Revue Romane, Bind 20 (1985) 2

Giuseppe Antonio Camenno: Italo Svevo. UTET, Torino, 1981. 492 p. Elio Gianola: Un killer dolcissimo. Genova, 1979. 358 p. Gabriella Contini: Le lettere malate di Svevo. Napoli, 1979. 150 p.

Lene Waage Petersen

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Giacomo Debenedetti, uno dei primi grandi critici che si sono occupati dell'opera di Svevo, intitolò già nel 1929 un suo saggio Svevo e Schmitz, nell'intento di districare alcuni fili della contorta trama che lega l'uomo Aron Hector Schmitz al personaggio-autore Italo Svevo. Da molti anni questa problematica è centrale nella critica sveviana. Vorrei qui commentare tre recenti e molto diversi approcci alle intricate relazioni tra vita e scrittura nel grande romanziere

"Vita e opere", un tempo un titolo quasi obbligatorio per monografie di artisti; in apparenza un accostamento semplice; in realtà ci si trova presto di fronte a gravi problemi metodologici, se si cercano fra quei due poli rapporti che esorbitino da una mera ricostruzione storica. Si incorre soprattutto nel pericolo di voler spiegare l'opera con la vita. Ora, nessuna vita, per quanto ricca, profonda, o neurótica spiegherebbe la nascita di un'opera d'arte. Ma a percorrere le relazioni nella direzione opposta, l'opera è certamente intessuta dalle esperienze esteriori ed ulteriori, dai sogni e fantasmi del suo autore, come pure del materiale culturale dell'epoca. Sono le opere che ci importano, per le loro visioni dell'esistenza, i loro mondi alternativi, l'esperienza estetica. Ma la nostra lettura, sia quella del lettore "spontaneo", sia quella del professionista, la lettura critica, vive in un equilibrio precario tra un punto di vista filologico-storico che focalizza sull'asse testo-ambiente/autore - e una lettura diretta che focalizza sul rapporto immediato tra testo e lettore attuale.

Nel caso di Svevo i rapporti sono specialmente intricati e paradossali: "io sono colui che descrissi, non colui che visse" dice uno degli ultimi personaggi sveviani. La scritturazione della vita è tema costante in Svevo, e si ripercuote su tutto quello che scrive, anche le lettere per esempio. Le grandi opere di Svevo, i due romanzi soprattutto, Senilità e La Coscienza di Zeno trattano del pulsare cosciente/incosciente dei desideri - e le relazioni di crisi fra queste strutture dell'animo e il mondo esterno, la società in un dato momento storico. La critica sveviana ha messo in luce il punto di partenza estremamente autobiografico di questa analisi della coscienza moderna, nella coincidenza di elementi sia esteriori che interiori. Basta accennareal tema dell'ultima sigaretta, costantemente presente nella vita di Svevo prima di diventaretema

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taretemacentrale nello splendido capitolo della Coscienza. In Svevo quasi tutto il materiale "non-fittivo", le lettere, le annotazioni ecc. sono già studi dei meccanismi della coscienza, sono già tematizzati; non sono solo documenti della vita, si avvicinano alle opere letterarie. Il personaggio-autore è molto più vicino e sperimentabile per il lettore che non il signor Schmitz della vita reale. Tra l'impiegato Schmitz e il personaggio-autore così come emerge dalle opere, non esiste materiale per definire "l'uomo di cultura" Italo Svevo, non esistono discussioni con letterati, riflessioni sull'arte ecc. che non siano soggettivamente legate alla tematica profonda dell'opera. Si può dunque tentare una ricostruzione storica della vita di Svevo; delineare una sua biografia interiore, intessuta com'è nelle opere, diventa un compito molto arduo e delicato.

C. A. Camerino ha tentato l'impossibile presentando nel 1981 la prima grande biografia di Svevo. Il libro si basa chiaramente su molto materiale già conosciuto e pubblicato: l'epistolariocon le importanti lettere alla moglie, i carteggi con gli amici letterati in Francia, con Joyce e Montale, e i vari scritti di carattere autobiografico. Importanti fonti per gli anni della gioventù e della formazione sono il diario del fratello Elio, nonché la biografia della moglie (del 1951) che diffonde la luce dolce e stilizzante della memoria sulla vita di Svevo e la loro convivenza. In appendice si pubblicano tre lettere inedite, e un articolo, inedito, su Trieste, del 1928. Se dunque non è emerso molto materiale nuovo dalla mano di Svevo, e non era lecito aspettarselo, il libro di Camerino poggia su ampie ricerche di archivio e uno studio approfondito del materiale esistente. Si possono individuare tre linee direttrici nel libro: 1) la ricostruzione storica dell'esistenza di Svevo, presentata con ampia e spesso ineditadocumentazione; per esempio di carattere economico; i dettagli del fallimento del padre, le speculazioni di Svevo sulla borsa, la storia dell'entrata tormentata nella ditta dei suoceri. Lo stile un po' asciutto di C. si fa quasi epico nel raccontare delle vicende di casa Veneziani, e i dettagli arricchiscono la nostra comprensione dell'ambiente commerciale nella vita/opera di Svevo. Interessante anche il peso dato all'origine ebraica di Svevo, e il suo apparente disinteresse, o omissione di questo fatto. L' influenza dell'origine ebraica consiste soprattutto nell'assenza di eredità cristiana nell'opera, assenza dell'immaginario e della psicologia cristiani; e perciò, come lo rileva anche il C, in una disposizione intellettualee psicologica per il déracinement che caratterizza tanta della grande letteratura mitteleuropeo-ebraicadel primo Novecento. La seconda linea seguita da C. consiste nella ricostruzionedi un quadro della cultura triestina dell'epoca, sempre con ampia documentazione; e in vari punti riesce a correggere le sue fonti, tra l'altro l'immagine che ci da la moglie Livia di uno Svevo giovane, ferventemente irredentista; - per rispondere alla domanda sovente posta dai critici, per esempio nel libro charmant di Charles Russell, se la cultura triestina possedesse dei tratti innovatori tali da "spiegare" la nascita di grandi scrittori come Svevo e Saba, e più tardi Slataper e Michelstâdter. La risposta di C, al contrario di Russell, è sostanzialmentenegativa: sarebbe stato Svevo, semmai, a dare un'impronta mitteleuropea a Trieste, e non vice-versa. Dal materiale presentato sembra che C. possa aver ragione, la cultura ufficiale di Trieste era sostanzialmente tardo-romantica, patriottica e arretrata. Ma mi pare che uno scrittore come Claudio Magris abbia colto meglio, nei suoi vari saggi su Svevo, e nel suo libro su Trieste, quella che doveva essere l'ambivalenza fondamentale della cultura triestina, la sua doppia anima: tra questa arretratezza, e fermenti nuovi difficili da afferrare, ma presenti per menti disponibili e sensibili, come appunto Svevo. 3) C. ambisce naturalmente anche a scrivere una biografia interiore di Svevo, la storia dello svilupparsi

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delle sue idee, l'influsso di Schopenhauer, di Darwin e Freud (di cui C. sostanzialmente nega ogni influsso diretto sullo scrittore triestino); a seguire l'evolversi dei grandi temi nelle opere, facendo vedere come la vita s'intrecci nei testi letterari. A mio avviso si tratta della parte meno interessante del lavoro di C, soprattutto per quanto riguarda le analisi delle opere letterarie, e mi sembra che una delle ragioni fondamentali del senso di delusione che il lettore riporta da questa parte del libro sia da cercare nella mancanza di sensibilità all'ironia di Svevo, alle fondamentali ambivalenze e alla polisemia della sua scrittura. Per esempio in relazione all'ambiente borghese commerciale in cui Svevo viveva. C. sottolinea con ampia documentazionela figura dell'anticonformista nel periodo precedente il matrimonio, mentre è molto meno sensibile all'ironico conformista che si delinea a partire dal matrimonio - l'uomo per cui "l'amabile superficialità della vita borghese diviene il velo steso sapientemente ad occultarel'inesistenza di una vita intensa e profonda" (Magris).

Il libro di C. ci da la più completa descrizione della vita di Svevo finora esistente, la sua importanza sta nell'ampia documentazione raccolta e la scrupolosa ricerca storica su cui si basa. La parte iconografica del libro avrebbe potuto essere più elaborata: forse ciò dipende dal fatto che è uscita, sempre nel 1981, una Iconografìa sveviana, a cura di Bruno Maier e della figlia di Svevo, Letizia Svevo Fonda Savio. Comunque, il bellissimo ritratto che chiude il libro esprime a meraviglia la visione amabilmente ironica e desillusionata dell'ultimo Svevo.

Elio Gianola, nel suo libro Un killer dolcissimo, imposta i rapporti tra vita e opera in modo completamente diverso. La sua "biografia" è una iettura su basi strettamente freudiane di tutti i "testi" della vita di Svevo: biografia esteriore, lettere, romanzi, annotazioni ecc. Il libro costituisce a mio avviso, un'interessante analisi delle forze psichiche che si manifestano nei testi sveviani: contribuisce in tal modo alla nostra comprensione della biografia psicologica di Svevo, ma anche, ed è importante sottolinearlo, alla nostra comprensione delle forze e desideri motori dell'opera, e le strutture che essi assumono nei testi.

Nei primi capitoli G. espone il suo metodo e la sua tesi in discussione (e polemica) con 1) le teorie del noto critico freudiano italiano Francesco Orlando e 2) la lunga tradizione di studi critici di argomento psicanalitico in rapporto a Svevo. In varie opere, per es. in Per una teoria freudiana della letterature, 1973, Orlando è venuto elaborando una teoria di critica letteraria strutturalistica, ispirata a Freud. Non si tratta, seconco Orlando, di ricavare dall'opera di Freud elementi per una corretta psicologia dell'autore, "quanto piuttosto modelli attinenti alla coerenza interna di un linguaggio che, per ipotesi, ha qualcosa da spartire con l'inconscio umano" (op. cit. p. 8). Per lui è importante la distinzione, non sempre fatta da Freud, tra linguaggio non comunicante (i sogni) e linguaggio comunicante (il motto di spirito, per es. o le opere letterarie). Orlando definisce il fenomeno letterario: "Un ritorno del ripresso reso fruibile per una pluralità sociale di uomini, ma reso innocuo dalla sublimazionee dalla finzione" (ibid. p. 25). Il ripresso ritorna nella figure (metafore, simboli ecc.) laddove il rapporto tra significato e significante non è trasparente. Il compito del critico è di individuare questi nodi di figure, descrivendo un linguaggio e portando alla luce il ripresso individuale e collettivo. Per quanto interessanti le analisi di Orlando (di Phèdre per es.) e criticamente persuadente l'idea di attenersi alle sole opere, mi sembra che il ritorno di G. a una visione biograficamente globale dei meccanismi psichici, almeno per quanto riguarda il caso di Svevo, sia completamente giustificata. Gianola non solo riesce a darci quello che credo (ma non ho competenza in materia) una lettura corretta (in termini psicanalitici) della nevrosi descritta da Svevo: partendo da questa base ci fornisce anche i mezzi per una più

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sicura valutazione della presenza di elementi psicanalitici nella Coscienza.

Ciò ci riporta al rapporto del libro di Gianola con la lunga tradizione critica che si è occupata di psicanalisi in relazione a Svevo. Il problema dei rapporti storici si può dire esaurito con gli studi di Michel David, Saccone e Lavagetto; le letture della Coscienza in termini psicanalitici sono molte: anche qui spiccano gli studi di Lavagetto e di Saccone. E un terreno estremamente infido, data l'ironia e le ambivalenze del testo in proposito. Si va dall'affermazione di Pouillon: La Coscienza è il primo romanzo psicanalitico! alla più sottile e acuta proposta di Gianola, secondo il quale il romanzo sarebbe piuttosto la storia di una resistenza alla psicanalisi. Il libro di G. si conclude con una lettura della Coscienza, ma l'intento è più ampio: definire i meccanismi psichici che sono alla base di tutti i testi sveviani. Secondo G. in termini tecnici è la descrizione di una nevrosi isterica che emerge dai testi. Gianola ha pubblicato uno studio sull'altro grande romanziere e grande neurótico del Novecento, Carlo Emilio Gadda (L'uomo dei topazi). E interessante confrontare la sua descrizione di questi due scrittori così diversi.

I capitoli del libro di G. vertono su 1) la scissione tra madre buona e madre cattiva, 2) omnipotenza e gelosia (Svevo è un pittore feroce e impietoso della gelosia, basta ricordare le pagine in Senilità in cui Emilio, durante un convegno amoroso, scopre ed insegue le tracce degli altri amanti nel modo di parlare e di comportarsi di Angelica), 3) la figura del rivale (e il lettore si ricorderà p. es. dei personaggi di Balli, di Guido, nonché il padre ed il suocero nella Coscienza. 4) il meccanismo della rimozione, che ci porta dentro al cuore dei meccanismi della coscienza, studiati nei libri. Emerge una struttura psichica visibile nei conflitti fondamentali, sempre ritornanti, nella narrativa sveviana: un'eterna quadriglia tra due uomini e due donne: il protagonista debole, inetto di fronte al rivale sano e forte; la madre buona, dolce di fronte alla donna come oggetto della rivalità erotica. La quadriglia si ripete e si varia con diversi personaggi nei ruoli fissi. La ragione per cui un'analisi come quella di Gianola da un contributo importante alla lettura dei testi letterarie è da cercare nel fatto che la malattia, si chiami inettidudine, senilità o malattia dei nervi, costituisce il tema fondamentale dell' opera di Svevo.

La nevrosi non è solo individuale: "nel senso più lato del termine è il modo storico della
sofferenza dei figli artisti della tarda età borghese", dice G. Qui sta la grandezza e la modernità
di Svevo, ma qui si ferma anche il libro di G.

Gabriella Contini ne Le lettere malate di Svevo ci offre un terzo approccio alla scrittura autobiografica sveviana. Confesso subito di sentirmi più vicina al suo metodo, cioè l'indagine di tipo strutturalistico-semiotico dei fenomeni letterari, in casu delle strutture narrative. L'originalità della Contini sta nell'aver condotto una siffatta analisi letteraria sul materiale autobiografico delle lettere. Nel corpus epistolario di Svevo la Contini sceglie di occuparsi delle lettere che coprono l'arco di tempo che va dalla pubblicazione di Senilità nel 1898 al 1922, l'anno di pubblicazione della Coscienza di Zeno: mentre non prende in esame i vari carteggi con gli amici letterati (Joyce, Montale, Jahier), tutti scritti più tardi, e d'altre parte già oggetto di studi speciali. La scelta è condizionata dalla tesi molto interessante e convincentedella Contini: che le lettere costituiscano una delle attività letterarie cui Svevo si dedicavaper continuare a sviluppare le sue analisi narrative, nei cosidetti "anni di silenzio" tra i due grandi romanzi, e che nelle lettere "sia possibile individuare su scala ridotta e verificare in vitro lo spiegarsi dei procedimenti di costruzione sveviani" che portano verso il grande romanzo, di modo che si potrebbe quasi concludere che la scrittura della Coscienza, più che

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il risultato di una travolgente ispirazione, sia un lavoro di "montaggio" di elementi già preesistenti.Le due affermazioni non si contradicono, e il libro della Contini dimostra, con molti esempi e analisi convincenti, la fondatezza del guardare alle lettere di questo periodo come a una continua ricerca di procedimenti narrativi. Valga come esempio il famoso tema del fumo, una delle ossessioni dominanti nell'epistolario. La conclusione della C. che il tema si riveli "non analizzabile autonomamente, ma sempre collegato...ad altri temi fondamentali, quali la malattia, la gelosia, la vecchiaia, la sfida a se stesso, il fallimento" (p. 36), non è naturalmente una intuizione nuova, come non lo è nemmeno l'accostamento della famosa "Cronaca della famiglia" del 97 a alcune delle pagine più significative della Coscienza (già osservato molti anni fa da Sandro Maxia), ma è la prima volta che l'epistolario in toto viene visto in questa luce, e le dimostrazioni e le analisi rigorose della C. confermano la validità di questo approccio.

Altre analisi sono dedicate all'apparizione nelle lettere della moglie "donna bionda", e al valore tematico che assumerà la parola biondo, sinonimo di sano, integrato, normale. Il metodo produce risultati nuovi nei dettagli, come per esempio nella lettura del personaggio Nella, la cognata di Svevo, vista come figura costruita secondo moduli narrativi da cui prenderà spunto il personaggio di Ada nella Coscienza. Un ultimo capitolo pieno di acume è dedicato ai molti personaggi Schmitz. Gli scritti della Contini (ha pubblicato anche un importante studio sul Quarto romanzo di Svevo (1980) e sulla Coscienza di Zeno II romanzo inevitabile (1983) che non rientrano in questa prospettiva) sono tra i saggi di critica sveviana più stimolanti degli ultimi anni.

Copenaghen