Revue Romane, Bind 19 (1984) 2

Palle Spore

Palle Spore

La parola chiave di questa eccellente monografía a carattere strutturalista è "coerenza": più un membro della frase s'avvicina sintatticamente al membro verbale, nucleo della frase, più è grande la coerenza fra i due. La Nostra presenta (p. 24-25) i gradi di coerenza: 1) membri che "dipendono direttamente dal membro verbale" (soggetto, oggetto ecc), 2) membri che "sono retti da membri subordinati al membro verbale" (cioè ad esempio l'attributo all'interno di un oggetto), 3) membri che "sono subordinati alla frase intera: membri avverbiali della frase". Ecco un'innovazione analitica importantissima. Ma si tratta anche di un progresso? Lo scopo delle mie osservazioni è appunto quello di discutere certi aspetti particolarmente controversi.

Il primo grado di coerenza comprende sullo stesso piano l'oggetto preposizionale e l'avverbio verbale (p. 174 sgg.), mentre l'analisi tradizionale li distingue, opponendoli all'oggetto "diletto" (capace di essere accompagnato da uno degli "introduttori" a, di, da o zero). La distribuzione fra i tre si dimostra attraverso la sostituzione sostantivale, avverbiale o pronominale, com'è noto. - La N. si dichiara giustamente scettica sul valore di questo criterio perche lo considera difficümente maneggevole. Penso tuttavia che mantenga la sua validità nella misura in cui si accetta la sostituzione doppia o complessa. Perciò l'analisi dell'esempio a p. 175 non mi trova consenziente: "E' vero che si possa dire: Dove hai imparato a parlare così bene l'inglese? L'ho imparato a Cambridge. Se si tratta di lo (= ogg.) (...) potrebbe rimandare a l'inglese." D'accordo, perché la parola è maschile, forma utilizzata anche per la funzione di neutro, ma se la sostituiamo con quella lingua, l'accordo del participio nella risposta ci indica il referente di /'. — La N. propone che a introduce sempre l'infinito creando una aplologia quando il verbo reggente si costruisce con la stessa particella: abituarsi a + a scrivere - abituarsi a scrìvere. Tale analisi è accettabile per a, ma non quando il verbo si costruisce con di.

L'oggetto e il predicato possono secondo la N. far parte o meno del sintagma verbale (SV) secondo la coerenza più o meno pande tra verbo finito e oggetto/predicato. Conto entrerebbe nel SV in far conto di ma non in fare il conto (p. 46), essendo qui decisiva l'assenza o la presenza dell'articolo. Per certi oggetti, questa analisi è certo accettabile, ma non per il predicato in sono sicura di capirti (p. 25). Qui, la N. considera di capirti

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oggetto (preposizionale) del SV. Però, l'insieme agg. + sintagma preposizionale è un costrutto che riempie anche altre funzioni (attributo, predicato libero ecc.) tanto che la coerenza fra sicura e di capirti diventa più grande di quella esistente fra il verbo e sicura. A mio avviso il predicato è sicura di capirti, che sta in funzione di solidarietà con sono.

Fra gli elementi che possono far parte del SV, la N. ricorda anche le forme infinite del verbo (p. 25), non solo il participio passato (dei tempi composti), ma anche il gerundio (sto cantando) e, magari, l'infinito, per lo meno quando accompagni un verbo modale. Chiunque debba attribuire un verbo finito a cantato una canzone, non avrà possibilità di scelta: bisogna servirsi di una forma di avere (per altri verbi, si tratterebbe di essere), mentre per il gerundio, c'è la scelta fra i tre verbi andare, venire e stare. Per l'infinito, cantare una canzone, oltre ai verbi modali, se ne possono avere anche altri come preferire, osare e intendere. Mi sembra dunque difficile mettere le tre forme infinite sullo stesso livello, e preferisco senz'altro spostare l'infinito oggetto di un verbo fuori del SV. Ma riconosco che l'uso dell'ausiliare favorisce l'analisi della N.: la differenza fra ho dovuto parlare e sono dovuto partire si spiega perfettamente se si dice che l'inf. fa parte del SV. Comunque bisognerebbe allora andare ancora più avanti: si sa che, attualmente, si dice con una frequenza sempre più grande ho dovuto partire, cosa che potrebbe spiegarsi con un'evoluzione analitica, per cui l'inf. abbandona il SV per costituire un oggetto al di fuori. In questo campo, l'ultima parola, certo, non è ancora detta.

Questo problema ci conduce direttamente a quello del nexus, termine non ammesso dalla N. per l'italiano. Secondo me, il nexus esiste in italiano moderno, ma la sua definizione è differente da quella del nexus francese. In quella lingua, la differenza tra frase e nexus è netta: il nexus non comprende un verbo finito nel predicato, ma entrambi hanno un soggetto (a parte le frasi imperative). In italiano, ciò che caratterizza il nexus è la presenza obbligatoria del soggetto, membro facoltativo nella frase. Una riprova ne è la frase citata a p. 26: Finita la guerra, amava continuarla nella lotta politica, dove è impossibile omettere il soggetto la guerra. Così anche nel predicato libero, per esempio // professore avanzava, le mani nella tasca. Secondo me, la N. sbaglia nel dire che ogni tipo di soggetto è facoltativo in italiano; ciò avviene solo per il soggetto della frase.

Un inf. facente parte di un nexus s'incontra principalmente quando il nexus è l'oggetto
di uno dei gruppi verbali seguenti: 1) fare/lasciare, 2) verbi di percezione, 3) verbi di opinione
(verba dicendi aut putandi).

Nel primo costrutto, la N. analizza il membro nominale come oggetto del gruppo fare/ lasciare + inf., da una parte perche è l'inf. il portatore del vero significato (fare essendo soltanto un "modificatore semantico"), d'altra parte perché è possibile non esprimere il soggetto logico dell'ini., (ha allora il senso "non animato", cioè del francese on). Questi due argomenti mi sembrano di scarso valore, il primo perché basato sulla semantica (pur "subordinata alla sintassi": p. 16), il secondo perche è più semplice stabilire che l'oggetto di fare/lasciare può manifestarsi in due maniere: un nexus quando il soggetto è preciso e un sintagma infinito quando il soggetto è generale. Alla domanda Che fai con i bambini?, la risposta Faccio cantare è impossibile; bisogna aggiungere un pronome: Li faccio cantare. Ma alla domanda Che fanno i bambini?, la risposta Cantano è normale. — Ciononostante riconosco che l'analisi proposta dalla N. spiega perfettamente le costruzioni passive del tipo La macchina sarà fatta riparare domani (p. 69). Altro argomento in favore di quell'analisi (non allegato a quel proposito) : in queste costruzioni, l'inf. precede sempre il suo soggetto espresso: Ho fatto arrivare il treno.

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Invece, con un verbo di percezione, si può dire Ho visto arrivare il treno e Ho visto il treno arrivare. Non è strano che la N. ponga l'inf. fuori del SV. Ella dice che costituisce il predicato dell'oggetto, il che significa che siamo quasi d'accordo. Infatti cos'è il predicato dell'oggetto se non il predicato di un nexus in funzione di oggetto?

Finalmente, retti da un verbo di opinione, l'inf. e il suo soggetto espresso (I + S) costituirebbero secondo la N. un insieme senza essere un nexus. La sua argomentazione è delle più complesse. In due parole, prende come punto di partenza i casi in cui l'articolo definito precede I + S e pretende che questo articolo con cerna solo l'inf., dunque che si tratti di un inf. sostantivato. Però mi sembra altrettanto possibile analizzare l'articolo come determinatore dell'insieme I + S. - L'analisi della N. ha per effetto - poco felice — che in una frase come Ha dichiarato essere necessario questo comportamento, bisogna sottointendere un "oggetto latente" del verbo reggente, trattandosi non "di un'ellissi vera e propria, ma di un elemento-oggetto, contenuto nella stessa radice del verbo" (p. 298), e I + S si aggiungerebbe a questo oggetto latente come attributo (piuttosto apposizione secondo me). E' difficile non pensare alla "struttura profonda", in cui la N. ha tuttavia dichiarato di non poter condividere la "fede" (p. 17).

Mi sembra molto più semplice l'analisi "tradizionale", cioè quella esposta a proposito dei verbi modali. L'unica differenza si troverebbe nel costrutto del sintagma infinitivo oggetto di questi verbi (cioè quando il soggetto non è espresso): dopo un verbo modale, l'inf. è senza introduttore {voglio cantare), mentre si usa di dopo un verbo di opinione {dichiaro di essere pronto).

Mi sono limitato a rilevare certi punti che mi sembra si prestino particolarmente a discussione. Un'analisi approfondita di tutti gli aspetti di cui è ricco questo libro degno di ammirazione, oltrepasserebbe i limiti di un rendiconto. Soprattutto le analisi dei dettagli sono insigni. Su un punto mi piacerebbe sottolineare l'originalità di tutto un capitolo, cioè quello che tratta dellìnf. sostantivato (Cap. X). Contrariamente al francese che conosce un solo tipo di sostantivazione, l'italiano ne conosce due: la sostantivazione totale e quella parziale, quest'ultima ancora divisibile in quattro sottogruppi. Bisogna complimentare la N. per aver descritto con una minuzia esemplare questa particolarità importantissima.

Ho detto che ia parola chiave del libro è "coerenza", e dopo la lettura delTintercssaiitisaiina prcsentazioiic iniziaic (benchc discutibilc in alcune sue affermaziom), ci si aspetterebbe una conclusione che mostri corne, a paitire dalle analisi "pratiche", la teoria esposta si confermi superiore a quella tradizionale. Purtroppo, la si cerca invano.

Questo rimprovero, però, non vuole sminuire l'eccellenza di questo libro. Bisogna felicitarsi non solo con la Nostra per essere riuscita a condurre in porto un argomento tanto arduo e ponderoso, ma anche con tutti gli italianisti per essere d'ora innanzi in possesso di un'ulteriore e superlativa monografia nel campo della grammatica italiana.

Odense