una motivazione schiettamente «epica», e cioè la volontà di combattere per una causa, ad esempio per la difesa del Sacro Impero. Anche se i tre duelli avvengono tutti tra un saraceno e un cristiano non c'è ombra di motivazione «epica», o comunque di valori esplicitamente etici o religiosi. Da tale carattere delle motivazioni consegue, in alcuni commentatori contemporanei ali'Ariosto, una certa perplessità appunto nei riguardi della gerarchia dei valori del testo.

Nella misura in cui l'incontro è casuale, anche la scena lo diventa: una schiarita nel bosco accanto alla riviera nel primo caso; nel secondo un'altra radura con il paesaggio di sapore petrarchesco in cui Sacripante sta seduto a piangere la sua rosa; e, infine, nello stesso bosco, un sentiero tortuoso in cui Angelica e Sacripante vengono raggiunti. In nessuno dei casi lo spazio, già descritto prima in altro contesto, viene poi trasformato in scena di battaglia; in spazio per il duello. Tuttavia è degno di nota come la stessa descrizione dello svolgersi del combattimento, delle mosse eseguite da cavalli e da cavalieri faccia nascere uno spazio intorno ai combattenti, facendo appello allo sguardo di un pubblico, che non si risolve nell'occhio interessato ma non specialistico di Angelica, presente ai tre duelli - ma che è costituito da quel pubblico ideale immaginato all'interno del testo dalle strategie del narratore epico.

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Lo scontro

II primo elemento, la sfida verbale, viene accennato, nel duello tra Rinaldo e
Ferraù, in modo così elittico da passare quasi inosservato:

corse minacciando
dove di lui poco tcmeva Rinaldo (I, 16)

dove i due verbali stanno a sintetizzare botta e risposta di una regolare sfida. Nel secondo duello la sfida occupa sei righe, ma solo nel terzo scontro ci troviamo di fronte a una serie sapientemente elaborata di insulti cavaliereschi che stabilisce la funzione del duello come regolamento di valore giuridico di una contesa (qui sul diritto di possesso di un cavallo e di una donna):

- Tu te ne menti che ladrone io sia
(rispose il Saracin non meno altiero):
chi dicesse a te ladro, lo diria
(quanto io n'odo per fama) più con vero.
La pruova or si vedra, chi di noi sia
più degno de la donna e del destriero;
ben che, quanto a lei, teco io mi convegna
che non è cosa al mondo si degna. - (11, 4)

Secondo un grande critico dell'Ariosto sono proprio, più delle stesse battaglie, le sfide a base di violenti litigi e insulti a possedere «una rudezza epica in cui si delinea con fugace potenza la figura del guerriero» {Momigliano, p. 274). Rientra a pieno diritto nella tradizione epico-eroica il battersi sia per una dama, sia per un destriero di grande valore come il Baiardo; solo che qui la doppia motivazione toglie un po' di fiato all'epicità, costringendo io stesso Sacripante a spiegare che, certo, la dama vale di più.

La battaglia del primo duello è descritta in un colpo di penna, come un
riassunto del genere stesso di duello:

Cominciar quivi una crudel battaglia, come a pie si trovar, coi brandi ignudi: non che le piastre e la minuta maglia, ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi.

Or mentre l'un con l'altro si travaglia... (I. 17 e 18)

Si nota la rapida essenzialità della descrizione, caratteristica fondamentale in Ariosto. Abbiamo accennato alla qualità spettacolare dei duelli, qualità che riposa sul taglio incisivo della descrizione e sulla perfetta visibilità degli elementi descritti. Citiamo dallo scontro tra Rinaldo e Sacripante:

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Fanno or con lunghi, or con finti e scarsi
colpi veder che mastri son del giuoco:
or li vedi ire altieri, or rannichiarsi,
ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,
ora crescere inanzi, ora ritrarsi,
ribatter colpi e spesso dar loco,
girarsi intorno; è donde l'uno cède,
l'altro aver posto immantinente il piede. (11, 9)

Si noti il vedi del terzo verso che, facendo appello a un pubblico, rende
visibile la scena, creando spazio e distanza ai combattenti.

La conclusione

Ingredienti fondamentali sono, da una parte la varietà delle soluzioni e l'effetto «sorpresa» di molte conclusioni - interruzioni o tregue che siano -, e dall'altra il peso assunto da questi esiti nell'economia dei valori del testo, per una valutazione delle forze che spingono i personaggi a scontrarsi, nonché dei valori «premiati» nell'universo del testo. Nella famosa chiusa del primo duello, che costituisce il vero centro d'interesse di questo primo scontro occupando ben tre ottave, l'oggetto conteso, Angelica - spettatore presente al duello - decide di scappare, e i due difensori di vergini si associano nel progetto di impossessarsi della dama fuggita prima di continuare un duello diventato senza scopo, perché senza oggetto. L'argomentazione di Rinaldo sottolinea nella sua crudezza la motivazione non ideale dei due cavalieri, suggellata poi dall'ironico commento del narratore:

Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!
Eran rivali, eran di fé diversi,
e si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona anco dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza sospetto aversi. (1,22)

Come le strategie comunicative dell'ironia possano essere di difficile lettura
lo dimostra un commento del 1586 a questo passo:

Questi atti cavaliereschi in non portar alcun odio a nemici dopo la pugna e contentione, e mostrar loro lealtà, e gratitudine s'usò grandemente ne' buoni secoli (...). Onde si vede EAriosto haver usato tutti questi termini di cavalleria, per far l'opera sua d'ogni canto vaga, e perfetta. (Lavezuola, 1586, citato da Hempfer, p. 230)

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II lettore vicino nel tempo agli argomenti tende, così può sembrare, a privilegiare la componente storico-ideologica di un testo, riconducendolo entro un orizzonte conosciuto, e lasciando in ombra parte dei significati delle strategie letterarie che costituiscono un luogo di possibile significazione nuova, - e più visibile per un lettore distante nel tempo.

Anche il secondo duello si chiude con un effetto «sorpresa», sottolineato dalla comicità del paragone: i cavalli, cozzatisi come montoni cadono a terra, uno morto all'istante. Non sembrerebbe ragione sufficiente per una sospensione dello scontro; ma la non esistenza di una profonda motivazione che possa spingere alla battaglia risalta proprio dalla leggerezza con cui Bradamante prosegue per la sua strada come se niente fosse. Nel terzo duello l'oggetto della contesa (Angelica) si sottrae di nuovo, con la variante che i due combattenti, stavolta più ciechi dalla rabbia, non se ne accorgono...

Tre conclusioni che hanno tutto il carattere di sospensioni; tre battaglie risultate da incontri casuali, in cui niente si risolve, mentre l'oggetto della contesa svanisce durante la stessa battaglia per ottenerlo. Nelle motivazioni che portano a iniziare o a sospendere il duello s'incrocia la spinta vitale dell'illusione con il riso scettico di una visione psicologicamente realistica del mondo. «L'iterazione morfologica diventa un fatto da privilegiare per l'interpretazione della forma della fabula» (così il Palma, p. 37). Con la struttura dei tre primi duelli sono già messe in moto importanti strategie che orienteranno la lettura tematica del poema.

Lene Waage Petersen

Università di Copenaghen

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Lettura del duello tra Argante e Tancredi (Gerusalemme Liberata, canti VI e XIX)

La genesi del duello tra Argante e Tancredi - interrotto per il calare delle tenebre nel VI canto e ripreso all'interno della grande battaglia di Gerusalemme nel XIX - è curata dal Tasso nei minimi dettagli, conferendo a questo duello in particolare uno status di «...punto di riferimento sicuro o di gran peso e significato...» (Scrivano, 1980, p. 219) intorno al quale vengono ad organizzarsi gli elementi del disegno narrativo in unitaria visione, all'interno della quale l'universo cavalieresco è calato nell'etica cristiana; proprio in grazia dell'intento programmatico del poeta, il duello - e questo duello in particolare - ha chiara funzione di exe/npluni, di sintesi tra i due poli conflittuali, contradditori su cui il poema si costruisce:

11 Tasso insegue un epos cristiano ed edificante per costruirvi tra visione pittorica del reale e chiaroscuro del simbolo onirico, un sublime moderno, sovrapponendo al tessuto narrativo i modelli iconici della lirica e del dramma. (Letteratura Italiana Einaudi, voi. 3. tomo I, 1984, pp. 92-93)

Sin ád\Yincipit - quel «Ma» che inesorabilmene lo lega al canto precedente contrapponendo la descrizione dell'accampamento cristiano a quella della città assediata - s'instaura un gioco di specchi e rimandi estremamente complessi che evidenzia la costruzione insistita di allusioni interne e speculari di notevole intensità.

La vivace descrizione dei lavori che fervono attorno alle fortificazioni e
delle attività alacri che preparano ad una ripresa della guerra esalta l'impegno
della comunità, cui il re sovrintende:

E 'I re pur sempre queste parti e quelle lor fa inalzarc c rafforzare i fianchi e in far continuamcnte arme novelle sudano i fabri affaticati e stanchi. (Genisalemme Liberata, canto VI, 2)

Argante «intolerante» di questa situazione di attesa, insofferente ad ogni
consiglio di prudenza si erge immediatamente, arrogantemente contro tutti:

- E insino a quando ci terrai prigioni
fra queste mura in vile assedio e lento?
Odo ben io stridere incudi e suoni
d'elmi e di scudi e di corazze sento,
ma non veggio a qual uso...

(Gerusalemme Liberata, canto VI, 3)

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Mi sembra importante rilevare come l'aspetto descrittivo/visivo dei «fabri» diventi qui, nell'invettiva di Argante un connotato sonoro, fortemente insistito; la sua contrapposizione non è solo, dunque, nel disprezzare la prudenza del re, la sua gestione bellica, quanto una diretta individuazione del guerriero contro tutti gli altri, contro una collettività, una società; la lunga arringa di Argante segna una sua caratterizzazione morale precisa in cui temerarietà, arroganza, irruenza, precipitazione, eccessiva presunzione di sé, emergono con successive precisazioni che ne stagliano la figura con forza ed incisività. La sua sfida suona senza condizioni, tagliente, esuberante:

Ma se ne! troppo osar tu non ispcri,
né sei d'uscir con ogni squadra ardito,
procura almen che sia per duo guerrieri
questo tuo gran litigio or difinito.
E perch'accetti ancor più volentieri
il capitán de' Franchi il nostro invito,
l'arme egli scelga e 'I suo vantaggio toglia,
e le condizion formi a sua voglia.

(Gerusalemme Liberata, canto VI, 7)

Argante si autoelegge campione per i suoi, ma la dura risposta del re che pone precise limitazioni a tanto ardore è articolata sia sul piano di valutazioni strategiche, che su considerazioni che riguardano Solimano. L'accenno al possibile rivale - e qui si entra nell'universo cavalieresco - esaspera Argante, che sprezzante chiede di poter disporre di se stesso:

S'indugi pure, e Soliman s'attenda;
ei che perde il suo regno, il tuo difenda.

Vengane a te corne céleste messo,
liberator del popolo pagano,
ch'io quanto a me, bastar credo a me stesso,
e sol vuo' libertà per questa mano.
Or nel riposo altrui siami concesso
ch'io ne discenda a guerreggiar nel piano:
privato cavalier, non tuo campione,
verra coi Franci a singolar tenzone.

(Genisalemme Liberata, canto VI, 13-14)

Segue alla puntualizzazione dei termini della disfida di Argante la nomina di un «re d'arme», di cui si segue l'investitura, la proposta della sfida ai cristiani,il suo ritorno a Gerusalemme, la risposta portata ad Argante (canto VI, 14-21). E' un elemento importante che nella rigida gerarchla di valori instauratadal Tasso, serve a sottolineare il grande rilievo dell'evento; la sfida verbale, inoltre, risulta fortemente enfatizzata proprio dal suo spezzettarsi e

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frantumarsi in episodi diversi, in una sorta di crescendo nell'avvicinamento dei due contendenti. Il re Moro, come segno della sua prudenza e del suo comportamento guardingo, fa seguire Argante da mille armati guidati da Clorinda, con il compito preciso di proteggere lo sfidante, ma con il divieto assoluto di intervenire nel combattimento.

Il gruppo di guerrieri si muove infine (canto VI, 22) e nella descrizione intervengono quei connotati spaziali — mai neutri in Tasso - connotati in funzione «teatrale-spettacolare» (Scrivano, 1980, p. 217) ove le molte allusioni alla contrapposizione tra chiuso (città/alto) e aperto (campagna/piano/basso) si concretizzano e divengono esplicite e dirette. Per il duello si sceglie un luogo particolare:

Loco fu tra le mura e gli steccati che nulla avea di diseguale e d'erto: ampio, capace, e parea fatto ad arte perch'egli fosse altrui Campo di Marte.

(Gerusalemme Liberato, canto VI, 22)

Luogo intermedio, dunque, pianeggiante ed ampio per sua natura, ma anche chiuso da steccati, quindi limitato, circoscritto, quasi «fatto ad arte». Nel diciannovesimo canto, il luogo del duello cercato insieme dai due contendenti, dopo una regolare e diretta sfida verbale, viene così descritto:

e ritrovano ombrosa angusta valle tra più colli giacer, non altrimenti che se fosse un teatro o fosse ad uso di battaglie e di caccie intorno chiuso.

(Gerusalemme Liberata, canto XIX, 8)

Qui il riferimento al teatro è esplicito e inequivocabile, come del resto in molti altri luoghi della Liberata (cfr. Costanzo, 1964/Ariani 1974/Scrivano 1980), e una possibile ricerca sui duelli nel poema tassiano dovrebbe partire proprio da questo: tentare di separare e di definire la funzione spettacolare da quella più specificamente teatrale e chiarire quali diverse funzioni, significati di volta in volta assumano all'interno del tessuto narrativo.

Nei due casi citati sopra è da notare la sottile specularità delle due descrizioni,
quel gioco instaurato abilmente tra «natura» e «artificio» del luogo in
cui i duelli si svolgono.

Alla precisazione dello spazio designato, consacrato alla singoiar tenzone fa seguito l'ergersi di Argante, solo e imponente, che si offre alla vista degli sfidati: «fero/gran cor, gran corpo/minaccievole in sembiante» (canto VI, 23); descrizione fisica del guerriero ancora, però, con connotati etici che ne legano l'aspetto alle azioni. Esattamente come il Tasso ha delineato il caratteredel suo eroe pagano attraverso varie situazioni, così usa tutto il corso del

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duello per evidenziare visivamente la sua potenza, il suo fisico straordinario,
la sua gigantesca possanza.

Benché sia caduta l'ipotesi di uno scontro tra campioni, tuttavia Tancredi viene investito del ruolo di «sfidato» per eccellenza: una mutua, silenziosa ed unanime designazione avvenuta tra «bisbigli» e sguardi che passano dai suoi compagni a Goffredo, precede l'investitura ufficiale che con breve discorso il Capitano comunica e alla quale il giovane risponde prontamente armandosi, lusingato e orgoglioso; anche in questo caso il riferimento implicito, ma immediato è alla tracotante autoinvestitura di Argante, quindi utile ad una caratterizzazione dello stesso Trancredi (canto VI, 24-25). Ma prima di giungere al campo di battaglia egli vede nivea, splendente, lunare Clorinda che «sovra un'erta/tutta, quant'ella è grande, era scoperta» (canto VI, 26) e, soggiogato dalla passione amorosa, dimentica il suo compito affidatogli collettivamente, il suo impegno morale e persino il minaccioso sfidante. Il tema cavalieresco doìVerranza e la frantumazione dei punti di vista - temi ambedue cari al Tasso - si intersecano mirabilmente: il giovane ardimentoso Ottone si batterà al posto di Trancredi per primo - con funzione di prologo e preparazione al duello principale - e Clorinda dall'alto va a costituire uno dei molti referenti visivi, uno dei poli di quella complessa rete di spettatori privilegiati del duello, che nella struttura della Liberata hanno la doppia funzione di rendere «mirabile» l'evento, nobilitato dagli spettatori, e di consentire una relativizzazione del materiale (con un occhio al lettore). Doppio sistema, dunque, rigidissimo nella costruzione, ma pure duttile, poiché permette una ripresa, un approfondimento, una continua rinarrazione. La conclusione del duello Argante/Ottone, rinnova la tensione ed è a questo punto che Tancredi raccoglie la sfida:

Ne Tira Argante infellonisce, c strada
sovra il petto del vinto al destrier face;
Ma l'invitto Tancredi aiior non baua,
ché l'atto crudelissimo gli spiace,
e vuol che '1 suo valor con chiara emenda
copra il suo fallo e, come suol, risplenda.

(Genisalemme Liberata, canto VI, 36)

La sfida verbale di Tancredi sottolinea crudamente il carattere diverso dei due contendenti: barbaro è Argante, poco cavalieresco e crudele «Fuggì la luce, e va con l'altre belve/ a incrudelir ne' monti e tra le selve»; e la risposta del guerriero pagano, soffocato dall'ira, non fa che ribadire e confermare il suo selvaggio carattere: «Risponder vuoi, ma il suono esce confuso/ sì come strido d'animai che rugge» (canto VI, 37, 38). Infine i due guerrieri sono l'uno di fronte all'altro, ma proprio mentre si preparano ad affrontarsi, il

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poeta invoca le Muse (canto VI, 39) interrompendo il ritmo narrativo, quasi prendendo fiato e aumentando l'attesa, conferendo un'aura di eccezionaiità all'evento. Le ottave seguenti (canto VI, 40-48) descrivono il duello dall'esito incerto: dapprima lancia in resta i due campioni a cavallo cozzano l'uno contro l'altro: «Rupper l'aste sugli elmi, e volar mille/ tronconi e scheggie e lucide faville» (VI, 40); i cavalli non reggono all'urto, cadono e non riescono a rialzarsi e il combattimento continua a piedi: «Tratte le spade, i gran mastri di guerra/lasciar le staffe e i pie fermaro in terra» (VI, 41). Inizia un duello cauto fatto di finte, di guardie, di affondi e di parate: «e tentar di schernir l'arte con l'arte» (VI, 42); ad un attacco di Argante che contava di colpirlo in un punto non difeso, Tancredi «ribatte» ferendolo e ad un successivo rabbiosoattacco lo colpisce ancora. La doppia ferita di Argante, il suo stupore e furore «del sangue suo macchiato e molle» apre al paragone con l'orsa ferita «ne l'alpestri selve» (VI, 44-45) e a questo punto il furore e l'ira d'Argante diventano incontenibili: «Tancredi in sé raccolto, attende in vano/ che de' gran colpi la tempesta passi» (VI, 47) ma:

Vinta da l'ira è la ragione e l'arte,
e le forze il furor ministra e cresce
Sparsa è d'arme la terra e l'arme sparte
di sangue e '1 sangue co '1 sudor si mesce.
Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono,
fulmini nel ferir le spade sono.

(Gerusalemme Liberata, canto VI, 48)

Più che mai incerto l'esito del duello tra la furia potente di Argante e la maestria agile e veloce di Tancredi, e il Tasso procura di aumentare l'incertezza dell'esito introducendo le reazioni del pubblico: «Questo popolo e quello incerto pende/ da sì novo spettacolo ed atroce...» (VI, 49) che dopo l'interruzione del duello per il calare della notte ad opera di due araldi dei campi avversi che scendono in campo fidenti:

I pacifici sccttri osàr costoro fra le spade interpor de' combattenti, con quella securtà che porgea loro l'antichissima legge de le genti,

(Gemsalemme Libérât a, canto VI, 51)

e dopo il giuramento dci contendcnti di riprendcre il duello passati sei giorni,
viene ribadito:

Lasciò la pugna orribile nel core
de' saracini e de' fedeli impressa
un'alta meraviglia ed un orrore

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che per lunga stagion in lor non cessa.
(Gerusalemme Liberata, canto VI, 54)

E insieme alle considerazioni sui guerrieri, all'incertezza della soluzione del duello, c'è l'insistenza sul possibile prevalere del «furore» o della «virtù», che senza fare i nomi degli antagonisti sancisce un giudizio morale implicito (per quanto relativo) sui due campioni. E sul piano dell'incertezza è introdotta la figura di Erminia «che da i giudizi de l'incerto Marte/ vede pender si sé la miglior parte» (VI, 55). Le ottave seguenti (VI, 56-61) narrano la sua storia, la sua prigionia presso Tancredi, che se pur schiava e vinta l'ha liberata e rispettata, il suo amore per così gentil cavaliere ed ora il suo spasimare dalle torri e dalle mura di Gerusalemme per vedere sia pur da lontano il suo amato:

Ncl palagio régal sublime sorge
antica torre assai presso le mura,
da la cui sommità tutta si scorge
l'oste cristana, e 'I monte e la pianura.
Quinci vide la pugna, e 'l cor nel petto
senti tremarsi in quel punto si forte
Cosi d'angoscia piena e di sospetto
mirô i successi délia dubbia sorte,
e sempre che la spada il pagan mosse
senti ne l'aima il ferro e le percosse.

(Genisakmme Liberala, canto VI, 62-63)

Un'ulteriore punto di vista - per di più introdotto dopo molte ottave - che sancisce quel gioco di chiuso/città/alto e di aperto/piano/basso e quel contrapporsi del «vide»/«sentì», «mirò»/«sentì», che riesce ad interiorizzare la violenza della lotta e del duello in una dimensione di affannosa, patetica affettuosità. La conclusione del duello è al canto XIX, ove esso si svolge lontano da occhi umani, senza spettatori - esattamente come il duello Tancredi/Clorinda - e come quello termina con il vincitore privo di sensi accanto all'ucciso rivale:

Già simile a l'estinto il vivo langue
al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.

(Gerusalemme Liberata, canto XII, 70)

Al fin ¡sviene; e '1 vincitor dal vinto
non ben saria nel rimirar distinto.

(Gerusalemme Liberata, canto XIX, 28)

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Relativismo, nichilismo, patetismo, commossa partecipazione dell'umana dolorosa condizione, s'intrecciano in Tasso alla rispettosa trattazione del «genere» del duello in cui egli introduce un formalismo anche eccessivo, segno dell'avvenuta «rifeudalizzazione» della società e anticipazione del rigido codice secentesco d'ispirazione spagnola.

Daniela Quarta

Roma

Riassunto

Nella poesia epico-cavalleresca, il duello - in particolare nella sua forma di singoiar tenzone - rappresenta un luogo privilegiato di incontro/scontro, dal quale emergono valori individuali e collettivi, e forze motrici di carattere etico-ideologico come anche motivazioni psicologiche più o meno coscienti.

Questo intervento presenta due brevi saggi di lettura dei duelli del primo canto ût\Y Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e del duello di Argante e Tancredi del canto sesto della Gerusalemme Liberata di Torquato lasso; si tenta di evidenziare taluni problemi e suggestioni da sempre presenti nella critica lettararia, privandoli della tensione comparativa che vuole stabilire primati estetici per recuperare, invece, tutta la complessità del fenomeno che vede all'interno dello stesso genere letterario (il poema cavalieresco), fiorito nella stessa area geografica (Ferrara), tante profonde trasformazioni nel volgersi di un cinquantennio.

Al di là, dunque, della fissità del genere duello, s'impongono differenze e distinzioni
che qui verrano solo sinteticamente accennate ed esposte e che dalla loro stessa
contrapposizione vorrebbero svelare la trama sottile di similitudini e abissali diversità.

Bibliografia

Hempfer, K. W: Diskrepante Lekíüren: Die Orlando-Furioso-Rezeption im Cinquecento.
Stuttgart, 1987. (In particolare il capitolo «Die Cavalieri und das «riüerüche
Tugendsystem».

Momigliano, A.: Saggio su L'Orlando Furioso. Bari, 1928 (qui cit. dall'ed. Universale
Laterza. 1967).

Palma, G. dalla: Le strutture narative dell'Orlando Furioso. Firenze, 1984.

Dalla vastissima bibliografia sull'Orlando Furioso si portano qui i volumi
citati all'interno deU'intervento, e di cui ho tenulo conto in modo particolare,
anche per la diversità degli approcci metodologici.

Bibliografìa

Costanzo, M.: // «Gran teatro del mondo». Milano, 1964.

La bibliografia sul Tasso e in particolare sulla Gerusalemme Liberata è immensa; qui si portano i volumi citati all'interno dell'intervento, che più di altri si sono occupati della «teatralità» della Gerusalemme; in particolare lo Scrivano suggerisce una metodologia di lettura dei duelli nella Liberata, cui mi sono largamente ispirata.