Revue Romane, Bind 23 (1988) 2

Hermann W. Haiier: The Hidden Italy. A Bilingual Edition of Italian Dialect Poetry. Wayne State University Press, Detroit, 1986. 549p.

Hugo Ibsen

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L'autore di questa antologia di poesia in vari dialetti italiani, professore alla City University di Nuova York, ha voluto chiamare il suo volume "L'ltalia nascosta": titolo che sembrerebbe indicare che esso si proponga di svelare un lato appunto nascosto, poco conosciuto, del mondo italiano; e che invece è tutt'altro che nascosto, anzi si impone continuamente all'attenzione di chi segue le vicende italiane. Si osserva, leggendo quotidiani e riviste, come la immigrazione meridionale crei tensioni, nelle regioni settentrionali, tra gli immigrati e i "nordici" da generazioni, che sentono minacciata la "nordicità"; tanto che nascono movimenti autonomistici nel Veneto, in Lombardia e in Piemonte, che si esprimono aggressivamente nei rispettivi dialetti: consiglieri comunali p. es., che pretendono di pronunciare i loro interventi ufficiali in dialetto. Anche nel Sud e nelle isole si coltivano con orgoglio, e a volte bellicosamente, i parlari locali; tempo fa la stampa italiana si occupò del caso di un impiegato dell'aeroporto di Cagliari, che si ostinava a voler annunziare partenze ed arrivi, oltre che in italiano e in inglese, anche in sardo (quale sardo, per altro? ). C'è poi l'uscita, in Italia, di antologie, e di edizioni critiche e bene annotate dei classici della poesia e del teatro in dialetto, anche in edizioni economiche, a dimostrare l'interesse sempre vivo, e diremmo pacifico, del pubblico per la civiltà dialettale; interesse anche un po' malinconico, forse, per vecchie culture costrette a difendersi come possono, e destinate probabilmente a soccombere nei tempi lunghi.

L'antologia di cui qui ci occupiamo, è l'unica, almeno di proporzioni così grandi, edita fuori d'ltalia, di cui noi abbiamo contezza; essa intende offrire, stando alle dichiarazioni contenute nella prefazione, una scelta rappresentativa di testi poetici composti nei vari dialettiitaliani, negli ultimi due secoli circa. Per questa dichiarata ambizione, si distingue dalle altre antologie da noi conosciute, le quali presentano, o la poesia di una città, di una regione, attraverso i secoli (come Poeti napoletani dal Seicento ad oggi, a cura di Ettore De Mura, Napoli1950; La Puglia e i suoi Poeti Dialettali, antologia vernacola pugliese dalle origini, a cura di Pasquale Sorrenti, Bari 1962; La poesia ligure dalle origini a Edoardo Firpo, a cura di MarioBoselli, Genova 1974), - oppure raccoglie esempi di poesia in dialetto di un determinato secolo, distribuiti geograficamente, come fa la classica antologia di Mario Dell'Arco e Pier Paolo Pasolini, Poesia Dialettale del Novecento, Parma 1952 (preziosa anche per la lunga introduzionedel

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troduzionedelPasolini). Il volume dello Haller è concepito corne un manuale ad uso degli studenti di italianistica, per cui, oltre che di un'introduzione generale, all'inizio, sui dialetti italiani e la letteratura in dialetto, è corredato di note informative per ciascun capitolo regionale,e di una succinta presentazione di ciascun autore, nonché di bibliografia abbondante e aggiornata; poi lo Haller vorrebbe raggiungere anche i milioni di oriundi italiani residenti negli Stati Uniti, attaccati alle proprie radici. Ci si stupisce un po', proprio per questo, che egli escluda spieiatamente dalla rassegna alcune regioni, — Umbria, Abruzzo, Calabria, Puglia e Sardegna —, sentenziando che "in queste regioni manca una produzione ininterrotta per molti secoli di poesia dialettale". Noi non conosciamo ovviamente tutte le culture regionali, ma siamo in grado di controbattere subito l'affermazione dello Haller per quanto riguarda la Puglia: rinviamo al volume sopraccitato, curato da Pasquale Sorrenti. Del resto, anche senza avere sotto gli occhi i testi stampati, siamo convinti che tutte le regioni possiedono una tradizionedi poesia, e, chiediamo: è davvero pensabile che esista la tradizione in Basilicata, ma non in Puglia e in Calabria? Se il compilatore dell'antologia avesse detto che non c'era a suo parere nessun testo poetico, tra quelli prodotti dalle cinque regioni da lui lasciate fuori, meritevoledi essere incluso in essa, l'avremmo capito; ad ogni modo, queste esclusioni ne pregiudicanonon poco l'utilità, sia come manuale ad uso dell'insegnamento universitario, sia e soprattutto come repertorio di testi ad uso degli italo-americani, campanilisti probabilmente quanto gli italiani. E giacché ci siamo: anche la Toscana è stata lasciata fuori dell'uscio, anzi, a giudicare dal silenzio dell'autore si direbbe che non l'abbia nemmeno sfiorato l'idea che possa esistere una poesia dialettale toscana; questa omissione riesce tanto più strana in quantoal libro sono stati premessi, a guisa di motto, dei versi amabilmente polemici del poeta venetoGiacomo Noventa: "Parche scrivo in dialeto? ... Dante, Petrarca e quel dai Diese Giorni Gà pur scrito in toscan. Seguo l'esempio".

Dichiara lo Haller nella prefazione che la sua selezione vorrebbe essere rappresentativa storicamente, coprendo la maggior parte degli ultimi due secoli. Fissando questo limite, tornandoindietro di duecento anni, egli può ospitare alcune "cime" della poesia in dialetto, tra cui i due sommi, il Porta ed il Belli; certo, l'ultimo settecento e l'ottocento fino agli anni 30, è stato un periodo aureo della poesia in dialetto, - ma non l'unico, e non in tutte le regioni ! Il Porta ed il Belli non potevano mancare in un'antologia storica, e non poteva mancare di entrambi qualcuno dei celeberrimi momenti ghiotti, quelli in cui i due, con il pretesto del dialetto, si abbandonano al più sfrenato turpiloquio, - che il curatore del volume rende scrupolosamentein americano senza battere ciglio, con tutte le parole interdette. Bisogna dargli atto, però, di avere accolto, insieme ai nomi ovvi, il piemontese Edoardo Calvo, feroce rivoluzionariodell'ultimo settecento nonché medico attento alle novità della scienza, e i due sicilianiGiovanni Meli e Domenico Tempio, eminente figura quest'ultimo dell'illuminismo catanese;la presenza di questi nomi costituisce indubbiamente il principale merito del volume, anche perché le accurate traduzioni in prosa inglese (americano) rendono accessibili i testi. Nello stesso tempo l'aver voluto l'autore privilegiare una determinata epoca della creatività poetica di quattro regioni, delle dieci regioni ritenute sufficientemente "poetiche", crea nuovi e strani squilibri, sia all'interno delle storie dei quattro dialetti prescelti, sia tra lo spazioriservato a questi quattro e quello dedicato agli altri sei dialetti che figurano nell'antologiaInfatti, per quanto concerne i dialetti piemontese, milanese, romano e siciliano, degnamenterappresentati dai loro grandi ultimo settecento-primo terzo dell'ottocento, da quest'epocal'antologia passa direttamente al novecento, saltando a pie pari tutta la poesia del secondoottocento; mentre i rimanenti capitoli, dedicati alle altre regioni, tra cui il Veneto e la

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Campania, comprendono addirittura soltanto poeti del novecento, al massimo dell'ultimo ottocento! Confrontando l'indice dei nomi di questo volume con quello dell'antologia Dell'Arco - Pasolini, constatiamo che su 19 poeti dialettali contemporanei citati dallo Haller, 16 li ritroviamo in Dell'Arco - Pasolini; questi, però, preferiscono in parte, degli stessi poeti, poesie diverse da quelle che sono piaciute allo Haller, cosicché le due opere si completano. In conclusione, dunque, il libro di Hermann Haller deve essere definito antologia di poesia dialettaledel novecento, con l'aggiunta di alcuni testi rappresentativi del periodo che va dalla fine del settecento agli anni 1830; essa può benissimo, nonostante quelli che paiono squilibri a chi da molti anni si interessa di dialetti italiani e di poesia dialettale, servire di introduzione allo studio delle culture regionali, a stuzzicare l'appetito degli studenti, soprattutto, ripetiamolo,per la bibliografia molto ricca, che consente al curiosi di approfondire qualsiasi aspetto,sia linguistico che letterario, della disciplina. E' giusto, forse, accordare molto spazio, in un'opera come questa, al secolo in cui viviamo, per dimostrare che la poesia in dialetto non è cosa remota, inattuale; ma si nota, purtroppo, che sono assenti le ultime generazioni (del resto, s'è detto dianzi che la grande maggioranza dei poeti del novecento compare già nell'antologiaDell'Arco - Pasolini, del 195 2!). I poeti ammessi nel "Libro d'oro" dello Haller, godonoreputazione acquisita (ancora più che nel 1952, ovviamente); egli, insomma, non si è voluto avventurare in terre sconosciute. Eppure sarebbe stato interessante ascoltare qualche voce dell'ultima generazione, e magari qualche poeta di quelli che non scrivono in contiguità con la letteratura ufficiale. Non contestiamo però al prof. Haller il diritto di impostare a propriadiscrezione l'antologia, anzi, ci torna simpatico il fatto che egli serbi ai dialetti siciliani un trattamento di favore: un capitolo di un centinaio di pagine, notevolmente più lungo degli altri; egli cosi dimostra di avere un rapporto molto personale con una delle diverse Italie, rapportonel quale il dialetto assume un'importanza capitale. L'estensore di queste righe, da partesua, si sente profondamente attaccato alle opere del Porta, e ai lombardi ingenerale, per avere frequantato la Lombardia nel primo dopoguerra, prima del miracolo e del boom, quandoancora il dialetto la faceva da padrona. E certo, codesto attaccamento, l'amore per lo stessosuono del lombardo diremmo quasi, può far velo alla mente, può farci apprezzare forse un testo in dialetto lombardo, che giudicheremmo banale e insignificante se scritto in lingua; siamo di quelli, insomma, che credono, romanticamente, in una particolare espressività e sinceritàdei dialetti, e di conseguenza è nostra opinione che non si dovrebbero applicare alle creazioni in dialetto esclusivamente i criteri di giudizio validi per la letteratura ufficiale. Cogliamol'occasione di segnalare a coloro che come noi, e come Hermann Haller, sono affascinatidal vario mondo regionale, un'antologia redatta sulla base di un tema comune (l'emigrazione),e che raccoglie contributi di autori senza un nome: Cento e passa poeti dialettali, a cura di Teodoro Giúttari e di Luigi Grande, Milano 1973.

Chiudiamo queste considerazioni con due notizie indicative. Il prof. Tullio De Mauro, in un articolo pubblicato in un recente numero del settimanale "L'Espresso", riferisce i risultati di un'inchiesta secondo la quale il 23 percento degli Italiani parla sempre e solo il dialetto, anche fuori casa; e, fatto ancora più interessante, questa percentuale è stazionaria dal 1982, l'anno di una precedente inchiesta. E, per quanto riguarda la poesia in dialetto, quest'anno il premio Viareggio per la poesia è stato assegnato a Raffaello Baldini, che scrive in santarcangiolese, vernacolo romagnolo, e che ha battuto illustri colleghi poeti in lingua. Osiamo perciò affermare che i dialetti, e la cultura regionale, sono ancora molto vitali in Italia, e che il rapporto tra lingua e dialetto non evolverà in modo lineare; il dialetto non è affatto una realtà nascosta.

Copenaghen