Revue Romane, Bind 25 (1990) 1Gunver Skytte: Lcerebogi italiensk fonetik. Odense Universitetsforlag, 1987. 277 p.Signe Marie Sanne
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È uscita una nuova edizione del manuale di fonetica Italiensk fonetik di Gunver Skytte (prima edizione Odense Universitetsforlag 1975). Per una descrizione più particolareggiata del contenuto del libro rimando alla recensione della prima edizione apparsa sulla Revue Romane, tome XI, p. 381-5. La mole del libro è diminuita in grado notevole, da 442 a 277 pagine. Da un punto di vista psicologico, questa è stata una scelta felice. Il libro si presenta pure nella nuova veste tipografica a lungo desiderata. A questo proposito vorrei aggiungere qualche suggerimento per una prossima edizione del libro: la presentazione comples-
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siva è migliorata considerevolmente, del che a ragione si vanta l'autrice, però ci sono ancora dei difetti. I fonemi /rrj/ e /ji/ e la variante [rj] mostrano solo un accenno dell'archetto normale. Nel fonema Ikl l'archetto è stampato alla rovescia. Ciò che forse disturba di più è che il segno dell'accento non sia posto abbastanza in alto, così che parecchie volte nel corso della lettura l'ho preso per una r. Un ultimo piccolo difetto è costituito da spazi non motivati tra le singole parole, p.e. a p. 42 dove problemi tecnici hanno cagionato la riga seguente: (klusil, f, v+l, r), in cui si è tentati di leggere v+l come un insieme. Avrei pure preferito fosse serbato l'archetto che nell'edizione precedente legava un fonema composto da due segni (per esempio /ts/). Ci sono pure altre cose le quali si rivelano tipograficamente poco felici. Si veda il brano Verbalformer a p. 80. A causa dell'uso degli apostrofi il brano si mostra molto ostico. Ho letto il brano più volte senza accorgermi della distinzione tra 'da' e 'da", o 'fa' e 'fa". Più in giù si hanno 'sta fermo' o 'sta' fermo'. Aile volte avrei preferito andare a capo délia riga per rendere la lettura più facile, per esempio a p. 40 dove diversi gruppi di lettere danno lo stesso suono: c (+ a, o, u), ch (+i, e), q(+u) [k]: 'cara' [éka-ra], 'anche' ['arjke], 'quale' [ 'kùa-le]. Lo stesso vale per la riga ap. 161 la quale contiene tante parentesi sia tonde che quadre: [XX] (gl(0), [RP] (gn(i)), [H] (sc(i)),[tts]og[dds] (zel.zz). Un altro esempio del genere è Ciolo/Ciola e Violo/Viola a pagina 107 dove C e V indicano qualsiasi consonante e vocale posta davanti alle desinenze -iolo/iola. La lettura di questo brano si complica di più per il fatto che uno degli esempi sotto Ciolo/Ciola è proprio 'viola'. Eautrice dichiara nell'introduzione il suo desiderio di fare del manuale solo un libro di testo, e non più anche un manuale di consultazione come era il suo intento nel 1975. Nella prima edizione gli studenti non dovevano studiare tutto il libro, bensì circa due terzi, mentre ora tutto il libro deve essere portato agli esami. Ci si chiede però se sia da augurarsi che tutta la materia debba essere studiata con uguale attenzione. A mio parere il capitolo Vili Fremmede lydltegt (Suoni e segni stranieri) (p. 221-250) servirebbe piuttosto per la consultazione. Proprio nel campo dei prestiti ci si trova davanti a molta variazione - dalla pronuncia che segue fedelmente quella indigena, a quella adattata al sistema fonetico italiano. In un periodo di transizione ci sarà molta vacillazione finché spesso una sola pronuncia abbia il sopravvento trovando un posto definitivo nei dizionari. Un ulteriore mio parere sul rapporto libro di testo - manuale di consultazione riguarda il suo modo di trattare le opposizioni /e/-/e/ e /0/-/0/, e anche l'opposizione /s/ -/§/. Se molte varianti regionali italiane non si avvalgono più di queste opposizioni vocaliche e qualche fonologo italiano raccomanda una pronuncia «neutra» usando una vocale intermedia (p.e. Lepschy) mi sembrerebbe aver più senso limitarsi a consultare l'elenco delle regole senza necessariamente impararle a memoria. Quanto alla s sembra sia in aumento l'estensione della s sonora a spese della sorda in posizione intervocalica. Siccome questa opposizione si trova solo nell'ltalia centrale, dove sta perdendo sempre più terreno, mi sembrerebbe più opportuno consigliare l'uso della s sonora in posizione intervocalica e servirsi del capitolo solo per la consultazione.
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A parte la diminuzione del volume, il cambiamento più cospicuo riguarda l'ordine dei capitoli. Dopo un'introduzione generale concludentesi con la trascrizione fonetica di diverse pagine, vengono intromessi i capitoli Lyd i sammenhaengende tale, Prosodi og Tryk davanti ai capitoli sul sistema vocalico e consonantico che in precedenza seguivano questi capitoli. La motivazione di questo cambiamento è spiegata nell'introduzione: le ricerche recenti sottolineano l'importanza dell'intonazione per farsi capire, nel senso che molti malintesi sono dovuti a un'intonazione erronea. In questo modo l'autrice parte dal periodo/dalla frase per approdare alle piccole unità costituite dalle singole parole, dai fonemi e dalle varianti. Posso accettare questo nuovo ordine dei capitoli fino ad un certo punto, ma mi domando se quest'ordine non sia la cagione di alquante ripetizioni. Vorrei tuttavia muovere un'obiezione molto forte concernente la trascrizione fonetica di vari testi: essa appare già a pagina 45, senza che siano introdotte nozioni come il rafforzamento sintattico, i nessi sineretici, le varianti nasali in posizione preconsonantica, gli accenti forti, semiforti e deboli ecc. A mio parere non toglierebbe niente alla presentazione rimetterla dove era prima - nella parte finale del libro. Com'è adesso, presenterebbe troppi problemi allo studente coscienzioso che vorrebbe farne una lettura approfondita cercando di capire senza avere i fondamenti teorici. Un'ultima cosa di cui sento la mancanza è l'indice di cui era provvista la prima edizione sia per i singoli vocaboli che per i termini tecnici. In quest'edizione l'autrice ha dato più peso alla fonetica riducendo un po' la trattazione fonematica. Ha anche consolidato il lato contrastivo facendo paragoni continui tra il sistema fonetico/fonematico italiano e quello danese, il che a mio parere è molto utile in quanto siamo tutti soggetti a delle interferenze dalla lingua madre, in questo caso dai suoni appartenenti alla nostra lingua madre. La base teorica sulla quale si appoggia Skytte ha come risultato un inventario fonematico di 7 fonemi vocalici e 21 fonemi consonantici. Implicitamente in questo numero di fonemi sta il fatto che le geminate si considerano come due fonemi identici susseguentisi (la spiegazione dei tre stadi articolatori con intensione - tensione - distensione, valida per qualsiasi nesso di due consonanti, non fa che rafforzare questa trattazione bifonematica delle geminate); la durata vocalica viene considerata come tratto ridondante (le varianti vocaliche lunghe e brevi sono varianti combinatone). Una terza variante della vocale è la variante asillabica di qualunque fonema vocalico. Questo punto di vista risolve il problema di j e w, da molti ritenuti fonemi. Secondo l'autrice non sono altro che due varianti asillabiche [ Ï ] e [u] dei fonemi hi e lui. Questo modo di esporre il sistema fonematico costituisce una base solida e razionale a cui do il mio pieno consenso. Mi sembra meno fortunata, tuttavia, la trattazione fonematica delle varianti nasali in posizione preconsonantica. Capisco benissimo la perplessità riguardo alla loro appartenenza fonematica: si tratta di uno dei problemi più spinosi della fonematica. Eautrice ha scelto di ricondurre [m] e [m] al fonema /m/, e [n], [n] e [I] al fonema /n/. Questa soluzione è probabilmente stata scelta per motivi pedagogici, ma nella sua trattazione le cose si complicano ulteriormente. A p. 145 quando è trattato il fonema /n/ si dice che esso non si trova in posizione preconsonantica fatta l'eccezione per quando si trova davanti a se stesso /jiji/. A p. 195, invece, si dice che [p] si trova in tale posizione come variante facoltativa nel contesto 'con gli occhi' [kojVAokki], questa volta come variante del fonema Ini. Tutto questo non fa che aumentare la confusione dello studente, per cui lo studio della fonematica spesso si presenta molto arduo.
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I pochi accenni che vengono dati alla neutralizzazione quanto alla s si mostrano pure difficili. Dopo aver capito che in posizione preconsonantica si trovano tutte le varianti nasali (appartenenti solo a tre fonemi) e le due varianti della sibilante s (che di solito appartengono a due fonemi, ma che in questa posizione sono neutralizzati) gli studenti imparano anche che in posizione finale si verifica una neutralizzazione degli stessi fonemi /s/ e /§/, ma - strano a dirsi - qui si trova solo una variante: [s]. Capisco l'autrice: queste cose sono ben ardue da spiegare e, volendo introdurre nozioni come fonemi e varianti - che approvo-, non si può fare a meno di accennare a questi problemi. Vorrei muovere una cauta obiezione alla rappresentazione visiva dell'intonazione. So che l'intonazione è stata proprio al centro di tante ricerche recenti, e sono del parere che uno straniero debba cercare di imparare un'intonazione corretta. Ma proprio qui sta la spina: pochi studenti hanno la fortuna di poter stare nello stesso luogo per un periodo lungo e continuato e ricevere solo impulsi da persone con la stessa intonazione. Parlando con un romano si è esposti a una intonazione, parlando con un settentrionale a un'altra. Eautrice si mostra ben conscia di questo problema cercando di non estendersi troppo sull'argomento. Ciò che a mio parere rende l'esposizione in questa edizione meno utile che nella prima, sono i segni di cui l'autrice si avvale: prima di tutto è difficile vedere chiaramente su quale dei tre livelli si trovano rispettivamente i trattini e i punti. Poi mi sembra che le frecce in realtà siano superflue, che ripetano solo il movimento per esempio da un livello alto a uno basso. Non vedo altra soluzione per poter interpretare un esempio con il trattino sopra la penultima sillaba (al secondo livello di tono) e il punto sopra l'ultima sillaba (al livello più basso) seguito da una freccia in giùr.i. Per concludere il mio commento sull'intonazione, vorrei aggiungere che per imparare l'intonazione bisogna avere un orecchio molto fine. Purtroppo siamo in tanti a essere negati ad un'imitazione perfetta di una lingua straniera anche se riusciamo a imitare bene le singole parole. Quando l'autrice introduce il sistema vocalico parla dei tratti distintivi: snceverhalvsncever - halvàben (chiuso - semichiuso - semiaperto). Qui probabilmente ha dimenticato il quarto tratto distintivo, ossia aben (aperto), che è appunto il tratto che distingue /a/ dagli altri fonemi vocalici (lo si vede subito dall'elenco sottostante e viene pure esplicitamente menzionato a p. 91). Come già detto, trovo molto utile il modo di trattare j e w come varianti asillabiche che formano nessi dittonghici. Quanti stranieri parlando italiano non vanno in giro a pronunciare p.e. 'cantiamo' con 4 sillabe! Però non posso in pieno associarmi al suo modo di trattare i dittonghi. Eautrice comincia il capitolo con il nesso vocale + i a p. 105. In cima a p. 107 continua conHiaterdogdeialmindeligste ifplgende forbindeber: (Lo iato è più comune però nei nessi seguenti:). Si vede ben presto che qui non si tratta più del nesso V+ i, bensì di i + V. Avrei preferito un altro ordine dell'esposizione, che prendesse magari come spunto una regola che constata l'uso di pronunciare i nessi costituiti di due vocali come un dittongo se non ci sono casi speciali. Questo varrebbe anche per la trattazione di u, la quale si presenta però molto più chiara a causa del piccolo numero di regole. Così ci si limiterebbe a ben poche regole che stabiliscano quando si pronuncia il nesso come iato. A mio parere le forme della la plurale che appaiono sotto tante regole esigerebbero una trattazione a parte, per esempio una divisione secondo la desinenza in -ire, -are, -iare. Skytte non menziona in nessun luogo che un dittongo ascendente costituisce una sillaba aperta con suono
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vocalico lungo in sillaba accentata ['pi a- no], mentre un dittongo discendente costituisce D'altronde trovo che elencare tutti gli esempi con dittongo sia molto utile per Un altro fattore che rende più difficile la lettura è il fatto che certe volte l'autrice si avvale di nozioni spiegate solo più tardi. Per esempio a p. 34 appaiono i termini fremskudt e tilbagetrukket per la prima volta. La spiegazione segue solo a p. 146. Lo stesso si verifica per le sillabe aperte e chiuse menzionate per la prima volta a p. 24, ma spiegate solo a p. 42. Manca d'altronde una spiegazione della quantità vocalica dei monosillabi che il più spesso costituiscono una sillaba aperta. Appaiono anche termini fonetici non spiegati: epentiske (p. 223, viene spiegato più tardi a p. 247), obstruenter (p. 146), neanche le sigle CL a p. 107 e V/LV a p. 79 vengono chiarite. L'autrice da pure per scontato che cosa sia un [j] e [w] (p. 99), ma proprio in una trattazione teorica si richiederebbe una spiegazione più dettagliata. A p. 97 conosciamo bene il triangolo vocalico rappresentante le vocali italiane, nel quale l'asse verticale presenta il grado di apertura e l'asse orizzontale il luogo d'articolazione. Mi confonde però lo stesso triangolo usato per le vocali danesi, nel quale non si tratta più di un asse orizzontale procedente dai luoghi di articolazione anteriori verso quelli posteriori. A p. 155 mi sarebbe piaciuto uno specchietto a quadro: così come lo schema si presenta, è difficile vedere a quali categorie appartengano i diversi suoni. Da un punto di vista pedagogico avrei preferito che i nasali, i laterali e il vibrante fossero posti nella colonna sotto i suoni sonori a p. 146, anche se la sonorità non ha per essi funzione distintiva. Quanto agli accenni alle regole ortografiche per la divisione sillabica, a p. 256, stento a vedere quali sillabe siano rappresentative per il brano. A mio parere sarebbe stato meglio prendere lo spunto dalla divisione sillabica fonetica per poi vedere in quali pochi casi la divisione ortografica se ne discosti. (A quel proposito a p.123 la trascrizione della parola 'cristianesimo' è stata divisa secondo criteri validi per l'ortografia, ossia [kri-stia'ne -simo], anziché mettere il trattino tra la s e la /.) Segnalo pure alcuni errori di stampa che potrebbero creare difficoltà per la comprensione. Si tratta di errori dell'accento e della durata vocalica, per esempio: (p. 45 /ankora/, p. 107: [anti'a • tjï • do], p. 212: [labìbon-de-vol-men-te], p. 230: vittorugi no]. A p. 256, 'gen-ti-luo-mo' (eller 'gen-ti-luo-mo') non ha senso. Tra le parentesi sarebbe 'gen-til-uo-mo'? Ciò detto, spero di non essere sembrata troppo negativa: le cose che ho segnalato sono da considerarsi dei dettagli che facilmente potrebbero essere eliminati o corretti in una prossima edizione. Nel complesso trovo che il libro abbia tante buone qualità e lo considero utilissimo per lo studio della fonetica italiana. Université de Bergen |