Revue Romane, Bind 24 (1989) 2

Per lo studio della sintassi nei testi toscani antichi*

di

Maurizio Dardano

Se consideriamo gli aspetti formali (e in particolare la sintassi del periodo e la testualità), la prosa toscana del Duecento e del primo Trecento può essere distinta in tre filoni: 1- le scritture di carattere pratico; 2- i testi narrativi di stile »medio« (chiarirò tra poco il significato di questa denominazione); 3- la prosa d'arte.

In 1- ritroviamo, per es., note di spese e di crediti, promemorie, inventan, lettere commerciali e private dalla struttura semplice. In tali scritture un intento comunicativo di base si accorda a un apparato sintattico e testuale piuttosto lineare, anche se il peso di istituti tradizionali non manca di esercitare il suo influsso . Un maggiore sviluppo sintattico e un ricorrere più fitto di espressioni formulari caratterizzano infatti alcuni prodotti testualmente più complessi di questo filone: atti giudiziari, statuti, lettere ufficiali ecc.

Con 2- mi riferisco in prima istanza a quel filone narrativo che, traendo origine dai modelli dell' exemplum mediolatino e da fonti francesi, presenta i seguenti caratteri: prevalere della paratassi, brevità dei periodi, ripetizione a breve distanza delle stesse parole, formule narrative. Tale filone comprende, almeno in parte, la produzione cronachistica e taluni scritti di carattere edificante.

In questa occasione non mi soffermerò su 3-. La prosa d'arte dei primi secoli, dotata di una struttura frasale complessa e di un'elegante finltura formale e retorica ripresa da modelli mediolatini e classici, è stata da tempo analizzata da eminenti studiosi; tra i quali ricorderò soltanto i nomi di A. Schiaffini e C. Segre .

La distinzione di questi tre filoni potrà sembrare a qualcuno generica, vale a dire non del tutto adeguata all'idea di scrittura vigente nel periodo preso in considerazione. Altri riterrà forse non opportuno comprendere in 1- scrittureche, pur essendo solidali tra loro per le scelte sintattiche, si distinguono

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per »tipi di testo« e per diverse tradizioni. Probabilmente si produrrebbero diversi ordinamenti del campo della prosa antica se si ponessero in primo piano distinzioni fondate sulla teoria dei generi letterari e/o sulla pragmatica dei testi. Ma lo scopo del presente contributo consiste proprio nel dimostrarequei vantaggi che derivano dal privilegiare la prospettiva sintattica e testuale.

In ogni modo è bene riconoscere che i confini tra il primo e il secondo filone di prosa non sono sempre ben definiti per quanto riguarda le scelte formali: la struttura paratattica e alcuni caratteri particolari della testualità (taglio ed organizzazione delle frasi) sono in parte comuni. Le differenze formali tra i due filoni appaiono più chiaramente se consideriamo le »predisposizioni« pragmatiche dei testi. Prendiamo una raccolta di scritture di carattere pratico, la raccolta di Testi pratesi egregiamente curata da L. Serianni . Studiando la sintassi periodale e la testualità di tali scritture ci accorgiamo che un'analisi non superficiale dovrà tenere conto delle condizioni di produzione dei singoli testi, le quali determinano una serie di caratteri specifici riguardanti sovente l'esecuzione più che la scelta di determinati tipi sintattici e testuali. Osserviamo, per es., come gli elenchi dei crediti, le note concernenti il possesso e lo scambio dei beni presentino nel manoscritto una disposino esterna (conservata in gran parte nell'edizione moderna) atta a facilitare la leggibilità e reperibilità dei dati: nome del debitore, formula verbale contenente due elementi (»ci de dare, che Ili prestai«), nome del garante, scadenza del debito, somma dovuta. Schemi di questo tipo interagiscono con le scelte sintattiche e testuali del documento: le une e le altre non possono essere analizzate tenendo conto soltanto degli esiti formali. Altri testi, presenti nella stessa raccolta, per es. i Capitoli della Compagnia della santa Croce e i cosiddetti Criminali si distinguono per altri caratteri: la ripresa di formule nel primo caso, la presenza di tratti della narrativa »media« nel secondo. Ecco una prospettiva di studio aperta in più direzioni, capace di integrare utilmente le analisi (fonologica, morfosintattica e lessicale) cui sono tradizionalmente sottoposti i testi antichi.

Torniamo al secondo filone di prosa. Come ho già accennato, ritroviamo qui opere di vario genere e intento, anche se prevalgono testi di carattere narrativo e storico (due generi che nei primi secoli si confondono spesso tra loro). Abbiamo dunque novelle brevi (talvolta brevissime), racconti di media estensione, romanzi ampi, memorie private con sviluppi narrativi, cronache, scritti agiografici ed edificanti. Si tratta di opere originali (per quel che possiamogiudicare, dato lo stato delle nostre conoscenze, e per quel che si deve intendere come originale secondo la mentalità e le concezioni di quei tempi) e di traduzioni e/o rielaborazioni di testi mediolatini o francesi. Cito qualche titolo a mo' di esempio: il Novellino (testo centrale di questo filone), il Milione,il Tristano riccardiano, le Storie de Troja e de Roma, la Cronica fìorentina,la

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na,laCronaca del Compagni e quella dell'Anonimo romano. Opere diverse tra loro per tradizioni e per spessore culturale, per intenti e per caratteri stilistici,eppure tra loro affini per la presenza di comuni strutture sintattiche e testuali e di comuni »predisposizioni« pragmatiche. Risalta in primo piano quella semplicità di svolgimento e di dettato che ha fatto parlare di volta in volta - impropriamente, come vedremo - di prosa elementare, primitiva, popolare,ingenua. Di tale prosa intendo appunto trattare in questa occasione, riprendendo le fila di un discorso che ho cominciato oltre vent'anni fa e che ho proseguito nel tempo con ricerche e analisi variamente orientate, ma costantinel privilegiare gli aspetti formali di tale produzione. A quest'ultima ho applicato un'etichetta neutra: l'ho chiamata prosa »media«. L'aggettivo non vuole alludere tanto ad una minore elaborazione stilistica, quanto piuttosto a una diversità di funzioni e di modelli, quindi a una diversità di svolgimento sintattico e testuale rispetto alla prosa d'arte . Per una prima esemplificazioneriproduco un breve passo della versione toscana del Milione:

Samarcan è una nobile cittade, e sonvi cristiani e saracini. E' sono al Grande Cane, e sono verso maestro. E dirovi una maraviglia ch'avenne in questa terra. E' fu vero, né no è grande tempo, che Gigata, fratello del Grande Cane, si fece cristiano, e era signore di questa contrada. Quando li cristiani della cittade videro che-110 signore era fatto cristiano, ebbero grande allegrezza: e allora fecero in quella cittade una grande chiesa a l'onore di San Giovanni Batista, e così si chiama. E' tolsero una molto bella pietra ch'era di saracini e poserla in quella chiesa e miseria sotto una colonna in mezzo la chiesa, che sostenea tutta la chiesa.

L'estrema linearità dello svolgimento sintattico e testuale e la ripetizione delle stesse parole a breve distanza sono i due caratteri salienti del passo; ai quali si accompagna una sintassi »irregolare« rispetto alla successiva norma dell'italiano letterario, codificata tra gli altri dal Bembo. Cambi di costruzione,strutture del periodo lasciate in sospeso, incertezza nei confini frasali sono fenomeni ricorrenti nella prosa media, tali da suscitare reazioni negativee incomprensioni da parte del lettore di oggi, abituato a una sintassi ordinatae logica (anche se negli ultimi anni una diffusa, e variamente motivata, voga dello stile parlato nei testi scritti ha modificato in parte tale atteggiamento).Tali »irregolarita«, che hanno sollecitato ancora in tempi a noi vicini l'intervento normalizzatore di molti editori, possono definirsi in larga misura romanze perché, come vedremo tra poco, si ritrovano anche nella prosa francesedel secolo XIII. Si devono certamente trovare nuovi motivi che spieghinola diversità di una sintassi del periodo e di un'organizzazione testuale che si fondano su regole diverse da quelle che governano la prosa d'arte, ad illustrarela »regolarità« della quale si applicano spesso i principi dell'analisi logicatradizionale. Studiando l'antica prosa media si deve evitare un confronto

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diretto con quel tipo di scrittura che attua una disposizione ordinata dei vari componenti in strutture periodali pianificate, come accade nella complessa tessitura della prosa d'arte di Dante e di Boccaccio. NelTanalizzare gli aspettiparticolari della prosa media dei primi secoli si può ricorrere utilmente alle moderne tecniche di analisi dei testi parlati6. In tale rinnovata prospettiva di studi apparirà opportuna una riflessione sui vari giudizi e sulle diverse interpretazioniche, nel corso dei secoli, hanno riguardato tale particolare settore della nostra antica prosa. Dal Salviati al Borghini, dal Cesari al Giordani, gli estimatori di quei testi sono concordi, sia pure con diverse modalità e motivazioni,nell'esaltare la »naturalezza« di una lingua e di uno stile che sono spesso contrapposti alla complessità e perfino all'artificiosità della prosa d'arte. Molti interpreti moderni (e in particolare gli studiosi di stilistica che si riferiscono all'estetica idealistica) hanno insistito sul carattere popolare e primitivo della prosa media, sulla sua espressività e affettività facendo intendereche tali fattori si possono certamente considerare ali' origine della diversitàdello stile. Per spiegare la quale si è ricorso anche a concetti empirici, come quelli di chiarezza e di economia. La ripresa di modi del parlato è stata per lo più postulata in modo impressionistico, piuttosto che illustrata e spiegatasulla scorta di riscontri puntuali. Così il giudizio dei moderni sull'antica prosa media appare spesso non motivato, fondato su preconcetti, non guidatoda una corretta ermeneutica.

Ciononostante un passo importante è stato compiuto negli ultimi decenni quando all'origine della brevitas della prosa media e delle formule della narrativa si è visto l'insegnamento della retorica. Coma ha osservato S. Battaglia, il Novellino non è un'opera ingenua e primitiva che dimostra ad ogni passo l'imperizia di chi scrive; né i racconti, talvolta molto brevi, possono essere considerati (come pure era stato detto) abbozzi o schemi di narrazioni, quasi un repertorio di trame, utile in varie occasioni. Secondo lo studioso l'opera è l'esito maturo di una tradizione di scrittura colta, la quale, avendo nel latino biblico il suo modello, tende alla breviloquenza e alla icasticità della rappresentazione. Si tratta insomma di una prosa nella quale confluisce la secolare esperienza àeìYexemplum mediolatino . Frattanto altri studiosi individuavano nella prosa francese della prima metà del XIII secolo quei tratti di uno stile formulare che hanno nella chanson de geste il loro punto di riferimento . Inoltre si faceva giustizia di vecchi pregiudizi: il preteso carattere popolare e primitivo della paratassi, la pretesa anteriorità cronologica di tale procedimento rispetto alla ipotassi .

Recentemente la moderna teoria dell'enunciazione ha fornito una convincentechiave interpretativa per spiegare i rapporti che intercorrono tra le parti discorsive e quelle narrative che si alternano nei romanzi medievali francesi in prosa e in versi. Data la struttura testuale di queste opere e il sistemadi resa grafica presente negli antichi testimoni (che ignorano la modernapunteggiatura

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napunteggiaturae la stessa delimitazione formale del discorso diretto), i procedimenti di segnalazione e di rappresentazione del parlato sono realizzatimediante particolari elementi sintattici e/o sequenze .Da questo ambitodi ricerche si possono trarre utili insegnamenti per lo studio della nostra antica prosa media, per quanto riguarda sia il collegamento tra narrazione e discorso sia la ripresa in quest'ultimo di moduli del parlato. Se i principi dellateoria dell'enunciazione rappresentano un valido quadro di riferimento nello studio linguistico e letterario, la loro applicazione ai testi antichi presupponeun adattamento alla qualità di tali testi, la cui fisionomia pragmatica e testuale in parte ci sfugge.

Negli ultimi anni si è visto con chiarezza che un'analisi formale, meramente descrittiva, non riesce a interpretare in modo adeguato le funzioni sintattiche e testuali presenti in un'opera antica. Occorrono nuovi metodi che regolino la ricerca sul campo. La messa a punto di un testo medievale nel suo contesto pragmatico deve procedere di pari passo con la descrizione - interpretazione dei diversi fenomeni linguistici. Si deve tentare di risalire alla situazione comunicativa in cui il testo è nato ed è stato accolto dal pubblico del suo tempo. Tale ricerca è resa più diffìcile dal fatto che un testo medievale è di norma soggetto a più esecuzioni (o rimaneggiamenti): dal confronto dei manoscritti di diversa cronologia e/o area geografica risultano infatti differenze riguardanti non soltanto la grafia e la fonetica, ma anche la punteggiatura (che prima dell'invenzione della stampa serviva soprattutto a segnalare pause, intonazioni, rapporti tra parti discorsive e narrative) e quindi la sintassi del periodo e la testualità. In breve gli aspetti linguistici del testo fanno spesso corpo con gli aspetti materiali del manoscritto.

Dobbiamo tener conto anche di un'altra difficoltà di base. Le norme linguistichepresenti nell'area italiana ci sono note in modo vario e difforme. Della stessa varietà toscana, che è senza dubbio la più ricca di testimonianze e la più studiata, possiamo dire di conoscere ancora in modo imperfetto la fisionomiasintattica. Più in generale bisogna riconoscere che, diversamente da quanto accade per la lingua di oggi, la nostra competenza del volgare dei primisecoli è sempre imperfetta. E' difficile misurare scarti e deviazioni rispettoa una norma che ci rimane in parte ignota, pur ammettendo che tale metododi analisi possieda una sua piena validità euristica . Inoltre nel Medioevo manca una vera e propria codificazione della sintassi. Le scuole del tempo si limitavano alla presentazione e all'illustrazione di passi di autori latini assunti come modelli. Si tenga presente il compito assegnato alle artes dictandi nella didattica della lingua scritta. L'esercizio della lettura e del commento dei testi,l'esecuzione e la correzione degli esercizi non erano accompagnati dalla formulazione precisa di definizioni grammaticali e di regole. Per esempio, la frase era definita in modo piuttosto generico come ordinano dictionum congrua sententiam perfectam demonstrans oppure come compositio dictionumconsumans

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numconsumanssententiam remque perfectam significans e ancora, secondo la definizione aristotelica, come unità sintattica, competens dictìonum conjuncft'o,e semantica, perfecta sensus demonstratio . L'analisi dei componenti dellafrase e delle configurazioni frasali non attirava l'attenzione dei grammatici.

Criticando il tradizionalismo di fondo che sembra contraddistinguere gli studi riguardanti la sintassi dell'antico francese, alcuni ricercatori hanno parlato a tale proposito di »une certaine inertie des notions et des modes d'analyse« . Tale difetto appare spesso anche nelle analisi moderne dei nostri antichi testi; il fenomeno ha un riscontro nella sopravvivenza di una vecchia terminologia che comprende tra l'altro l'anacoluto, il pleonasmo, il nominativus pendens: antiche denominazioni che appaiono poco adatte a interpretare la particolare fenomenologia che è propria della sintassi romanza. L'inadeguatezza dei metodi e della stessa terminologia risalta maggiormente nello studio della prosa media, percorsa da quelle »irregolarità« cui abbiamo fatto cenno e che mancano invece nella prosa d'arte.

La prosa media perde progressivamente terreno nel campo letterario, per il successo di modelli prestigiosi: la complessa architettura del periodo fondata dal Boccaccio, poi la prosa umanistica, infine la prosa cinquecentesca. In quest'ultima si sviluppa un processo di »razionalizzazione« grammaticale e sintattica che sembra procedere di pari passo con il diffondersi dei testi a stampa. G. Ghinassi ha parlato di »una nuova concezione prospettica del periodo portata dal Rinascimento«; di conseguenza diventa »più netta la distinzione tra paratassi e ipotassi« .In questa nuova fase talune strutture caratteristiche della prosa media entrano in crisi: sono giudicate imperfette rispetto al modello della prosa d'arte trecentesca canonizzato dal Bembo e rivisitato alla luce del classicismo del tempo. Le strutture »irregolari« della prosa media sopravvivono in scritture considerate di minor prestigio (per es. le lettere della Macinghi Strozzi, la Vita del Celimi) e talvolta nel parlato della commedia. Interpretando situazioni espressive diverse da quelle originarie, tali strutture modificano il proprio status: ora prevalgono le ragioni dell'»edonismo linguistico« che favoriscono la fortuna di uno stile »parlato« in taluni generi ein determinate situazioni .

Come è noto, le condizioni di produzione e di fruizione dei testi hanno caratteriparticolari nel Medioevo. Per lungo tempo la narrativa è recitata da un lettore a un pubblico di ascoltatori 6. Da questa recitazione fuori scena dipendono alcuni caratteri formali dei testi: le formule che avviano, dirigono e concludono la narrazione, la ripetizione delle stesse parole a breve distanza,le sottolineature discorsive. L'attività dell'io narrante sembra concretizzarsiin una particolare fenomenologia. Né mancano testi in cui una serie di segnali lascia intravedere la presenza di uno scriba che opera sotto dettatura: si pensi soprattutto al Milione. I caratteri che derivano da tali prassi di composizionetendono a fissarsi diventando in un secondo tempo meri segnali di

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un génère, pure convenzioni letterarie. La tendenza a conservare quelle formulee quegli schemi che sono divenuti segnali di riconoscimento, appelli al pubblico di ascoltatori, spiega corne alcuni tratti formali si mantengano anche quando dalla recitazione si passa alla lettura del testo. Si tratta di fenomenicomuni ad altre letterature romanze. A proposito de La conquête de Constantinople di Robert de Clari, si è parlato di un »discorso narrativo oralizzato«,distinto sia dal »discorso orale* (che puô essere oggetto di una trascrizionepiù o meno fedele) sia dal »discorso narrativo orale«, modalità enunciativache ha il suo modello nel romanzo francese in ottonari .Si creano dunque diversi quadri enunciativi, ciascuno dotato di proprie convenzioni. »Quant au récepteur médiéval de ces textes - ha scritto Paul Zumthor - on ne saurait douter qu'il ne concevait à notre manière ni l'achèvement, ni l'inachèvement.Son horizon d'attente comportait une connaissance préalable des règles et des virtualités signifiantes de l'ensemble: connaissance plus ou moins précise, mais de toute manière déterminante dans le procès de réception.Le texte, s'intégrant à cet ensemble, engendrait le plaisir d'une reconnaissance«.

Come vedremo tra poco, i recenti studi sull'italiano parlato ai nostri giorni possono rappresentare un'esperienza di metodi e di obiettivi di ricerca valida,sotto vari punti di vista, anche per l'analisi dell'antica prosa media. In ogni modo bisogna riconoscere chiaramente che la ricostruzione di una linguaparlata in epoche precedenti alla nostra è in larga misura meramente ipotetica. Un esempio famoso nel campo della romanistica è quello di LucienFoulet, autore di una pregevole e ancora utile Petite syntaxe de l'ancien français, pubblicata per la prima volta nel 1919. Lo studioso prese in esame una dozzina di testi del XIII secolo mettendoli a confronto con una fantomaticalingua parlata antica, che egli aveva ricostruito a tavolino. Dopo di lui altriricercatori hanno tentato di risalire ad un uso medio dell'antico francese letterario equilibrando negli spogli i diversi generi in prosa e in versi, ma privilegiandonell'insieme l'antico filone della prosa d'intrattenimento e di tono colloquiale .Maè molto difficile, per non dire impossibile, ricostruire una varietà linguistica che si avvicini all'antico parlato. Per quanto riguarda il toscanoantico, è dubbio che la raccolta di Ingiurie, improperì, contumelie, tratte dai libri comunali di Lucca e date alle stampe nel 1890 da Salvatore Bongi (ora riedite a cura di D. Marcheschi) costituisca una testimonianza diretta dell'antica lingua parlata .A ben vedere anche in questi casi abbiamo una situazione non troppo diversa da quella del latino volgare, definito da G. Folenacome »Paffiorare sporadico e discontinuo di elementi della lingua parlatanella documentazione scritta«. Certo è che dobbiamo tenere conto di due importanti diaframmi: la competenza dello scrivente (vale a dire l'insieme delle sue abitudini grafiche e scritturali, delle modalità di scelta e di parafrasi),il

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si),ilprocesso di stilizzazione che inevitabilmente si sviluppa nel passagggio
dal parlato allo scritto21.

Qualcuno potrebbe porsi la domanda se, studiando i caratteri formali dell'antica prosa toscana, sia lecito parlare di sintassi o piuttosto di stile. Quest'ultimo è un vocabolo di cui hanno abusato in passato gli studiosi di formazione idealistica e che conseguentemente è stato e continua ad essere guardato con una certa diffidenza dai linguisti puri. Si tratta tuttavia di una diffidenza ingiustificata se si pensa che negli ultimi decenni la stilistica ha visto un rinnovamento di concezioni e di metodi. Al concetto trascendente di »etimo spirituale« C. Segre ha proposto di sostituire il principio immanente di leggi di strutturazione del testo letterario. Al tempo stesso i ricercatori più avvertiti hanno colto quei nessi di continuità che legano la stilistica ai settori più avanzati della ricerca: la linguistica pragmatica, la linguistica del testo e la sociolinguistica . Una stilistica rivisitata con nuovi metodi e con analisi più rigorose e formalizzate può rendere ancora utili servizi alla ricerca. In ogni modo, limitata doverosamente la ricerca che si fonda sull'intuizione dello studioso, chiarito l'equivoco insito nel tentativo di ricostruire una norma unitaria del toscano antico, incombe il dovere di compiere spogli esaurienti, di allargare l'ambito di una grammatica di liste non limitata alla fonologia e ad alcuni aspetti della morfosintassi. Accanto ad analisi più articolate e particolari, si richiede la presentazione di nuove evidenze e di nuovi principi esplicativi.

Lo studio delle scriptae e l'analisi dell'aspetto materiale dei testi rappresentano percorsi di ricerca molto validi al fine di recuperare, sia pure parzialmente, i caratteri di una situazione comunicativa in gran parte perduta. Accanto alle originali ricerche condotte sul campo da C. Th. Gossen terremo presenti le formulazioni teoriche della scuola francese su altri aspetti della »materialità« del testo: secondo G. Genette il rapporto tra il testo e il paratesto (quest'ultimo è l'insieme delle titolazioni, note, spiegazioni, segnali che accompagnano il primo) costituisce un campo di relazioni »qui est sans doute un des lieux privilégiés de la dimension pragmatique de l'œuvre« . Lungo tale percorso la ricerca chiarirà i modi dell'esecuzione e della ricezione dell'opera, ponendo in una nuova luce le sue configurazioni sintattiche e testuali.

Sono ben noti i danni che una punteggiatura moderna può procurare a un testo antico di cui si vuoi dare un'edizione critica. Certo si tratta di un'operazionenecessaria che assicura la leggibilità dell'opera da parte del lettore di oggi. Tuttavia le conseguenze di tale operazione devono apparire ben chiare. Come è stato osservato di recente, »changer la ponctuation d'un texte c'est, d'une certaine façon, le modifier, intervenir dans sa forme linguistique: distinguerplusieurs phrases là où il n'y en avait qu'une, ou l'inverse, c'est implicitement,avoir

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citement,avoirune certaine «idée», une certaine théorie de la forme que
prenait la langue, des unités signifiantes qu'elle séparait* .

La punteggiatura originaria del manoscritto e quella dell'edizione moderna rappresentano due modi di strutturazione del testo non confrontabili tra loro. La prima, quando non ha l'unica funzione di evidenziare visivamente singole parole e sintagmi (corne accade talvolta nei testi documentari), rappresenta un'evoluzione délie distinctiones proprie dell'arte oratoria del latino classico e corrispondenti a vari tipi di pause. La seconda è sostanzialmente il prodotto di un'analisi logica e grammaticale, mirata a manifestare il rapporto sia délie proposizioni tra loro sia dei componenti di ciascuna proposizione . L'analisi comparativa délia punteggiatura médiévale in un testo conservato in più testimoni ci puô mostrare le unità di lettura usate nelle varie esecuzioni dell'opera segnalandoci al tempo stesso una série di fenomeni: le relazioni temporali e circostanziali, i procedimenti esplicativi e oppositivi relativi aile singole frasi e al testo, il rapporto tra il soggetto grammaticale e il tema, Pavvio del discorso diretto e il cambio delPinterlocutore. In tutti questi casi la punteggiatura del manoscritto predispone un insieme di facilitazioni che appaiono comprensibili nel quadro di un determinato tipo di lettura. In altri casi invece la punteggiatura sembra predisporre una segnaletica interna al testo: vale a dire manifesta tensioni e parallelismi, simmetrie e ripetizioni, interruzioni e riprese; evidenzia il ricorrere délie didascalie che accompagnano il discorso diretto. Le edizioni moderne alterano per lo più questo insieme di segnali inserendolo in una dimensione logicizzante. Le varianti di punteggiatura che distinguono tra loro i vari manoscritti rinviano spesso a diverse modalità di esecuzione del testo, che era per cosi dire soggetto a una continua ri-creazione .

La prosa media dei primi secoli presenta problemi editoriali particolarmentedelicati: infatti si corre il rischio di serrare nel rigido busto di una punteggiaturamoderna il flessibile svolgimento sintattico e testuale di un'opera medievale. Va precisato che il confine tra i periodi (soprattutto quelli avviati dalla congiunzione e) si può definire soltanto in rapporto ad un esame della configurazione complessiva del testo, come ha mostrato Jean Rychner nella sua analisi delle articolazioni narrative del romanzo La mort le roiArtu. Studiandoun insieme analogo di fenomeni presenti nella Cronica di Anonimo romano, ho avuto presente i risultati cui è pervenuto l'insigne romanista . Ad interpretare vari fenomeni presenti nella prosa media potrebbe aiutarci il riscontro con la punteggiatura originaria, la quale pertanto andrebbe descrittanell'apparato critico di una moderna edizione. Tale esigenza rientra nel quadro di una filologia che esalta il metodo del testimone unico, secondo la prassi promossa da Jean Bédier e da Mario Roques e apprezzata da alcuni nostri italianisti .Siè riconosciuto da tempo che »la tecnica editoriale dei

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documenti di lingua restera necessariamente diversa da quella dei testi letterari«.

Negli ultimi tempi l'italiano parlato di oggi è stato oggetto di analisi condotte con nuovi metodi . Di tali esperienze, tuttora in corso, possiamo giovarci anche nello studio della sintassi e della testualità dell'antica prosa media, fatta salva la specificità di ciascun tipo di scrittura. Il »parlato-parlato« - per riprendere la perspicua formula di G. Nencioni - si sviluppa sovente mediante »configurazioni testuali dissaldate*. Mentre la segmentazione e la coordinazione prevalgono, alcuni elementi del testo sono, per così dire, delegati a svolgere particolari relazioni con il contesto esterno. Ad una progettazione di corto respiro corrispondono delle »isole linguistiche, ognuna delle quali ha una sua autonomia semantica*; la ripetizione delle stesse parole a breve distanza è la modalità di collegamento interfrasale che appare più frequentemente . Questi stessi caratteri, sia pure con diverse modalità di esecuzione, ricorrono nell'antica prosa media. Fenomeni come l'incerto confine delle frasi e il mutamento di costruzione all'interno della stessa frase si possono studiare più adeguatamente nella prospettiva moderna della segmentazione linguistica e del prevalere della semantica sulla strutturazione sintattica. Accertata una sostanziale identità dei fenomeni di base, si terranno presenti le varianti di superficie che distinguono i testi moderni da quelli antichi; in questi ultimi inoltre determinate configurazioni sintattiche svolgono particolari funzioni pragmatiche e stilistiche. Alcuni studiosi insistono nel rilevare una certa continuità di sviluppo o persistenza di costrutti (per es. l'uso del che polivalente, alcuni tipi di topicalizzazione) tra l'antica prosa media e il parlato di oggi. E' da ripetere ancora una volta che non basta rilevare una lista di presenze per giungere a conclusioni probanti, occorre procedere oltre accertando la funzionalità dei singoli fenomeni e il loro rapporto con la situazione comunicativa.

In alcuni testi di prosa média dei primi secoli si è voluto vedere una sorta di trascrizione del parlato; sarà tuttavia miglior partito ammettere una »messa in scena« del parlato, vale a dire una mimesi che si accompagna a una stilizzazione e che si attua secondo determinate convenzioni. Neppure in testi di carattere pratico è forse lecito ammettere la presenza di una »sintassi di respiro« .

I fenomeni cui abbiamo fatto cenno vanno osservati anche in una dimensionecomparativa romanza. La ripetizione delle stesse parole a breve distanzaappare non soltanto nell'antica prosa media toscana, ma anche in testi medievalifrancesi in prosa e in versi, più elaborati stilisticamente. B. Cerquiglini si è soffermato sulla ripetizione delle didascalie e sull'inciso pleonastico: strutture formali che, nel romanzo francese in versi, servono a delimitare il discorso diretto ead orientare il quadro enunciativo .La cosiddetta tecnica del »doppio segnale* appare diversamente sfruttata nei vari generi letterari.

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Nella lassa epica la ripresa anaforica presenta particolari modalità di esecuzionee la scansione dei periodi ha un carattere prevalentemente ritmico. Nella prosa media è il collegamento interfrasale la causa principale della ripetizionedelle stesse parole a breve distanza. Di tale fenomeno sono stati studiati dapprima gli aspetti lessicali e stilistici: l'analisi dei binomi, dell'iterazionesinonimica e delle formule narrative è stata condotta in una serie di studi di carattere soprattutto sintattico e stilistico . L'uso di binomi ela ripetizionedi parole e sintagmi sono stati considerati non soltanto alla stregua di strumenti retorici, ma come mezzi per rimediare a una pretesa povertà lessicaledegli autori e per aumentare la perspicuità e l'espressività del testo . Vorrei sottolineare come la ripetizione è un fenomeno complesso che svolge diverse funzioni a seconda del contesto e della situazione cui è posto in atto. Nell'episodio della damigella di Scalot (v. Novellino, n. 83) la ripetizione dellostesso aggettivo in espressioni contigue e di carattere formulare riprende condensandolo un tratto presente nella fonte francese:

E comandò che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fusse aredata una ricca navicella coperta d'un vermiglio sciamito, con un ricco letto ivi entro, con ricche e nobili coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose; e fosse il suo corpo messo in questo letto, vestita di suoi piue nobili vestimenti e con bella corona in capo, ricca di molto oro e di molte pietre preziose, e con ricca cintura e borsa.

La ripetuta presenza dell'aggettivo ricco, usato da solo o in coppia con un altro aggettivo, non è sintomo d'imperizia compositiva, ma è piuttosto l'effetto di una stilizzazione. Si tratta di un carattere che appare nella narrativa francese, quando si vuole rappresentare il decoro di ambienti e suppellettili. Per una prima conferma leggiamo il seguente passo di Robert de Clari, che dimostra l'esistenza di una modalità descrittiva divenuta tradizionale:

En chel palais de Blakerne trouva on molt grant trésor et molt rike, que on i trova les rikes corones qui avoient esté as empereeurs qui par devant i furent, et les riques joiaus d'or, et les rikes dras de soie a or, et les rikes robes emperiaus et les riques pierres précieuses, et tant d'autres riqueches que on ne saroit mie nombrer.^ '

Con queste riprese di vocaboli il testo mirava ad essere »riconosciuto« immediatamente come appartenente ad un determinato genere. In altri casi invece la ripetizione svolge quella funzione di collegamento sintattico che appare necessaria in una prosa assolutamente paratattica. Citerò un passo particolarmente significativo de Le miracole de Roma, un testo mediano della seconda metà del XIII secolo che presenta caratteri del tutto simili a quelli della coeva prosa media toscana. La narrazione procede mediante blocchi frastici debolmente collegati tra loro:

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Et pro tutte le provincie de lo munno si era in Capitolio una statoa co la campana ad collo, et incontenente ke la canpana sonava, li Romani connosceano quale provincia era rebella. De la quale canpana, lo sacerdote ke guardava la soa stimana lo tempio, odio sonare la canpana. Disselo ad li senatori. Et li senatori lo dissero ad Agrippas prefecto.-***

La ripresa De la canpana al centro del passo può apparire inutile e maldestra al lettore di oggi, che penserà ad un errore del copista. Tuttavia, considerando attentamente la struttura del brano, la posizione del sintagma in questione e il carattere che la ripetizione assume nell'opera, si giunge alla conclusione che quella ripresa è in realtà un segnale del tema compreso nella frase seguente. Se è vera tale interpretazione il tema sarebbe dislocato a sinistra, secondo uno schema che ricorre, sia pure con diverse modalità, anche nella lingua parlata di oggi. Scrive infatti G. Berruto: »è ammissibile nel parlato mettere in rilievo il centro d'interesse nel proferire una data frase enunciandolo isolatamente in posizione iniziale o finale (eventualmente senza legami relazionali e funzionali con la configurazione sintattica della frase stessa) « .Il compito dello studioso di testi antichi consisterà nell'osservare il ricorrere del fenomeno nelle varie configurazioni notandone le modalità di esecuzione e la sua funzionalità.

In un altro tipo di ripetizione a breve distanza si nota il ricorrere simultaneo
di due elementi: la presenza dell'ipotassi e la successione temporale. Eccone
un esempio tratto dal Tristano riccardiano:

E a tanto cavalcarono in cotale maniera che pervennerono a lo palagio de lo ree; e quando furono a lo palagio, ed eglino sì ismontarono da cavallo e andarono suso ne la sala de lo palagio. E quando furono ne la sala, ed eglino sì trovarono le tavole apparecchiate per mangiare. E quando le tavole furono messe, e lo ree vedendo Ghedin e Tristano fune molto allegro.4^

Questo procedere a spirale del periodo, in cui si ravvisa quasi una sorta di compromesso tra collegamento sintattico e coreferenza lessicale (in effetti si ha qui un aspetto della progressiva espansione dell'ipotassi a spese della paratassi), appare con alta frequenza sia nei romanzi francesi in prosa che nelle traduzioni e rifacimenti italiani. Tale struttura del periodo serve a segnalare uno stile narrativo di più ampio respiro e ispirato a modelli francesi; diverso quindi dalla novella breve, che trae origine àdWexemplum mediolatino. Il lettore di oggi è portato a sopravvalutare l'intento stilistico insito in questo tipo di ripetizione, che è invece da interpretare come segnale di un modello e di un genere. Trasferendosi in altre scritture, Piconismo proprio di tale ripetizione tende a scadere: nella Lettera senese del 1260, pubblicata da E. Monaci, la struttura in questione è usata come uno schema di successione temporale, come un mero strumento della sintassi del periodo .

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Talvolta nel discorso diretto la ripetizione delle stesse parole a breve distanza
ha una funzione retorica e ornamentale. Si legga un passo dell'orazione
di Agamennone nei Conti di antichi cavalieri:

Voi sapete, signori, che quello ch'ora ha facto Paris no è facto per noi ed a noi propriamente, ma è facto e pertene ed a voi ed a ciascuno de Grecia comunamente, che ciò che quelli de Troia han facto noi l'hanno facto per quello che li antecessori nostri ai loro fecero, unde è '1 grande onore ch'essi a loro e a Gretia acquistaro. Non se perda ora in voi el facto. E noi semo vostri sovr' a ciò. Ciascuno a l'onore de la corona sua e del valore suo srande guarde.

La ripetizione assume un valore prevalentemente stilistico perché si trova inserita in un particolare contesto retorico, fondato sui parallelismi, sulla studiata giacitura delle parole e sull'allitterazione. Si noti anche l'artificio consistente nell'usare facto come participio passato e come sostantivo. Con tali mezzi la prosa media elabora un proprio apparato retorico, in parte distinto da quello presente nella prosa d'arte.

Diverso valore possiede la ripetizione del verbo parere nel noto episodio del sogno della Vita nuova (IH, 3). Tale particolare è stato opportunamente riferito dai critici a un carattere della prosa rimata mediolatina; si ha insomma un sapiente riuso del modello, che Dante adatta alla situazione:

me parea vedere ne la mia camera una nébula di colore di fuoco, dentro a la
quale io discernea una fegura d'uno segnore di pauroso aspetto a chi la guardasse;
e pareami con tanta letizia, quanto a sé, che mirabile cosa era; .... Ne
le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta
mi parea in uno drappo sanguigno leggermente .... E ne l'una de le mani mi
parea che questi tenesse una cosa la quale ardesse tutta, e pareami che mi dicesse
queste parole: »Vide cor tuum«.

La distanza che separa la prosa d'arte da quella media (in determinate situazioniespressive non mancano tuttavia influssi reciproci) appare tra l'altro nell'ordine delle parole e nei modi di collegare i periodi tra loro. La prosa d'arte, che predilige l'ordine »indiretto« delle parole e dei membri del periodo,sfrutta ampiamente i nessi relativi e il pronome dimostrativo come elementidi collegamento. Non si trascuri poi l'effetto conseguente alla citazione di frasi latine, come accade per es. nel passo ora citato della Vita nuova. Questa opera rappresenta una tappa di fondamentale importanza in quella ricerca di una nuova forma di prosa che condurrà alla complessa tessitura sintattica e testuale del Convivio e del Decameron. Per meglio individuare i vari aspetti che la ripetizione assume nei diversi filoni della prosa antica, sarebbeopportuno comporre una più precisa descrizione, sia formale che situazionale,del fenomeno: bisognerebbe notare, per es.: se la parola e/o il sintagmaripetuti

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tagmaripetutisono isolati o accompagnati da elementi di collegamento (i participi del tipo detto e soprascritto, il relativo, il dimostrativo, le formule narrative); se la ripetizione avviene in contiguità o a distanza (in questo secondocaso si noterà la qualità e la funzione dell'inserto); se l'ordine delle parole risulta condizionato dalla ripetizione; quali eventuali sostituzioni sono poste in atto mediante sinonimi o nomi generali.

Vorrei ora soffermarmi brevemente su un tipo di discorso indiretto presente nella prosa d'arte, nel quale si avverte l'imitazione colta di un tratto del parlato. Si tratta ancora una volta del fenomeno della ripetizione che riguarda però non parole e sintagmi, ma congiunzioni subordinanti. Leggiamo un passo della novella di Frate Alberto (Dee. IV, 2, 24-25):

Madonna baderla allora DISSE CHE

MOLTO LE PIACEVA se I'agnolo Gabriello l'amava,
per ciô che ella amava ben lui,
né era mai che una candela d'un mattapan non gli
accendesse davanti dove dipinto il vedea;
E CHE, qualora egli volesse a lei venire,
EGLI FOSSE IL BEN VENUTO,
ché egli la troverebbe tutta sola nella sua caméra:
ma con questo patto, che egli non dovesse
lasciar lei per la Vergine Maria,
ché l'era detto che egli le voleva molto bene,
e anche si pareva,
ché in ogni luogo che ella il vedeva le stava
ginocchione innanzi;

E OLTRE A QUESTO,
CHE A LUI STESSE di venire in quai forma volesse,
pure che ella non avesse paura.

Ho cercato con un'evidenziazione particolare di far risaltare la successione centrale delle tre proposizioni esplicative introdotte dalla congiunzione che; a tale sequenza si collega l'insieme compatto delle altre congiunzioni (si ha tre volte che subordinante, una volta per ciò che e. pure che). Ne risulta complessivamente una sorta di ritmo interno che imita l'andamento ripetitivo del parlato. Mi sembra opportuno sottolineare come tale struttura appaia nel discorso indiretto, ma non nelle parti narrative ed espositive.

Talune prospettive di analisi affermatesi nella linguistica moderna possono essere applicate allo studio della sintassi dell'italiano antico; in tal modo appariranno in una nuova luce fenomeni già studiati da tempo, parallelamente l'attenzione dei ricercatori si soffermerà su nuove evidenze. Consideriamo a tale proposito la paraipotassi e la questione del tema e del rema.

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Per quanto riguarda il primo di questi due fenomeni, si può dire che il suo costante ricorrere nella prosa media e la presenza di chiari indici formali sono i due fattori che hanno sollecitato da tempo analisi attente. In alcune delle » Annotazioni linguistiche« premesse alla sua edizione dei Testi fiorentini, A. Schiaffini analizzò la ripresa con et e con sic secondo una tipologia formale e semantica che conserva ancora intatto il suo valore. L. Sorrento esaminò le varie teorie avanzate sul fenomeno distinguendo tra »spiegazioni logicogrammaticali« e »ragioni psicologiche e d'arte« .In questa fase degli studi prevaleva la spiegazione storica: i precedenti latini e greci della paraipotassi erano considerati come la causa determinante del ripetersi del fenomeno nei testi medievali. Al tempo stesso si confrontavano tra loro esempi romanzi. Nel complesso sulla spiegazione logica (che considera il sovrapporsi di due costruzioni) prevaleva quella psicologica, che sottolineava il carattere »affettivo« della paraipotassi, considerata come tipica manifestazione della lingua popolare.

Di recente alcuni ricercatori francesi hanno posto in luce una dimensione pragmatica della paraipotassi, costruzione che s'interpreterebbe più adeguatamente in una cornice testuale e situazionale: infatti l'apparire di et e di sic all'interno della linea ipotattica sarebbe »un phénomène relevant du début de la proposition* . Tale prospettiva della »segnalazione sintattica* è sembrata adatta a spiegare anche altri aspetti »irregolari« della sintassi del periodo e della testualità del francese antico . Mi riferisco sia allo studio dei rapporti tra discorso diretto e didascalie nei romanzi in versi e in prosa, sia ad alcune strutture che faute de mieux sono ancora considerate »miste« (il passaggio dal discorso indiretto a quello diretto senza l'intervento di un indicatore formale e il costrutto nel quale il soggetto della subordinata diventa l'oggetto del verbo reggente). A ben vedere si tratta di fenomeni che, per il fatto di essere ben rappresentati nella nostra antica prosa media, meriterebbero maggiore attenzione da parte dei nostri studiosi .

Per quanto riguarda lo studio del tema e del rema nei nostri antichi testi, ricorderò che recenti analisi, riguardanti per lo più l'italiano moderno, hanno descritto le regole che governano il fenomeno della dislocazione a sinistra. Gli esempi antichi differiscono da quelli moderni per l'assenza della ripresa pronominale e per la presenza del segnale sì : »Questo corno sì vi manda PAmoratto«; a questa frase tratta dal Tastano riccardiano la lingua di oggi risponderebbe con: »Questo corno ve lo manda l'Amoratto« .

Riassumo brevemente i risultati a cui sono pervenuto. Affrontando lo studiodell'antica prosa media è necessario liberare il campo da quelle interpretazionifuorvianti che derivano da abitudini di lettura e da interpretazioni impressionistiche.Va certo ridimensionata la diffusa tendenza ad attribuire ad una non ben definita componente parlata tutti quei fenomeni morfosintattici che non rientrano nell'ambito di una grammatica »regolare«. In effetti dietro

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l'etichetta generica della componente parlata si nascondono problemi d'interpretazioneche sono ancora in gran parte da risolvere. La stilizzazione del parlato appare sia nei testi antichi che in quelli moderni (particolarmente nella narrativa contemporanea); ma la fenomenologia è diversa nei due casi: allora la lettura ad alta voce creava un apparato formale che si è in gran parte conservato anche quando si è passati alla pratica della lettura individuale; ai giorni nostri invece prevalgono quei formalismi legati sia al carattere riflesso di tale imitazione sia a poetiche moderne. Neppure per le antiche scritture di carattere pratico si può proporre un confronto diretto con i testi scritti prodottidai semicolti di oggi. Le situazioni storiche non sono tra loro paragonabili:i caratteri dell'alfabetizzazione come la valutazione della norma sono molto diversi nelle due epoche. Sulla base di esiti formali analoghi o perfino identici, non appare corretto porre sullo stesso piano tipi di scrittura funzionalmentee situazionalmente diversi.

Concludendo osserverò che l'analisi dei testi antichi alla luce di alcuni moderni indirizzi di ricerca, rappresenta un obiettivo importante e fecondo di sviluppi. E' motivo di conforto il constatare il successo ottenuto dalla linguistica moderna in alcuni settori della medievistica: si pensi per es. a quelle »esperienze sociolinguistiche contemporanee« che sono state applicate all'osservazione di »situazioni romanze medievali« . Anche nel campo della sintassi del periodo e della testualità, la ricerca sugli antichi testi in prosa è destinata a progredire per l'affermarsi di nuovi metodi e di nuovi obiettivi di studio.

Maurizio Dardano

Università »La Sapienza* Roma



Note

* Ho aggiunto alcune integrazioni e le note al testo di una conferenza tenuta a Roma, presso l'Accademia dell'Arcadia, il 19 maggio 1987. Questo intervento è una premessa alla ricerca «Strutture formali della prosa italiana antica« (in parte finanziata con un contributo del M. P. I: ricerche 40%, coordinatore M. Dardano), i cui risultati saranno pubblicati prossimamente.

1. Si veda a tale proposito la recente raccolta: A Castellani: La prosa italiana delle origini. I. Testi di carattere pratico. Trascrizioni, Bologna, Patron, 1982.

2. A Schiaffini: Tradizione e poesia nella prosa d'arte italiana dalla latinità medievale a G. Boccaccio, Roma, Storia e Letteratura, 1943; C. Segre; Lingua, stile e società. Studi sulla storia della prosa italiana, Milano, Feltrinelli, 1963.

3. Testi pratesi della fine del Dugento e dei primi del Trecento, a e. di L. Serianni, Firenze, presso l'Accademia della Crusca, 1977.

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4. Ho usato per la prima volta la denominazione di »prosa media« nel mio saggio Lingua e tecnica narrativa nel Duecento, Roma, Bulzoni, 1969, partie, p. 10; poi, con qualche precisazione in più, nell'articolo // Trecento, compreso nel voi, di AA. W, Una lingua per tutti: l'italiano. I: Lingua e storia, a e. di R. Simone, Roma, ERI, 1980, pp. 123-63; alle pp. 126-29.

5. Marco Polo: Milione. Versione toscana del Trecento, ed. critica a e. di V. Bertolucci Pizzorusso, Milano, Adelphi, 1975, p. 69.

6. Nel presente articolo segnalerò alcune linee di ricerca svolte soprattutto in Francia nell'ambito del francese antico.

7. Dall'esempio alla novella, nel suo voi. La coscienza letteraria nel Medioevo, Napoli, Liguori, 1965, pp. 487-547.

8. P. F. Dembowskj; La chronique de Robert de Clan. Etude de la langue et du style, University of Toronto Press, 1963, pp. 91-98. Ho presente il testo: Robert de Clari: La Conquête de Constantinople, éd. Ph. Lauer, Paris, 1924 (CFMA).

9. W.-D. Stempel: Untersuchungen zur Satzverknüpfung im Altfranzôsischen, Braunschweig, G. Westermann, 1964, pp. 88-96.

10. Cfr. B. Cerquiglini: La Parole médiévale, Paris, Minuit, 1981, In questo saggio è studiata la fenomenologia enunciativa e testuale che accompagna l'uso dell'avverbio mar nell'antico francese. Riguardano per lo più aspetti dell'enunciazione e altri temi prossimi gli articoli contenuti in Langue française, 40 (dicembre 1978) e raccolti sotto il titolo Grammaires du texte médiéval. Dedicato allo studio dei fattori pragmatici presenti negli antichi testi è lo studio di B. Wehr: Diskurs-Strategien im Romanischen, Ttibingen, Narr, 1984.

11. Quanto è stato detto sulla mancanza di una norma unitaria nell'antico francese e sulla divisione di tale area linguistica in più varietà, anche per quanto riguarda la morfosintassi (v. almeno R. L. Wagner: L'ancien français, Paris, Larousse, 1974, partie, pp. 25-73), vale anche mutatis mutandis per i volgari italiani antichi. Questi ultimi, nonostante le loro diversità morfosintattiche, sono stati spesso posti sullo stesso piano in descrizioni di tipo tradizionale: cfr., per es., H.-P. Ehrliholzer: Der sprachliche Ausdruck der Kausalitdt im Altitalienischen, Winterthur, Keller, 1965. Il confronto tra varietà diatopiche dell'area linguistica italiana assume un carattere non diverso da quello della comparazione tra lingue romanze: v. J. Herman: La formation du système roman des conjonctions de subordination, Berlin, Akademie Verlag, 1963; mirata invece ad un fine ricostruttivo è YEsquisse structurale des subordonnants conjonctionnels en roman commun di R. De Dardel (Genève, Droz, 1983).

12. Cfr. B. Cerquiglini: »La Parole étrange«, in Grammaires du texte médiéval cit., pp. 83-89; alla p. 93: da qui traggo la prima e la terza citazione; la seconda citazione (del grammatico Diomede) ricorre in F. Charpin: »La notion de partie du discours chez les grammairiens latins«, Histoire Epistemologie Langage, 8, 1, 1986, pp. 125-40; p. 135. Sulla questione, discussa da Aristotele, della priorità della frase rispetto ai suoi elementi, v. W. Belardi: Filosofìa, grammatica e retorica nel pensiero antico, Roma, Ateneo, 1985, pp. 101-105.

13. Cfr. la »Presentazione« della raccolta di saggi curata da A.-M. Dessaux-Berthonneau, Théories linguistiques et traditions grammaticales, Presses Universitaires de Lille, 1980, p. 9.

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14. »Casi di 'paraipotassi relativa' in italiano antico*, Studi di grammatica italiana, 1, 1971, pp. 4560; alla p. 59.

15. Cfr. C. Segre: «Edonismo linguistico nel Cinquecento*, poi nel suo voi. Lingua, stile e società cit., pp. 355-82.

16. »Œr est un verbe qui à cette époque, traduit la commune manière d'accéder à la connaissance* ha scritto R. L. \fàgner: L'ancien français cit., p. 9.

17. W. N. Main »Elemente 'gesprochener Sprache' bei Robert de Clark, Zeitschrift fur franzôsische Literaturund Sprache, 92,1982, pp. 193-219; alla p. 197: »Der oralisiert-narrative Diskurs unterscheidet sich nicht nur vom oralen Diskurs, der im wesentlichen spontan und dialogisch ablâuft, und dessen 'formellem' oralisierten Àquivalent, sondern auch vom oral-narrativen Diskurs, der zwar monologisch strukturiert ist, aber unvorbereitet in das dialogische Sprechen eingeschoben wird«.

18. »Le texte-fragment«, in Grammaires du texte médiéval cit., pp. 75-82; alla p. 81.

19. Sulla Syntaxe del Foulet v. R.L Wagner: L'ancien français cit., p. 10-11; B. Cerquiglini: »La parole étrange« cit., p. 85. Cfr. anche J. Batany: »Ancien français: méthodes nouvelles «, Langue française, 10 (maggio 1971), pp. 31-56.

20. Lucca, Pacini Fazzi, 1983.

21. G. Folena: »Metodi e problemi della filologia romanza*, Lettere italiane, 1960, pp. 175-310; alla p. 306. Sulla competenza dello scrivente: G. Marcato, «Italiano parlato, comunicazione di base e oralità*, in G. Holtus e E. Radtke (a e. di), Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tìibingen, Narr, 1985, pp. 24-41. Uno dei problemi fondamentali dibattuti dagli studiosi di oggi potrebbe essere riassunto nella seguente domanda: esistono degli universali del linguaggio parlato o piuttosto è dato ritrovare delle linee di continuità nello sviluppo delle lingue romanze? Si veda quanto ha scritto a tale proposito M. Durante: Dal latino all'italiano moderno, Bologna, Zanichelli, 1981, p. 110: »La struttura del periodo nel toscano antico si conforma alla legge fondamentale che ho già formulato per il latino volgare: i costituenti del periodo si articolano secondo un criterio di specificazione progressiva, nel senso che la prima proposizione costituisce sempre la base semantica e in grande prevalenza quella sintattica, la seconda enuncia uno sviluppo e così via, e la progressione si situa in senso lineare, cioè non sono ammessi spezzamenti dei costituenti e rapporti a distanza. Questi principi rimangono operanti nell'italiano colloquiale moderno, senonché il toscano antico esplicita i fattori di progressività e di continuità mediante procedimenti che saranno abbandonati, perlomeno nelle scritture, tra il Quattrocento e il Cinquecento*.

22. C. Segre: »Stile«, Enciclopedia, voi. 13, Torino, Einaudi, 1981, pp. 549-65; alla p. 563. Cfr. anche: R. Sornicola: «Stilistica*, Lexicon der romanistischen Linguistik a e. di G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmidt, Tìibingen, Niemeyer, 1988, voi. IV, pp. 144-57.

23. Cfr.: C. Th. Gossen: Franzôsische Scriptastudien. Untersuchungen zu den Nordfranzòsischen Urkundensprachen des Mittelalters (»ôsterreichische Akademie der Wissenschaften. Philologisch-historische Klasse. Sitzungsberichte*. 253 Band), Wien. 1967; G. Genette: Palimpsestes. La littérature au second degré, Paris, Seuil, 1982, p. 9.

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24. «Ponctuation et 'unités de lecture' dans les manuscrits médiévaux, ou: je ponctue, tu lis, il théorise«, in Grammaires du texte médiéval cit., pp. 32-44; alla p. 33. Cfr. M. Durante, Dal latino all'italiano moderno cit., p. 111: «La punteggiatura medievale non era finalizzata ad esplicitare le articolazioni della trama sintattica. La prassi medievale è assai più parca nell'uso e nel numero dei segni, che variano da scriba a scriba, e s'informa prevalentemente a criteri estetico-retorici più che sintattici.... In un'organizzazione sintattica che si è costituita nel registro orale, le pause di maggiore portata ... si dispongono secondo un criterio ritmico, nel senso che è il ritmo fonico che scandisce le articolazioni sintattiche a misura di respiro umano«. Parla di «sintassi di respiro* anche N. Di Btasi: »Fonti scritte quattrocentesche di lingua parlata: problemi di metodo (con una lettera inedita)«, in Holtus e Radtke, Gesprochenes Italienisch cit., pp. 340-53; alla p. 350. Sulla punteggiatura che delimita »le parole o i gruppi grafici«, v. A. Castellani: Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, 3 tomi, Roma, Salerno ed., 1980; 11, p. 464. Nella punteggiatura medievale convivono due esigenze: una utilitaristica (aiutare il lettore, evidenziare le parole ecc.), l'altra mirata alla funzione estetica e rappresentativa (curare la 'messa in scena' del testo). La seconda esigenza prevale in determinate occasioni: per es. la rappresentazione del discorso diretto, che viene così delimitato rispetto alle parti narrative. Cfr. anche la nota 10.

25. C. Buridant: »Le strument et et ses rapports avec la ponctuation dans quelques textes médiévaux«, in Dessaux-Berthonneau, Théories linguistiques cit, pp. 13-54.

26. Buridant: »Le strument et et ses rapports* cit.

27. J, Rychner: L'articulation des phrases narratives dans la Mort Artu, Neuchâtel- Genève, Droz, 1970; M. Dardano: »L'articolazione e il confine della frase nella Cronica di Anonimo romano«, in F. Albano Leoni et Al. (a e. di), Italia linguistica: idee, storia, strutture, Bologna, II Mulino, 1983, pp. 203-22.

28. Wagner: L'ancien français cit. p. 68.

29. G. Folena: «Filologia testuale e storia lingüistica*, in Studi e problemi di critica testuale. Convegno di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i testi di lingua, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1961, pp. 17-34; alla p. 32.

30. Oltre a Holtus e Radtke: Gesprochenes Italienisch cit., si tengano presenti almeno due raccolte di saggi: Atti del seminario sull'italiano parlato (Accademia della Crusca, 18-20 /10 /1976), Firenze, presso l'Accademia, 1977; Accademia della Crusca, Gli italiani parlati (Firenze 29-3 / 31-5-1985), Firenze, presso l'Accademia, 1987.

31. G. Nencioni: »Parlato-parlato, parlato-scritto, parlato-recitato*, ora nel suo voi. Di scrittto e di parlato. Discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, 1983, pp. 12679. Di «configurazioni testuali dissaldate* e di «isole linguistiche* ha parlato R. Sornicola, «Eitaliano parlato: un'altra grammatica?*, in Accademia della Crusca, La lingua italiana in movimento (Firenze, 26-2 / 4-6-1982), Firenze, presso l'Accademia, 1982, pp. 77-96; alle pp. 79-80: cfr. Eadem, Sul parlato, Bologna, II Mulino, 1981.

32. Cfr. la nota 24.

33. Cfr. l'art, cit. alla nota 12.

34. Ricordo soltanto due saggi riguardanti la prosa del francese antico: P. M. Schon: Studien zum Stil der frühen franzò'sischen Prosa, Frankfurt a. Main, Klostermann, 1960, pp. 56-57; Dembowski: La Chronique de Robert de Clan cit., pp. 90-91: i due studiosi analizzano il passo di Robert de Clari che citerò tra poco. Sulla ripetizione nella nostra antica prosa: Dardano, Lingua e stile cit., pp. 118-19,125-27.

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Riassunto

Le ricerche sulla sintassi del periodo e sui caratteri testuali della prosa »media« toscanadei
secoli XIII e XIV sono destinate a progredire per l'affermarsi di nuovi metodi



34. Ricordo soltanto due saggi riguardanti la prosa del francese antico: P. M. Schon: Studien zum Stil der frühen franzò'sischen Prosa, Frankfurt a. Main, Klostermann, 1960, pp. 56-57; Dembowski: La Chronique de Robert de Clan cit., pp. 90-91: i due studiosi analizzano il passo di Robert de Clari che citerò tra poco. Sulla ripetizione nella nostra antica prosa: Dardano, Lingua e stile cit., pp. 118-19,125-27.

35. Dembowski: La Chronique de Robert de Clari cit., pp. 94-95.

36. Cito dalPed. C. Segre, in C. S. e M. Marti (a cura di): La prosa del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 868-69. Cfr. La mort le roiArtu, éd. par J. Frappier, Genève-Paris, Droz-Minard, 1964, pp. 88-89. Sulla novella italiana in questione v. partie: C. Segre: Decostruzione e ricostruzione di un racconto (dalla Mort le roi Artu al Novellino), nel suo voi. Le strutture e il tempo, Torino, Einaudi, 1974, pp. 79-86.

37. Ed. Ph. Lauer, cit. alla nota 8: LXXXIII, 38-44.

38. Le Miracole de Roma, ed. da E. Monaci, Roma, R. Società romana di storia patria, 1915, p. 26: »De Santa Maria Rotunda«.

39. »Per una caratterizzazione del parlato: l'italiano parlato ha un'altra grammatica?*, in Holtus e Radtke: Gesprochenes Italienish cit., pp. 120-53; alla p. 141.

40. Ed. M. Marti, in C. Segre e M. M.: La prosa del Duecento cit., p. 269.

41. E. Monaci e E Arese: Crestomazia italiana dei primi secoli, Roma-Napoli..., 1955, pp. 199- 203: v. riga 105 »Per ciò sì i pagarai a Rinbotto Buonaiuti per lui, a sua volontà; e quando i farai el pagamento, sì ne fa fare la scripta«; r. 110: »Per ciò sì i paga a Grigorio Rigoli...; e quando i pagi, sì ne fa fare la scripta«; r. 130: »e bastaro a fare le saramenta parechie dì. E quando ebero facte le saramenta, e noi ce ne partimo«.

42. Ed. A. Del Monte, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1972, pp. 61-62.

43. Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, con Introduzione, annotazioni linguistiche e glossario, a e. di A Schiaffini, Firenze, Sansoni, 1927, pp. 283-94. Cfr. L. Sorrento: Sintassi romanza, VareseMilano, Cisalpino, 1950. Per lo stato attuale della discussione, v. Wehr: Diskurs-Strategien cit., pp. 153-81. Cfr. anche: E Brambilla Ageno, »Paraipotassi«, in Enciclopedia dantesca. Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1978, pp. 441-42.

44. B. Cerquiglini et al.: »Eobjet 'ancien français' et les conditions propres à sa description linguistique*, in J.-Cl. Chevalier e M. Gross (a c. di), Méthodes en grammaire française, Paris, Klincksieck, 1976, pp. 185-226; aile pp. 195-97.

45. Cfr. l'articolo cit. alla nota precedente; V. anche la nota 10.

46. B. Garavelli Mortara: La parola d'altri, Palermo, Sellerio, 1985, pp. 142-45, riporta vari esempi antichi di «slittamento del discorso indiretto al discorso diretto*. Per il secondo costrutto, v. Dardano: Sintassi e stile cit., p. 272.

47. Cfr. L. Vanelli: «Strutture tematiche in italiano antico*, in H. Stammerjohann (a e. di): Tema-rema in italiano, Tiibingen, Narr, 1986, pp. 249-74.

48. A. Vàrvaro: «Esperienze sociolinguistiche contemporanee e situazioni romanze medievali: la Sicilia nel basso Medioevo*, in Lingua, dialetti, società. Atti del convegno della Società italiana di glottologia (Pisa, 8-9 /12 / 1978), ae.diE.De Felice. Pisa, Giardini, 1979, pp. 29-55; alla p. 30.

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e di nuovi obiettivi di studio. Situato tra le scritture di carattere pratico e la prosa d'arte, il filone dell'antica prosa »media« appare dotato di caratteri sintattici e testuali particolari: prevalenza assoluta della paratassi, incertezza dei confini frasali, mutamentistrutturali, costruzioni sospese ecc. Ancora in un recente passato tali caratteri hanno provocato incomprensioni e reazioni negative da parte di molti studiosi. Ma le cosiddette »irregolarità« di tale prosa si chiariscono nel quadro di una moderna teoria dell'enunciazione, capace di illustrare la situazione comunicativa in cui gli antichi testi sono nati: per es. si tratta spesso di narrazioni recitate da un lettore a un pubblico di ascoltatori. In questa prospettiva, tenendo conto anche di alcune recenti esperienze compiute su testi medievali francesi, le pretese »irregolarità« possono essere interpretatecome procedimenti di segnalazione e di rappresentazione del parlato. Un'analisi meramente formale è in ogni modo destinata a fallire: infatti bisogna tener conto delle condizioni di produzione e di fruizione di tali testi. La punteggiatura presente nei manoscrittiriflette una situazione comunicativa originale che può essere facilmente alteratacon l'arbitraria imposizione di una punteggiatura moderna. Mediante l'analisi di vari passi tratti dal Milione, dal Novellino, dal Tristoño riccardiano, dai Conti di antichi cavalieri e da altre opere significative dei primi secoli, EA. mostra la specificità di esecuzionedi alcune strutture sintattiche e testuali. In particolare si sofferma sulla dimensionepragmatica di due fenomeni tipici della narrativa medievale: la ripetizione della stessa parola a breve distanza e la paraipotassi.