Revue Romane, Bind 19 (1984) 2

Ebbe Spang-Hanssen

Ebbe Spang-Hanssen

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Alla base dello studio di Gunver Skytte c'è una teoria della coesione delle parole. Le numerose costruzioni che essa esamina nel suo grande libro sono classificate, principalmente, secondo il rapporto più o meno stretto che esiste tra il verbo infinito e il membro dal quale questo dipende.

Prendiamo un esempio semplice per illustrare il punto di vista:

1) Desiderava farlo

2) Desiderava che lo potesse fare

Sembra che il sintagma infinitivo di 1) adempia la stessa funzione che la completiva
di 2). L'infinito è il nucleo di una specie di frase come lo è il verbo finito della completiva.
Solamente, in 1), non c'è un separatore (che) che indica il limite tra la proposizione

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principale e quella subordinata. Vi è un più grande rischio di fusione dei sintagmi, rischio
accresciuto dal fatto che i due verbi hanno lo stesso soggetto. La fusione del veibo reggente
e dell'infinito è quasi completa nella frase

3) Lo posso fare

a proposito della quale ci si può domandare se ci sono due verbi o se c'è un solo verbo
composto.

Ritroviamo qui il vecchio problema della definizione del verbo ausiliare. Ma nella grammatica tradizionale, il problema è ridotto a quello di una scelta fra due, o al massimo tre, possibilità: 1) coesione stretta: verbo ausiliare + infinito, 2) coesione media: verbo semiausiliare + infinito, 3) coesione non stretta: due verbi indipendenti. Nello studio di GS, non c'è più scelta fra due o tre possibilità, ma una gradazione. La coesione di ogni verbo infinito con il membro che lo regge viene misurata, e questa misura serve a caratterizzare il costrutto.

Nel corso dello studio, GS dimostra la fecondità della sua ipotesi. Riesce a stabilire
molte distinzioni fra costrutti che superficialmente si somigliano, ma che devono essere
separati.

Prima di tutto, vorrei menzionare la sua analisi dell'infinito sostantivato, l'infinito meno dipendente, in un certo senso. Contrariamente all'infinito sostantivato del francese, quello italiano ammette spesso gli stessi complementi che il verbo finito (oggetto, oggetto indiretto, predicato, etc.): il solo pensare al lavoro da fare (p. 493). In certi casi si può parlare di una funzione verbale totale dell'infinito sostantivato, in altri casi questa funzione è più o meno ridotta. In generale, più numerosi sono i tratti nominali dell'infinito, più è ridotta la sua funzione verbale. GS distingue cinque tipi di nominalizzazioni, e dimostra in modo convincente questa relazione di reciprocità inversa tra l'estensione della funzione sostantivale e l'estensione della funzione verbale.

Molto interessanti sono anche le sue analisi delle varie forme, del cosiddetto accusativo
con infinito:

4) Lo faccio venire

5) Lo vedo venire

6) Dichiaro essere necessario questo comportamento

7) Dichiaro necessario ouesio comportamento

4), 5) e 6) rappresentano gradi diversi di coesione fra il verbo reggente e l'infinito. Dunque, questi costrutti non devono essere confusi. A differenza di 4), per esempio, il tipo 6) ammette: a) l'infinito composto, b) l'infinito essere e verbi modali all'infinito, e) un infinito negato. Non è del tutto nuova questa osservazione della varietà dei costrutti accusativo con infinito, ma GS propone interpretaziuni grammaticali interessanti dei vari tipi, interpretazioni basate su elenchi estensivi dei tratti caratteristici di ogni tipo. La differenza fra 6) e 7) è meno conosciuta: normalmente, nella letteratura grammaticale, 7) è considerato come una riduzione di 6). GS prova che questa spiegazione à inaccettabile.

Molti altri capitoli contengono osservazioni utili sull'uso dell'infinito, ma mi sento costretto ad esprimere anche qualche riserva quanto alla sistemazione basata sul concetto di coesione. Questa sistemazione è stata fatta, in certa misura, a detrimento della classificazione secondo le funzioni sintattiche. A GS non importa molto che un infinito preceduto da di sia un oggetto indiretto o un oggetto diretto. Così viene trascurata la distinzione fra di preposizione (si assicurò di aver preso le chiavi) e di segnale dell'infinito (dichiarò

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di meravigliarsi). Questa distinzione è spiegata solamente con una metafora (p. 33) e non
serve a gran cosa nell'analisi. Lo stesso vale per a.

E' sufficientemente fondamentale e preciso il concetto di coesione per permettere una classificazione razionale? Alla pagina 39 vediamo un elenco dei costrutti verbo + infinito, ordinati secondo il grado di coesione, ma come fare tale disposizione adoperando cinque criteri diversi, non ordinati, per misurare la coesione? Non tutti i criteri danno sempre lo stesso risultato.

L'anteposizione dei pronomi atoni è certamente un criterio utile per misurare la coesione: è possibile soltanto con verbi ausiliari o semiausiliari. Altri criteri utili enumerati nell'elenco a pagina 44: la prosodia, il posto della negazione, la valenza del verbo reggente. Per contro, due criteri spesso invocati nello studio di GS mi paiono difficilmente comprensibili: la forma semplice o composta dell'infinito e il fattore aspettuale.

E' vero che l'anteposizione dei pronomi è rara con l'infinito composto: ? lo posso aver comprato (p. 41), ma i verbi modali, anche quando formano una unità con l'infinito, ammettono facilmente le forme composte. E' vero che andare a non è mai seguito da una forma composta dell'infinito, ma l'ausiliare francese aller ammette le forme composte: il va être condamné. Dunque, non convince il ragionamento presentato come fondamento logico del criterio: "la forma composta dell'infinito, segno funzionale della differenza di tempo e/o di diatesi tra i due verbi in questione, in sé è sufficiente per indicare l'indipendenza intercorrente tra i due verbi in questione" (p. 41). In ho avuto c'è anche una differenza di tempo o di diatesi fra i due verbi.

Anche il criterio dell'Aktionsart non è chiaro. E' basato sull'osservazione che essere e i verbi modali non si usano in forma non finita in certi costrutti: 1) fare + infinito, 2) stare + gerundio, 3) il tipo: *lo ha dovuto volere. Invece, la stessa classe di verbi è precisamente quella che occorre nella costruzione dotta dell'accusativo con infinito. Abbiamo probabilmente qui una classe interessante, ma è difficile capire il rapporto tra questa osservazione e la teoria di GS sull'influsso dell'Aktionsart.

Secondo GS, essere e i verbi modali sono neutri davanti all'Aktionsart, e questo basta per spiegare che non possono figurare come verbo retto nei costrutti di unità (p. 41). In primo luogo, il tipo 3) è differente dagli altri. Un verbo modale, anche con pronome anteposto, può essere seguito da essere o un verbo modale (cf. p. 89). Ma più grave è che il concetto di 'neutralità' non fornisce una spiegazione. L'idea di GS è che nel costrutto di unità, per esempio si è potuto alzare, l'unità assume l'Aktionsart dell'infinito, che se manifesta nella scelta dell'ausiliare essere; in conseguenza, se l'infinito non ha un Aktionsart, allora non ci può essere costrutto di unità. Ma "neutralità davanti all'Aktionsart" non sembra essere la stessa cosa che 'l'inesistenza dell'Aktionsart". E perché non favorisce la neutralità il costrutto di unità? Non è evidente che l'assenza di un tratto specifico sia un impedimento a una unione. Di più, alla pagina 199, è invocata la neutralità di a + infinito per spiegare che andare + a + infinito forma una unità.

Non c'è dubbio che il concetto di coesione è utile nella scienza grammaticale. E non c'è dubbio che questo concetto ha guidato GS a esiti interessanti. Ma non è sempre chiaro quali cose possono essere interpretate come manifestazioni di coesione. Forse la coesione non è una misura sufficientemente sicura per edificare una grande tassonomia.

Copenaghen