Revue Romane, Bind 24 (1989) 1

Il fantastico e l'utopia. Percorsi e stratégie del fantastico in Italo Calvino con spéciale riguardo a Le città invisibili

di

Lene Waage Petersen

Uno dei punti fermi della critica sull'opera di Calvino è rimasto, fino a tempi molto recenti, la tendenza a individuare, nello sviluppo formale dell'opera, una struttura binaria, un alternarsi di forme tendenti verso una resa realistica e di forme tendenti verso una resa fantastica. E abbiamo da una parte le opere »realistiche«: La speculazione edilizia; La nuvola di Smog; La giornata di uno scrutatore; dall'altra i racconti fantastici dei Nostri Antenati e de Le Cosmicomiche. Questa visione dialettica della scrittura di Calvino, frutto di un modello di pensiero dominante nei primi decenni del dopoguerra e condivisodallo stesso scrittore, ha un suo peso storico. Oggi invece, alla luce della riflessione radicalmente mutata sui rapporti tra realtà e scrittura, e alla luce dell'intera parabola dello scrittore, tale impostazione non sembra più fecondaper una descrizione dell'opera. Letture diverse potrebbero ora portare avanti analisi che riguardino lo sviluppo e la sorprendente continuità dei nucleitematici, delle strutture metaforiche e simboliche centrali, delle sequenzenarrative-chiave; compreso anche lo sviluppo e la continuità lungo tutto l'arco dell'opera di Calvino del »modo« fantastico, che ne costituisce indubbiamente un nucleo creativo fondamentale. L'originalità e l'importanza del modo fantastico in Calvino sono state poste poco in evidenza fino a tempi recenti, sia per una tendenza della critica italiana, specie la più impegnata ideologicamente, a disinteressarsi di letteratura fantastica (si sta scoprendo ora, negli Anni Ottanta, la tradizione fantastica del Novecento italiano), sia, da un altro verso, per il fatto che il fantastico di Calvino esuli non solo dalla grande tradizione ottocentesca del »conte fantastique*, ma anche dalle sue

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continuazioni più appariscenti del Novecento in Italia, e cioè, per fare dei
nomi, da una linea Savinio-Buzzati-Landolfi.

Da quando, soprattutto con il libro di T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique, uscito nel 1970, è esploso prima in Francia e poi in Italia un interesse critico-teorico più vasto per il genere fantastico, lo stesso Calvino è tornato più volte ad esprimersi sul proprio modo fantastico, ricollegandosi a una tradizione di fantastico-mitologico-filosofico che trova fra i suoi antenati Ariosto, Voltaire, Leopardi. Si veda per esempio l'intervento di Calvino a proposito del libro di Todorov, ora in Una pietra sopra, Torino, 1980 (p. 215-16). interventi importanti di Calvino sul genere fantastico sono: la Nota alla scelta: Le più belle pagine di Tommaso Landolfi, Milano, 1982; l'introduzione ai Racconti fantastici dell'Ottocento, Milano 1983; e la conferenza tenuta a Sevilla nel 1984, stampata col titolo La literatura fantàstica y las letras italianas per le Ediciones Siruela, Madrid 1985. Per quanto riguarda invece gli scritti di Calvino dedicati alla fiaba si rimanda ora al recente volumetto, a cura di Mario Lavagetto: Italo Calvino: Sulla Fiaba, Torino 1988, che raccoglie gli scritti dedicati da Calvino alla fiaba.

Sono apparsi recentemente due articoli molto interessanti sul fantastico in Calvino che, confermando la centralità di questo modo o genere, e partendo da impostazioni metodologiche molto diverse, sembrano tutt'e due concludere che la funzione dell'ordine fantastico in Calvino sia - in modo sempre più esplicito man mano che si va avanti nell'opera - di agire come baluardo, come difesa contro il disordine e il caos della vita . E. Gianola fonda la sua interpretazione di tipo freudiano su una analisi della graduale espulsione e rimozione dell'io psicologico dai testi di Calvino, vedendo il romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore come l'assoluto culmine di questa tendenza, concludendo che per Calvino diventa sempre più insostenibile il dover confrontarsi con la pesantezza del mondo caotico: Vio-nel-mondo costituisce appunto quell'inferno di cui si parla alla fine de Le Città invisibili, e a cui bisogna sostituire l'ordine cristallino delle strutture letterarie fantastiche.

In questa impostazione mi sembra che non si distingua abbastanza il generefantastico da altre forme letterarie di tipo non realistico come appunto la meta-narratività e il pastiche di Una notte d'inverno, che non sembra riconducibileal genere fantastico. Inoltre vorrei aggiungere che questa teoria sull'operafantastica di Calvino costituisce una possibile lettura della rimozione dell'io psicologico, nonché del desiderio di chiarezza e di forme cristalline presenti senza dubbio nella scrittura calviniana. Non rappresenta però che una delle molte letture possibili, e il fatto di essere combinata con una teoria di tipo genetico non è un motivo per privilegiarla rispetto ad altre letture. Prendendo spunto simbolicamente dal personaggio dell'lndeciso, in un'impostazionepiù letteraria e con riferimento alla grande tradizione fantastica, Ghidetti analizza il particolare »colore« del fantastico di Calvino, dedicando

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maggiore attenzione al primo momento, e cioè al periodo che va dal Sentiero
dei nidi di ragno (1947) al Barone rampante (1957), vedendo in esso il momentopositivo
del fantastico di Calvino, così riassumendone il progetto:

II fantastico come vìa iniziatica, luminosa ed ardua alle radici biologiche e spirituali della condizione umana, il fantastico non come elusione di una realtà storica determinata, come via d'uscita dallo strazio del presente, dallo sperpero della vita, ma come veridica rappresentazione per immagini di fiaba dell'essere nel mondo, (op. cit. p. 178)

A partire dal Cavaliere inesistente, e più ancora da Le Cosmicomiche il Ghidetti vede nell'ordine fantastico una sempre maggiore abdicazione davanti al reale: il cavaliere »è un simbolo negativo, il paradossale risultato di una crudele ascesi intellettuale, una risposta nevrotica al mondo«, concludendo che nella seconda metà dell'attività letteraria di Calvino sempre più »il profilo del narratore fantastico appare sfociato nella luce fredda delle astrazioni intellettuali«, mentre lamenta in Calvino la mancanza »dell'amorosa pazzia di Orlando«. È mia impressione che questa lettura rispecchi una tendenza generale nei critici italiani a privilegiare la prima fase dell'opera, vedendo nel Barone rampante il fulcro della scrittura calviniana, e preferendola alla seconda fase, ritenuta forse troppo astratta, troppo metaletteraria».

Lo scopo che si prefigge quest'articolo è di analizzare alcune forme del fantastico in Calvino, e soprattutto dell'immagine fantastica, per ricollegarle a una poetica e a una strategia dell'apertura dei testi. In un momento centrale dell'opera il modo fantastico nel pensiero dell'autore viene legato a una tensione verso l'utopia, la quale tensione utópica trova un suo spazio possibile nell'incontro tra la polisemanticità dell'immagine e del disegno fantastico e i percorsi possibili nel mondo testuale offerti al lettore. Questa tensione o dimensione utópica getta un fragile ponte tra la prima fase dell'opera - giunta a una svolta critica a partire dalla seconda metà degli Anni Cinquanta - e la seconda fase, iniziata a parere ormai unanime della critica a metà degli Anni Sessanta. Seguiremo prima alcuni punti importanti dello sviluppo della dimensione utópica e il suo collegamento con l'immagine fantastica; nell'ultima parte si analizzerà invece più da vicino un testo fantastico (Le città invisibili) per seguire le strategie d'apertura in esso contenute.

È un dato ormai acquisito dalla critica, e più volte sottolineato dallo stesso Calvino, come la ricerca dell'espressione fantastica in un primo momento si risolva soprattutto in una serie di tentativi tesi a saggiare le possibilità espressivedelle strutture narrative della fiaba (che si tratti del primo romanzo // sentiero dei nidi di ragno o di molti fra i racconti come il giustamente famoso Ultimo viene il corvo o // bosco degli animali). Meno noti alcuni tentativi in un genere più surrealistico, come per esempio il racconto // soglio di un giudice, pubblicato su Rinascita nel 1948, nel quale si narra di un caso giudiziario del

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dopoguerra che lentamente si trasforma in una visione kafkiana dei rapporti fra il giudice, il fascista accusato e il pubblico, con la fine, di sapore pure kafkiano,del giudice che esegue la sentenza capitale, da lui stesso emessa, impiccandosinel deserto cortile del palazzo di giustizia. Sono tentativi che rimangonoperiferici nel modo fantastico di Calvino.

I racconti di Marcovaldo scritti tra 1952 e 1962 possono essere letti come un ultimo saggio della potenzialità cognitiva della struttura fiabesca, contemporaneo alla grande impresa della raccolta e trascrizione delle fiabe italiane, 1956, un tentativo che si trasforma invece in una negazione inesorabile di tale potenzialità, in un testardo ed eroico cozzare contro la negatività del reale. In realtà, come lo ha dimostrato Maria Corti, le venti storie che formano il libro di Marcovaldo ovvero Le stagioni in città (1963) non costituiscono un insieme formale e tematico, un macrotesto . I primi dieci, apparsi dapprima nel volume dei Racconti (1958) formano un'unità di fiabe a soluzione negativa, mentre negli ultimi racconti si cerca di eludere le aporie della realtà attraverso l'introduzione di elementi di un ordine fantastico che per un attimo libera il nostro eroe dalla pesantezza della realtà negativa. Si legga per esempio La città smarrita sotto la neve in cui la neve cadendo fitta sulla metropoli ne cancella la normalità terribile: al centro sta l'immagine tra fantastica e comica del grande direttore che sale aggressivo, testa sporta in avanti, sull'automobile di neve, costruita da Marcovaldo per gioco. In questo secondo ciclo di storie su Marcovaldo l'introduzione di elementi fantastici sembra collegabile a un momento utópico; è degno di nota che Pimmagine-simbolo portatrice dell'utopia sia già spesso quella della città, ossia di una città possibile che potrebbe svilupparsi dentro la città negativa: è la città sepolta sotto la neve; è la città svuotata dall'esodo di Ferragosto che si trasforma in un luogo utópico, una città-natura {La città tutta per lui), è la città dei gatti che si costituisce come luogo alternativo praticabile dentro la stessa metropoli (II giardino dei gatti ostinati), con il gran finale della visione fantastica, che ha già il sapore di certe sceneggiature de Le città invisibili, dei gatti che riprendono possesso del giardino espropriato e trasformato in cantiere:

Ma come si faceva a lavorare? I gatti passeggiavano su tutte le impalcate, facevano cadere mattoni e secchi di calcina, s'azzuffavano in mezzo ai mucchi di sabbia. Quando s'andava per innalzare un'armatura si trovava un gatto appollaiato in cima che sbuffava inferocito. Mici più sornioni s'arrampicavano sulle spalle dei muratori con l'aria di voler far le fusa e non c'era verso di scacciarli. E gli uccelli continuavano a fare il nido in tutti i tralicci, il casotto della gru sembrava una voliera... E non si poteva prendere un secchio d'acqua senza trovarlo pieno di ranocchi che gracidavano e saltavano...

L'allegoria e l'emblema del Cavaliere

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La trilogia de / nostri Antenati (II visconte dimezzato,l9s2, II Barone Rampante, 1957, e // cavaliere inesistente, 1959) ha in comune una forma allegorica. Ora, una delle differenze tra fiaba e allegoria in quanto forme narrative, consiste nel fatto che l'allegoria, pur svolgendo una narrazione, si fonda più sulla creazione di immagini capaci di trasposizione simbolica che non su schemi narrativi, con funzioni fisse e luoghi deputati, come accade nella fiaba. Troveremo d'ora in poi, al centro del modo fantastico di Calvino, sempre più un'immagine fantastica intorno alla quale crescerà il racconto. Pensiamo per esempio alla nitidissima visione del visconte dimezzato, all'apertura del libro3:

...e davanti ai nostri occhi Medardo di Terralba balzò in piedi, puntellandosi a una stampella. Un mantello nero col capuccio gli scendeva dal capo fino a terra; dalla parte destra era buttato all'indietro, scoprendo metà del viso e della persona stretta alla stampella, mentre sulla sinistra sembrava che tutto fosse nascosto e avvolto nei lembi e nelle pieghe di quell'ampio drappeggio.

(...) Un'alzata di vento venne su dal mare... Il mantello di mio zio ondeggiò, e il vento lo gonfiava, lo tendeva come una vela e si sarebbe detto che gli attraversasse il corpo, anzi che questo corpo non ci fosse affatto, e il mantello fosse vuoto come quello di un fantasma. Poi guardando meglio, vedemmo che aderiva come ad una asta di bandiera, e quest'asta erano la spalla, il braccio, il fianco, la gamba, tutto quello che di lui poggiava sulla gruccia: e il resto non c'era, (p. 17)

Nella sua splendida visibilità non completamente allegorizzabile quest'immagine
del nero mantello a metà vuoto domina e trascende la struttura abbastanza
rigidamente binaria del racconto.

Come è noto, è stato lo stesso Calvino a accennare alla genesi di questi racconti, spiegando come essi siano nati da un'immagine intorno alla quale si è poi sviluppato in modo più razionale il disegno del racconto allegorico. Al centro del Cavaliere inesistente troviamo la visione di Agilulfo nella sua armaturabianca e vuota «...attraversato a ogni fessura dagli sbuffi di vento, dal volodelle zanzare, e dai raggi di luna» (p. 271). La bianca armatura del cavaliereinesistente, collegata nel testo a tematiche negative di vacue formalità, di sola apparenza, ma anche a nuclei tematici positivi di luce, di tesa coscienza,di leggerezza, rimane il punto nevralgico del romanzo, non riducibile a interpretazioniunivoche. L'immagine trascende la geometrica opposizione creata dall'abbinamento con Gurdulù, che non possiede una sua visibilità, ma che da luogo a un simbolo-immagine fondamentale, il «tutto il mondo è zuppa».Per mantenere viva la tensione semantica della rete delle immagini, bisogna,dopo ogni proposta di interpretaziune dell'allegoria, tornare a sperimentarela non-riducibilità dell'immagine e la sua apertura a uno spettro di idee e di sensazioni non univocamente definibili. L'immagine del cavaliere non muore con Agilulfo: alla chiusura del romanzo si riassume e si trasforma nella visione finale del cavaliere pervinca che, rompendo la cornice del romanzoe

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manzoefondendosi con la mano che scrive, irrompe a galoppo in una dimensioneutópica

Dal raccontare al passato, e dal presente che mi prendeva la mano nei tratti concitati, ecco o futuro, sono salita in sella al tuo cavallo. Quali nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di città non ancora fondate? quali fumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che amavo? quali impreviste età dell'oro prepari, tu malpadroneggiato, tu foriero di tesori pagati a caro prezzo, tu mio regno da conquistare, futuro... (p. 350)

Esiste una differenza fra i primi due romanzi della trilogia e il terzo a cui vorrei accennare qui: essa concerne lo statuto del narratore. Nel Visconte la narrazione è delegata a un ragazzo, nipote del Visconte, personaggio di secondo piano, più osservatore che attore il quale può somigliare a un eroe di fiaba esiliato dal vivo della storia; anche nel Barone abbiamo un narratorepersonaggio osservatore, il fratello del barone, esiliato dal regno fantastico. Nel Cavaliere invece, l'istanza narrativa viene spersonalizzata nonostante l'introduzione di una narratrice nel quarto capitolo e lo sorprendente sdoppiamento di lei alla fine del racconto, con la fusione dei due personaggi, la suora Teodora e la guerriera Bradamante. La funzione dell'io-narrante non è qui collegata a una definizione di voce e di punto di vista, come sarebbe naturale in una narrazione più classica, bensì serve a creare un'immagine-simbolo anticipante la gemale lettura che Calvino ha fatto del ciclo pittorico di Carpaccio esistente presso la Scuola San Giorgio a Venezia; in tale lettura San Giorgio nell'atto di uccidere il drago, sulla parete sinistra, viene unificato come parte integrante di uno stesso personaggio, a San Gerolamo, sulla parete destra, seduto nel suo studio con un raggio di sole che cade sulla mano che scrive. L'istanza narrativa si è spersonalizzata nell'immagine utópica della fusione tra mano che stringe la spada e mano che guida la penna.

Se, nei racconti a schema fiabesco, il bambino nel bosco rappresenta l'eroe-modellodi una prima fase della ricerca di un modo letterario non realistico,mi sembra che nella figura del cavaliere si possa vedere un personaggio-emblemaimportante in una fase più tarda che comprende // Cavaliere inesistente e // Castello dei destini incrociati, fino alla bella rilettura di OrlandoFurioso (1973). Anche sulla copertina di Una pietra sopra, vediamo in una visione ironico-pessimista, un San Giorgio; mentre le Lezioni americane s'apronocon il mito di Perseo (uno degli antenati di San Giorgio) letto come simbolo di una poetica non realistica, ma non per questo meno impegnata eticamente. Nel famoso saggio del 1955 // midollo del leone Calvino accosta le storie cavalieresche alla fiaba, per la spinta all'azione e l'energia vitale che ammano tutt'e due i generi. Ma c'è anche una differenza che mi preme sottolinearequi: la struttura della fiaba è chiusa, la funzione che termina lo schemaè costituita dall'entrata in possesso, da parte del soggetto, dell'oggetto desiderato, con la reintegrazione nella società che ne consegue. La sequenza

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narrativa fondamentale della materia cavalieresca privilegia invece la ricerca dell'oggetto, fino a fare della funzione della ricerca un personaggio: il cavaliereerrante. Ntü'Orlando Furioso dell'Ariosto - una delle stelle fisse del firmamentoletterario di Calvino - la sequenza aperta della ricerca riveste un importanza primaria, tematizzata in una relazione di contrasto tra espansionedi energia vitale, e sentimento dell'illusorietà della ricerca. Il percorso dell'eroe nella fiaba è perciò relativamente «diritto», mentre il percorso del cavaliere è ramificato, labirintico. Nella fusione tra sequenza narrativa aperta {quêté) e immagine di vitalità (la spada tratta contro il mostro) che è il punto messo in luce da Calvino, il cavaliere si rivela personaggio-emblema adatto a portare avanti il modo fantastico dopo la sconfitta dell'allegoria. Ma in ultimaanalisi sarà un altro simbolo, la città, ad assumere la funzione di modellocorniceper le strutture fantastiche. Abbiamo visto come la città funga già in alcuni racconti di Marcovaldo da immagine di un momento fantastico-utopicoin nuce. L'emblema della città torna nel libro forse più intensamente poeticodi Calvino, Le città invisibili, e deve la sua fecondità al fatto di non fondarsisu un personaggio combinato a delle funzioni, come l'eroe della fiaba o il cavaliere, creando invece uno spazio attraversabile che non contiene direzioniprecise, ma percorsi possibili.

La svolta teorica

Sono gli anni subito dopo // Barone rampante (1957) a segnare una svolta nella concezione dei rapporti fra mondo scritto e mondo non scritto dopo la sconfitta dell'illuminismo del primo periodo; una nuova visione della potenzialità cognitiva della letteratura non si andrà precisando prima dell'incontro, negli anni 64-65 con lo strutturalismo francese e YOulipo, trovando le sue prime espressioni letterarie in alcune delle cosmicomiche (// segno, Lo spirale) e la sua formulazione di poetica esplicita nell'importante saggio Cibernetica e fantasmi (1967). Il nucleo centrale di questo saggio è la concezione della creazione come processo combinatorio che costringe lo scrittore a scomparire dalla scrittura come personaggio psicologico e permette una ricerca di tipo quasi matematico di costellazioni di forme, di immagini possibili di una struttura o di un procedimento prescelto. Da questo processo combinatorio possono scaturire significati non previsti dallo stesso autore, o rimossi dalla sua coscienza, o da quella della società in cui vive. In questo modo si potrà forse, dice Calvino, rompere la prigione dei nostri concetti e della nostra

Quando la scrittura si presenta in un certo modo come sciolta dall'autorità
e dalla personalità dell'autore, la lettura diventerà necessariamente il luogo
privilegiato della formazione della coscienza letteraria:

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Smontato e rimontato il processo della composizione letteraria, il momento decisivo della vita letteraria sarà la lettura. In questo senso, (...) la lettura continuerà a essere un luogo privilegiato della coscienza umana, un'esplicitazione delle potenzialità contenute nel sistema dei segni d'ogni società e d'ogni epoca... (Una pietra sopra, p. 172).

Vorrei accennare alla somiglianzà in alcuni punti tra questi pensieri e la teoria sulla recezione letteraria che si andava formando in questo stesso periodo in Germania con i lavori di Jauss e Iser soprattutto. L'estetica di recezione tedesca parte, come è noto, dall'idea dell'aspetto incompiuto del testo letterario, per cui il testo si compie, riceve la sua configurazione nella lettura, quando il lettore ha risposto alle sue strategie, ha reagito alle sue domande. Il testo trascende le sue strutture attraverso il mondo creato dal suo percorso linguistico; ma questo universo raggiunge la sua configurazione soltanto attraverso la lettura. L'estetica di recezione trova il suo oggetto, come in Jauss, nel rapporto tra il testo e il «Erwartungshorizont» del pubblico di un'epoca determinata, oppure, come in Iser, nel rapporto tra «PAppellstruktur» del testo e la risposta individuale del lettore. Le teorie di Iser non comportano riflessioni sulla creazione artistica, che invece nel caso di Calvino costituiscono il punto di partenza; ma anche il critico tedesco cerca di rendere conto delle capacità di un testo letterario di esprimere significati non presenti in altri modi alla coscienza dello scrittore o a quella della società in cui vive. Secondo Iser i modelli analitici di tipo strutturalistico scoprono strutture nel testo, strategie che orientano l'esperienza testuale del lettore, e che sono ancorate e hanno ricevuto la loro forma dalla storicità globale del testo, incorporando nell'universo del testo - che non si riporta direttamente alla realtà, ma a modelli globali - sia i sistemi conoscitivi dell'epoca e dello scrittore, sia i loro vuoti, o le loro ombre di un sapere escluso e rimosso. In questo modo l'opera singola contiene una serie di strutture significanti che racchiudono possibilità di significato riconoscibile da parte del lettore a seconda del suo proprio sistema di conoscenze.

La lettura de Le città che segue intende mettere in luce alcune delle strategie con le quali il testo organizza la sua apertura specifica: l'immagine, il disegno, l'organizzazione dello spazio. Nello stesso tempo si presenta - e qui non è in gioco un paradosso di questa lettura soltanto - la configurazione di alcuni fra questi spazi aperti del testo, perché, anche tenendo conto di aperture e di paradossi contenuti nel testo, non si da lettura senza configurazione.

Strategie e percorsi del fantastico ne Le città invisibili

Le città invisibili, come è noto, sono formate da 1) Una comice nella quale il
Grande Khan, sovrano dell'immenso impero dei Mongoli, e il suo ambasciatoreveneziano,
Marco Polo, conversano sulle condizioni dell'lmpero, sulla

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sua dissoluzione, sul suo decadimento, sulle ricchezze e sulle speranze; 2) 55 descrizioni di città che, inquadrate da sequenze di conversazione, sono organizzatein nove parti o «capitoli». Nello stesso tempo le città sono suddivise in undici nuclei tematici che comprendono, ciascuno, cinque città e che si alternanonel corso del testo in un disegno molto elaborato, con un percorso che si snoda ramificato attraverso il testo e secondo il quale le città che parlanodel desiderio e della memoria dominano la prima parte, mentre le città che trattano di dissoluzione e di morte dominano l'ultima parte. In questo percorso sono incastonate per esempio le scintillanti città felici delle utopie e le città che racchiudono germogli di possibile felicità: e sono soprattutto le città sottili della prima parte e le città nascoste della seconda. Percorre la cornice - rispecchiata poi nella costellazione delle città - una «discussione» tra il desiderio di chiarezza e di ordine del Grande Khan, tra il suo «strutturalismo»,e l'affermazione di Polo che la realtà non è mai del tutto afferrabile attraversoil modello o la parola.

Le città sono fantastiche, ciò vuoi dire che sono organizzate secondo principi strutturanti posti come diversi, altri, rispetto all'ordine normale del mondo fattuale. Sono perciò invisibili sulla carta geografica della realtà, ma straordinariamente visibili nella nostra geografia mentale, di desiderio, di angoscia, di memoria. L'ordine altro non è necessariamente «impossibile» rispetto al mondo della realtà: Palterità può consistere anche nello svolgere in modo radicale una delle possibilità forse esistenti.

4 Esistono nelle Lezioni americane parecchie riflessioni sul fantastico, soprattutto nei saggi Visibilità e Esattezza. Nel primo si parla dell'immaginazione come di un «repertorio del potenziale, dell'ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere». Questo repertorio di una potenzialità altra, lo troviamo nella sua essenza più poetica e più aperta ne Le città invisibili. Nel saggio intitolato Esattezza ritorna un emblema centrale, il cristallo, come descrizione del procedimento fondamentale di genesi dell'ordine fantastico letterario, come lo aveva già formulato Calvino nel 1970 in risposta a unI'enquête su Le Monde:

Al centro della narrazione per me non è la spiegazione d'un fatto straordinario, bensì l'ordine che questo fatto straordinario sviluppa in sé e attorno a sé, il disegno, la simmetrìa, la rete d'immagini che si depositano intorno ad esso come nella formazione di un cristallo. (Una pietra sopra, p. 216)

La città fantastica nasce come «unificazione di una logica spontanea delle immagini e di un disegno condotto secondo un'intenzione razionale»; e si può notare come alcune città paiano dominate dalla struttura razionale e altreinvece dalle immagini fantastiche. Alcune città sembrano generate intornoa un'immagine centrale, in altre si ha l'impressione che sia il disegno razionalea costituire il punto di partenza, il nucleo generativo delle immagini. Non è naturalmente possibile scindere in modo netto tra i due tipi, dato che

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ambedue gli elementi - l'immagine e il disegno - sono sempre presenti; e forse il privilegiare l'uno rispetto all'altro, potrà dipendere anche dalla nostra«risposta» di lettori alle strategie del testo, dalla nostra personale attitudinea meglio configurare le immagini o i disegni.

Le due strategie si innestano poi una sull'altra; e mi sembra importante sottolineare appunto come tutte le città contengano in sé una ricerca di^wsione tra forme geometriche e disegni razionali, da una parte, e forme trascendenti queste strutture, dall'altra; e come contengano, insieme a questa ricerca di fusione, una tensione tra queste due parti opposte dell'ispirazione creativa di Calvino. Vediamo, per fare un esempio, come la struttura di una città possa essere «riassunta» in un'immagine che ne trascende il disegno: è il caso di Ipazia (p. 53), costruita su una opposizione geometrica tra il significato attribuito alle cose/segni della città da parte del narratore secondo il suo sistema culturale, e i significati che essi assumono nel sistema fantastico della città; questa opposizione, svolta attraverso una serie di immagini assai «speculative», si riassume e quasi si sospende nella splendida immagine finale del narratore che sale sul pinnacolo più alto della rocca per aspettare lì la nave che lo porterà via dalla città, immagine nella cui visibilità fantastica il discorso razionale si dissolve.

I: Città-disegno

1) Struttura a rete. A questo tipo appartiene la città di Smeraldina, che è anzi
Pesempio-modello di una città a percorsi multipli:

A Smeraldina, città aquatica, un reticolo di canali e un reticolo di strade si sovrappongono e s'intersecano. Per andare da un posto a un altro hai sempre la scelta tra il percorso terrestre e quello in barca: e poiché la linea più breve tra due punti a Smeraldina non è una retta ma uno zigzag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che s'aprono a ogni passante non sono soltanto due ma molte, e ancora aumentano per chi alterna traghetti in barca e trasbordi all'asciutto.

Così la noia a percorrere ogni giorno le stesse strade è risparmiata agli abitanti di Smeraldina. E non è tutto: la rete dei passaggi non è disposta su un solo strato, ma segue un saliscendi di scalette, ballatoi, ponti a schiena d'asino, vie pensili. Combinando segmenti dei diversi tragitti sopraelevati o in superfìcie, ogni abitante si da ogni giorno lo svago d'un nuovo itinerario per andare negli stessi luoghi, (p. 95)

Ho citato distesamente da Smeraldina, perché leggo la potenzialità molteplice con cui la città si apre ai suoi abitanti anche come un simbolo delle relazioni tra testo e lettore, come un appello al lettore ad abitare le città nel modo in cui si abita e si percorre Smeraldina: scegliendo ora di essere topo o congiurato e correre giù nel buio delle cloache, ora invece gatto o amante «che si sposta per vie più alte e discontinue...»

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Altre città-rete sono: Fillide (p. 97), che segue immediatamente Smeraldina, e ne costituisce un commento; anche Fillide è città costruita all'insegna di una molteplicità che sarebbe feconda se non perdesse gradualmente la sua visibilità agli occhi degli abitanti che vi si sono abituati; Ersilia, (p. 82) città a nome pirandelliano con «ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma»; Raissa (p. 154) il cui nucleo testuale è costituito da una frase lunga 22 righe in cui il testo insegue attraverso il concatenarsi di una serie di azioni e di persone lo sprigionarsi di un momento felice. Anche Zaira (p. 18) vive la sua essenza in una serie di rapporti fra azioni nel tempo e dimensioni di spazialità della città.

L'immagine della rete di rapporti, o la rete dei percorsi molteplici, sembra aver sostituito il simbolo del labirinto, immagine-chiave in alcuni testi di Caivino, da La sfida al labirinto (1962) a Cibernetica e fantasmi e al racconto di Montecristo in Ti con Zero. Il potenziale utópico della strategia del gioco combinatorio definito in Cibernetica e fantasmi non si sviluppa pienamente che con Le città, e il sostituire il labirinto che è immagine negativa con la rete dei percorsi molteplici ne è una conferma.

2) Struttura doppia. A questo gruppo appartengono le molte città che riposano su un confronto tra città e modello, o città e rispecchiamento della città, costruite spesso in modo che la delimitazione tra città e rispecchiamento o modello si vela e si sposta, come nella città di Eusapia, dove i vivi hanno costruito una copia della loro città sottoterra, per i morti:

Da un anno all'altro, dicono, l'Eusapia dei morti non si riconosce. E i vivi, per non essere da meno, tutto quello che gli incappucciati raccontano delle novità dei morti vogliono farlo anche loro. Così l'Eusapia dei vivi ha preso a copiare la sua copia sotterranea.

Dicono che questo non è solo adesso che accade: in realtà sarebbero stati i morti a
costruire L'Eusapia di sopra a somiglianzà della loro città. Dicono che nelle due città
gemelle non ci sia più modo di sapere quali sono i vivi e quali i morti, (p. 116)

Le città doppie pongono attraverso lo svolgimento della loro duplice struttura,e le immagini ivi connesse, una serie di domande sui rapporti tra modello e realtà: il problema di vedere la realtà senza il filtro del modello, e la confusionetra modello e realtà, domande svolte anche nella cornice, nel dialogo tra Marco Polo e il Khan. La stessa strategia è alla base delle città triplici, in cui tre proiezioni della città si rispecchiano e si interrogano a vicenda, come in Laudomia (p. 142) che, oltre a una città dei morti in cui si mira la città viva,comprende anche una città per i nascituri, o in Bersabea (p. 117). Doppie sono alcune, ma non tutte, del ciclo tematico Le città e i morti, e alcune, ma non tutte, de Le città e il cielo: confrontiamo Andria (p. 156), città costruita in modo da ripetere nelle sue strutture l'ordine delle costellazioni e la posizione degli astri, con Perinzia (p. 150), pianificata dagli astronomi per rispecchiare l'armonia del firmamento. Una è felice, l'altra invece una città mostruosa. La

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descrizione di Perinzia termina, come succede spesso, con la domanda posta
dalla città:

Gli astronomi di Perinzia si trovano di fronte a una difficile scelta: o ammettere che
tutti i loro calcoli sono sbagliati e le loro cifre non riescono a descrivere il cielo, o rivelare
che l'ordine degli dei è proprio quello che si rispecchia nella città dei mostri.

Si vede però, come il narratore, con un rovesciamento ironico in un primo momento paia lasciare aperta un'alternativa all'interpretazione della città, per poi sospenderla: rivela sta a indicare la certezza della seconda parte dell'alternativa. Le due città modellate sul cielo realizzano dunque due possibilità opposte, e le domande che pongono scaturiscono anche da questo confronto. Una delle città complementari svolge un discorso di tensione tra razionalità e irrazionalità; si tratta di Teodora che per un lungo tempo della sua storia aveva condotto battaglia contro le invasioni nemiche:

Sgombrato il cielo dai condorsi dovette fronteggiare la crescita dei serpenti; lo sterminio
dei ragni lasciò le mosche moltiplicarsi e nereggiare; la vittoria sulle termiti
consegnò la città in balia dei tarli, (p. 164)

Dopo la vittoria finale sui topi, lungamente rimasta incerta, l'ordine è ristabilito, nessuna specie vivente può metterlo in forse. Ma ecco che la fauna fantastica - le sfingi, i grifi, le chimere, i draghi ecc. - si sveglia e riprende possesso della città. La tensione tra razionalità di ordine e di sterminio e irrazionalità di fantasmi si apre almeno a una doppia lettura: 1) l'angoscia del caos che si era creduto di debellare torna sotto forma di delirio onirico; il rimosso individuale o collettivo si «risveglia» in una prospettiva che può configurarsi come storica (illuminismo vs romanticismo, per esempio) o mitica o individuale; 2) esistono tuttavia anche indizi per una lettura capovolta che vede nella prima fase un momento negativo «grande cimitero del regno animale» - «la città si richiuse asettica...», mentre col fantastico ritorna la vita, la forza dell'immaginario a sconvolgere l'ordine morto imposto alla città.

Un'altra città complementare, in bilico tra due opposte tensioni, è Sofronia(p. 69), composta da una metà provvisoria, instabile, sempre in movimento,e una metà stabile e fissa; la sorpresa felice dell'incrocio tra pesantezza e provvisorietà (è la città di cemento e di marmo, dei monumenti e dei ministeriecc., a essere smontata come un circo, mentre il parco delle giostre costituiscela parte immobile e fissa della città), e, all'interno dell'immagine, lo spostamento da un parco di divertimento a una città di cemento viandante, è un gesto di felicità immaginativa e di rovesciamento utópico. - Tramite la tensione non risolta della loro struttura doppia, opposta e complementare, le città di Teodora e dì Sofronia pongono una serie di domande sui rapporti tra razionalità e irrazionalità, tra creatività spontanea e stabilità; domande che

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vanno formulate in modo più esplicito dal lettore prima che una risposta possaessere

II: Città-immagine.

La divisione in città-immagine e città-disegno non pretende, come abbiamo già detto, di stabilire una distinzione netta, e in alcuni casi può sembrare addirittura arbitraria. Risponde però a una intenzione precisa che è quella di individuare strategie importanti di appello al lettore, tra cui la funzione dell'immagine e la funzione del disegno razionale, e di descriverle meglio isolando le loro manifestazioni più caratteristiche.

a) L'immagine. La specifica struttura della città cresce intorno a un'immagine fantastica che si disegna nitida e visibile nella sua alterità: «Ciò che fa Argia diversa dalle altre città è che invece d'aria ha terra» (p. 133). In opposizione a quest'immagine & pesantezza viene in mente un'altra città, Annula, il cui tratto costitutivo à la leggerezza: «Fatto sta che non ha muri, né soffitti né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell'acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramono dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppo pieni» (p. 55).

Dal punto di partenza «invece d'aria ha terra» (in cui il pesante «terra» in posizione finale forma il centro del ritmo) nasce la città sotterrata nella sua soffocante quiete e terribilità, attraverso una serie di nuove immagini che si depositano intorno alla prima: «Le vie sono completamente interrate, le stanze sono piene d'argilla fino al soffitto, sulle scale si posa un'altra scala in negativo...» fino a quella che nella sua visibilità fantastica più mi sembra fissare l'essenza della città: «sopra i tetti delle case gravano strati di terreno roccioso come deli con le nuvole.»

Dal punto di partenza «una foresta di tubi» nasce la gioiosa e splendida visione degli alberi con frutti di maiolica: «contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica come frutti tardivi rimasti appesi ai rami.»

Mentre la città-disegno pone interrogativi al nostro intelletto, la polisemanticità
della città-immagine si fonda sulla sua visibilità non traducibile in
interpretazioni precise.

b) L'elemento antropologico. Nell'ordine altro creato dalle immagini fantastiche si introduce ora l'elemento uomo, e cioè gli abitanti e la loro relazione specifica con la città. Nelle città dominate dalla rete delle immagini questa dimensione nasce quasi spontanea dalle immagini stesse; come per Argia, la città sotterrata:

Se gli abitanti possono girare per la città, allargando i cuniculi dei vermi e le fessure
in cui s'insinuano le radici non lo sappiamo.

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Questa descrizione dei rapporti - insieme di dipendenza e di influenza - tra gli uomini e la loro città viene spesso formulata come un'alternativa, o tramite enunciati comunque caratterizzati da incertezza; o come contrasto tra il modo di intendere la città da parte degli abitanti e il commento del narratore: strategie tese tutte ad aprire la città a diversi percorsi interpretativi. Di Armilla, la città delle tubature d'acqua, si dice:

Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo
o solo un capriccio, io lo ignoro.

E più tardi il narratore spiega che la città è forse un dono votivo alle ninfe e alle naiadi che ora lo abitano. L'essenziale, dal nostro punto di vista, rimane però che l'immagine fantastica sembra aver fatto nascere spontaneamente i nuovi abitanti:

...una o molte giovani donne, snelle, non alte di statura, che si crogiolano nelle vasche
da bagno, che si inarcano sotto le docce sospese sul vuoto, che fanno abluzioni o che
s'asciugano, o che si profumano, o che si pettinano i lunghi capelli allo specchio.

Nelle città di disegno più razionale, invece, i rapporti tra abitanti e città sono
spesso di tipo più speculativo, come abbiamo visto, e le domande poste dalle
città di tipo più filosófico.

e) // movimento. Immagini così visibili come quelle citate sono spesso «statiche», nel senso che esistono fuori del tempo che trascorre. Quando però si innestano una sull'altra nella descrizione, e soprattutto quando entrano in contatto con l'elemento uomo, normalmente sviluppano in sé e intorno a sé anche un'idea di movimento, o in ogni caso un porsi il problema del movimento, da cui dipende anche l'introduzione di una dimensione narrativa nella descrizione delle città.

In Armilla c'è un movimento ascendente impresso dall'acqua che sale nei tubi e si prolunga nei fili scintillanti nell'aria, ripreso poi nelle braccia sollevate delle giovani donne. L'immagine della città rimane viva e sospesa in una felice leggerezza, nella sottrazione di peso suggerita dall'immagine stessa di città senza muri, e dal movimento verso l'alto. In Argia il problema del movimento è fondamentale, nonostante o appunto perché rimane imprecisato: «se gli abitanti possano girare per la città, allargando i cuniculi dei vermi (...) non lo sappiamo.» È un'immagine del movimento che precede di poco il soffocamento e l'immobilità. La città di Lalage menzionata nella cornice (p. 80) è un meraviglioso esempio di una città-immagine estremamente «breve», fatta di luce, leggerezza e movimento: «città dai pinnacoli sottili, fatti in modo che la Luna nel suo viaggio possa posarsi ora sull'uno o sull'altro o dondolare appesa ai cavi delle gru.»

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II movimento è importante, soprattutto nelle città che si fondano su immagini, perché comporta l'introduzione di forze che agiscono nell'universo delle immagini, contribuendo con la dimensione temporale a rendere più ampia la gamma delle letture possibili.

Altre città-immagine sono Ottawa, la città ragnatela:

Cè un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c'è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s'intravede più in basso il fondo del burrone, (p.81)

Si noti la quasi metafisica visione della città sospesa sull'abisso, ottenuta soprattutto tramite il disegno suggestivo e pure preciso del vuoto che si apre sotto la città nelle ultime tre righe. Gli elementi di gioco e di quotidianità abbinati alla visione metafìsica si snodano lungo il divertente elenco delle cose che pendono dalla città; da scale di corda e amache, a lampadari e a vasi con fogliame péndulo! In tal modo la città di Ottavia offre un esempio concentrato di innesto tra immaginazione visiva e immaginazione linguistica («il fogliame péndulo» tra l'altro), che, tutt'e due - in felice visibilità e gioco - trascendono ogni significato razionale che possa assumere il commento tra asciutto e filosófico del narratore:

Sospesa sul abisso, la vita degli abitanti d'Ottavia è meno incerta che in altre città.
Sanno che più di tanto la rete non regge.

- lasciando il lettore in bilico tra le immagini e una spiegazione «razionale». Dalla città di Bauci (p. 83), che si solleva invece sopra la terra costruita su pali o trampolini, rimane impressa nella visione mentale del lettore un'altra immagine metafìsica, quella degli abitanti che con canocchiali e telescopi puntati in giù passano in rassegna la terra «foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza».

L'appello così vivo dell'immagine fantastica all'immaginazione del lettore si fonda su una sorprendente alterità e una nitida visibilità che insieme fissano l'immagine nella sua iconicità non traducibile e non riducibile a enunciati univoci e spesso neppure a enunciati tout-court. Nello stesso tempo, fondendo visione e movimento e basandosi spesso su elementi primordiali quali la sorgente delle acque, il buio della cava ecc., l'immagine fa leva su sensazioni e sentimenti elementari. La città di Armilla trasmette una sensazione di gioia, di luce, un'idea di gioco; ma nessun enunciato, a quanto mi sembra, trascende l'immagine. In tal modo la strategia ci riconduce sempre, dopo i tentativi di interpretazione, a un nuovo percorso della città.

III: Percorsi nell'universo testuale

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II testo organizza il suo aprirsi al lettore fondamentalmente in due modi complementari: 1) tramite la potenzialità significante delle singole città e le loro strategie di appello e 2) tramite le strategie che invitano a esplorare la mappa di tutte le città percorrendo molteplici e ramificati sentieri di collegamento tra singole città e tra descrizioni di città e riflessioni contenute nel dialogo della cornice. Naturalmente non si intende negare l'importanza del percorso già stabilito dallo svolgersi lineare del testo, ordinato anzi in un disegno molto elaborato coll'alternarsi dei dialoghi tematici della cornice e «l'intreccio» dell'organizzazione delle città. Tale intreccio crea vari movimenti tematici che, partendo dal collegamento iniziale del desiderio e della memoria arrivano alla costellazione finale della dissoluzione, della morte e dell'utopia. Anche il dialogo della cornice svolge un percorso di riflessioni, soprattutto di poetica, dal discorso iniziale intorno a problemi di comunicazione e di significazione, alle discussioni sulla possibilità di un modello generativo di forme di città, e al discorso finale sulle città dell'inferno e l'utopia.

Tuttavia è evidente che il testo in molti modi, simboleggiati nella struttura di Smeraldina, invita il lettore a sperimentare anche altri percorsi. La strategia fondamentale consiste nell'assenza di una spinta univoca che costringa il lettore a percorrere l'universo testuale in una direzione precisa, un'azione per esempio a cui possa rimanere legata l'attenzione del lettore. Non si può parlare di azione nemmeno nella situazione della cornice; siamo anzi subito introdotti in uno spazio mentale al presente, senza precisazioni di tempo raccontato e con pochissimi elementi per una descrizione della situazione, che verranno sospesi poi col procedere del testo. Una altra strategia chiaramente indicata nel testo consiste nell'invito a leggere le cinque città di uno stesso ciclo tematico come un nucleo tenuto insieme proprio dalla denominazione uguale delle città, seguendo la loro numerazione o un percorso libero, per analizzare e sperimentare la loro essenza di forme e di immagini; e riflettere sulle loro domande, è la strategia in parte seguita in questa lettura. Leggere per esempio le cinque città continue, il cui «disegno» consiste nella mancanza di disegno; sono le città-zuppa, con il ritorno dell'immagine che nel Cavaliere inesistente indicava la nausea esistenziale. Esse formano la sequenza più facilmente trasponibile alla nostra realtà, pur in visioni splendidamente icastiche, come quella di Pentesilea, della moltitudine di visi rotondi, inespressivi che masticano maïs...

Altri percorsi portebbero consistere nella ricerca di città costruite con gli stessi elementi, città-acqua per esempio (Isaura, Armilla, Valdrada...); o di città che possiedono le stesse qualità: città felici o infelici, città leggere (sono per esempio le città sottili) e le città che più splendono nell'irriducibilità delle immagini; oppure individuare città organizzate secondo un disegno uguale o somigliante, per analizzare il valore simbolico o gli interrogativi di tale disegno, come è stato fatto in parte in quest'articolo.

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Potremmo cercare le tracce deiTautore sulla sabbia délia scrittura, e trovarle per esempio nella città di Isidora che corrisponde ai sogni del narratore, ma alla quale arriva troppo tardi: la città non lo contiene gjovane; egli è seduto sul muretto, insieme ai vecchi, a guardare la gioventù: «i desideri sono già ricordi» (p. 16); o in Bauci, i cui abitanti contemplano affascinati la propria assenza dalla terra. Cosi deve aver fatto Pasolini, quando in una recenzione dice che Le città è l'opéra di un vecchio che ha visto passare la vita. Aggiunge perô che è anche il libro di un ragazzo: «Solo un ragazzo puô avère da una parte un umore cosi radioso, cosi cristallino, cosi disposto a far cose belle, resistenti, rallegranti; e solo un ragazzo, dall'altra parte, puô aver tanta pazienza...»

Fra i grandi «discorsi» delle città chiudiamo con un accenno al discorso sull'utopia svolto dalle città nascoste, tramite il loro disegno a scatola cinese, immagine del pensiero di Calvino sull'utopia pulviscolare come è stato formulato nei saggi su Fourier contemporanei all'elaborazione de Le città, in cui Calvino parla dell'utopia come «città che non potrà essere fondata da noi ma fondare se stessa dentro di noi, costruirsi pezzo per pezzo nella nostra capacità d'immaginarla...» (Una pietra sopra, p. 252). Molti sarebbero ancora i possibili percorsi; qui si è voluto solo indicarne alcuni, a titolo di esempi. Preme invece sottolineare che Le città invisibili è uno fra i pochissimi testi narrativi che realizza, con grande effetto poetico, una rottura col romanzo realistico, quella rottura che tanti modernisti hanno invano tentato di realizzare. In questo senso segna una svolta nella letteratura italiana.

È un'opera aperta: al lettore il testo offre la potenzialità dei suoi significati
e dei percorsi molteplici. L'utopia risiede nell'effetto che forse può scaturire
dall'incontro tra mondo del testo e mondo del lettore.

Lene Waage Petersen

Università di Copenaghen



Note

1. Elio Gianola: Modalità del fantastico nell'opera di Calvino, in: Italo Calvino, la letteratura, la scienza, la città. Atti del Convenio nazionale di studi di Sanremo. Genova, 1988. - Enrico Ghidetti: II fantastico ben temperato di Italo Calvino, in: Italo Calvino. Atti del Convegno internazionale, Firenze 1987. Milano, 1988.

2. Maria Corti: Viaggio testuale. Torino, 1988.

3. Cito dall'edizione I nostri antenati. Torino, 1960.

4. Italo Calvino: Lezioni americane. Milano, 1988.

5. Cito dalla prima edizione. Torino, 1972.

6. Ho trovato il riferimento alla lettura di Pasolini nell'articolo di Aldo Rossi: La semiologia, in: I.C. Atti del Convegno intemazionale, op. cit. p. 257, da cui cito. L'articolo di A. Rossi e quello di B. Squarotti nello stesso volume contengono letture ampie de Le città.

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Riassunto

In un momento centrale dell'opera narrativa di Italo Calvino il modo fantastico sembra legato a una tensione verso l'utopia, la quale tensione utópica trova un suo spazio possibile nell'incontro tra la polisemanticità dell'immagine fantastica e i percorsi possibili nel mondo testuale offerti al lettore. Nella prima parte di questo saggio si tenta di circoscrivere alcuni punti fondamentali dello svilupparsi di questa dimensione utopico-fantastica, nell'ambito della narrativa fantastica di Calvino; la seconda parte propone invece un'analisi e una lettura delle strategie di apertura e dei percorsi possibili di un unico testo: Le città invisibili.