Revue Romane, Bind 16 (1981) 1-2Lene Waage Petersen: Le strutture dell'ironia ne ha Coscienza di Zeno di Italo Svevo, Etudes Romanes de l'Université de Copenhague 20, Akademisk Forlag, 1979, 99 p.Claudio Magris Side 223
L'ultima pagina di Svevo, scrive Gabriella Contini in un suo recente bellissimo libro (11 quarto romanzo di Svevo, ed. Einaudi, Torino 1980), contiene l'addio di Zeno ed anche un ironico e doloroso commiato a una presunta pienezza di vita. In uno dei frammenti iniziati e interrotti alle soglie della morte, Svevo immagina che il vecchione - protagonista del quarto e appena abbozzato romanzo- stia per andare a letto, dove l'anziana moglie sta già dormendo un sonno torpido e greve nel quale si riassume, agli occhi del protagonista e dello scrittore stesso, l'ironica e segretamente orrida pesantezza della consuetudine coniugale. Mentre si spoglia, il vecchione pensa che è mezzanotte, l'ora in cui potrebbe apparirgli Mefistofele e proporgli l'antico patto, e pensa che egli sarebbe certo pronto a cedergli la sua anima, e subito, ma senza sapere cosa chiedergli in cambio: non la giovinezza, che è insensata e crudele anche se la vecchiaia è intollerabile; non l'immortalità, perché la vita è insopportabile, sebbene ciò non lenisca l'angoscia della morte. Il vecchione si rende allora conto di non aver nulla da chiedere al diavolo e si figura l'imbarazzo del povero Mefistofele, rappresentante di una ditta che non ha più niente di allettante da offrire. All'idea di Mefistofele che, nell'inferno, si gratta perplesso la barba, egli si mette a ridere, infilandosi intanto fra le coperte; semisvegliata da quel ridacchiare, la moglie accanto a lui borbotta, mezza addormentata: «Ridi sempre tu, anche a quest'ora. Beato te», tornando a scivolare nel suo ottuso sonno che chiude l'apologo. Quel riso e quel sonno sigillano l'estrema saggezza di Svevo, una saggezza che subito dissimula la disperazione nell'amabile mediocrità quotidiana e che costituisce una delle parole più inquietanti ed una delle ultime spiagge cui sono pervenute, nel nostro secolo, la poesia e la coscienza occidentale. Svevo smaschera radicalmente l'assenza di un fondamentoprimo dell'esistenza, di una base unitaria di valori su cui poggiare la propria Side 224
persona e in cui affondare le proprie radici. Svevo è il primo e più lucido interprete della negatività del pensiero, che non può più fondare l'unità del mondo né risolvere le caotiche contraddizioni del reale, ma scopre di essere il fermento stesso di queste contraddizioni, l'agente chimico che dissolve l'unità del mondo e del vissuto. Quando il cane Argo, nel racconto Argo e il suo padrone, vuoi porre ordine fra gli odori, la sua classificazione finisce per svelare l'assurdità di ogni tavola classificatoria, l'impossibilità di istituire un rapporto stabile fra una categoria e i suoi oggetti, lo svanire di ogni identità e di ogni unità, che si dissolve di continuo in sotto-unità sempre più piccole. Il pensiero di Zeno, ch'egli vede alzarsi ed abbassarsi davanti a lui - nelle prime righe della Coscienza - come l'onda di una vita che non gli appartiene, sa di essere soltanto il luogo in cui le lacerazioni del reale si scontrano e si sovrappongono senza risolversi. Nella sconnessa e conflittuale molteplicità della vita, l'individuo si avvede di essere unicamente una precaria e provvisoriacristallizzazione di quei conflitti e scopre di non poter più desiderare, di non aver più nulla verso cui protendersi con amore e nostalgia. L'individuo non ha più nulla da chiedere perché non c'è più un vero individuo, un soggetto capace di passioni, bensì - in sua vece - un oscillante fascio di percezioni, stati d'animo e rappresentazioni psichiche. Con quel poco che gli resta della sua personalità incrinata, quest'individuo si difende cercando di celare l'impossibilità del desiderio e della speranza, di nascondere il vuoto dietro la facciata delle convenzioni giornaliere e di mimetizzare alla superfìcie l'inesistenza della profondità. L'intelligenza può solo fingere, per sopravvivere, di non accorgersene, anche se il riso della conoscenza prorompe forte e disincantato. Svevo è un grande poeta di questo disincanto che percorre, lucido e struggente, la letteratura del Novecento. La sua ironia dissimula e insieme rivela le crepe inesorabili della vita; addentrarsi nell'ironia sveviana significa scendere alla radice dei nodi che determinano non solo la letteratura, ma più in generale la cultura e la vita contemporanea. Per queste ragioni l'ottimo saggio di Lene Waage Petersen, che è una puntuale e rigorosa analisi stilistica del testo sveviano e delle sue strutture, è anche un illuminante, sottile contributo alla comprensione della crisi di una Ragione fondante e di quel pensiero negativo che, con la sua eterogenea pluralità di linguaggi, contrassegna l'esistenza moderna, - il «delirio di molti», come la chiamava Musil, ovvero «l'anarchia degli atomi» di cui parlava Nietzsche. Lene Waage Petersen affronta preliminarmente, con grande chiarezza metodologica ed espositiva, il problema generale della classificazione dell'ironia nei testi narrativi. Richiamandosi soprattutto alle indagini di Muecke, Booth, Knox e Nojgaard, ed alle tipizzazionidel romanzo in prima persona fornita da Booth, Genette e Aarseth, l'autrice distinguein primo luogo discorso ironico, struttura ironica e tema ironico. Nel discorso ironico, nel cui ambito viene analizzato soprattutto l'enunciato ironico, viene posto in risalto il significato di negazione - anziché, come viene spesso affermato, di opposizione - che viene ad assumere il significato reale rispetto a quello letterale. Tale rapporto di negazione rivela la trama estremamente ambigua del discorso ironico, ben più complessa della semplice e univoca opposizione o rovesciamento, e dunque più adeguata alla fisionomia di una realtà che viene manifestandosi sempre più ambivalente, mutevole e sfuggente. L'ironia, scrive Lene Waage Petersen, è il gioco dei segnali del discorso ironico, che si muovono all'interno del testo stesso, ma questo gioco interno alla letteralità del testo finisce per rendere ancor più conturbante l'equivoco senso del mondo, tanto più conturbante quanto più assorbito all'interno del testo e privato di rassicuranti riferimenti extra-testuali. La modernità è segnata infatti da un'ironia sempre più instabile e inafferrabile,perché Side 225
rabile,perchésempre più incerti
si fanno sia il senso letterale di un testo definito sia
il Dopo aver vagliato i vari elementi e microelementi del discorso ironico, l'autrice si sofferma sui vari tipi di struttura ironica, sul tema ironico e i suoi significati antitetici nonché sul mobile alternarsi dei suoi piani semantici, che s'intersecano sulla superficie testuale. L'ironia investe la globalité del reale, in termini di negazione incessante - ma una negazione sempre mutevole, dissimmetrica, trasversale, mai riducibile ai consolanti parametri di una corrispondenza parallela, sia pure capovolta. Dopo un'attenta e sensibilissima analisi dei segnali e degli aspetti emozionali dell'ironia, e dopo aver esposto e ripercorso le classificazioni metodologiche dell'ironia formulate dai principali teorici del problema, Lene Waage Petersen si rivolge all'indagine del testo sveviano: rapidamente per quel che riguarda i due primi romanzi, Una vita e Senilità, dettagliatamente per ciò che concerne La coscienza di Zeno. Nel suo capolavoro Svevo è un maestro di ironia e l'interpretazione dell'autrice è ben all'altezza della genialità sveviana, colta e indagata con pregnante acutezza nelle spie, nelle mistificazioni e nei sotterfugi di cui essa dissemina il proprio tortuoso cammino. Particolarmente fine è l'analisi che la studiosa compie in merito all'uso sveviano dei tempi e dei modi verbali, soprattutto dell'imperfetto e del condizionale, un uso che mira a creare un'ambiguità fra passato e presente, a confonderli, a mescolare le loro carte e il loro gioco, a renderli inestricabili e indistinguibili per il lettore, impossibilitato a capire chiaramente se chi parla è Svevo oppure Zeno, oppure se una riflessione di Zeno concerne il passato della storia che egli racconta o il presente in cui egli la racconta, il suo io narrato di allora o il suo io narrante di ora. L'interpretazione dei vari segnali e della loro valenza nei diversi contesti, delle ripetizioni e delle sintesi memoriali, delle metonimie e dei Leitmotive, dei paradossi e degli squilibri logici introduce nel vivo e nel segreto del meccanismo sveviano, nel cuore del suo amabile e terribile gioco elusivo che penetra, scandaglia, scompone e dissolve la vita umana e il tempo di cui essa è intessuta, quel «tempo malato» della vita che pure, nelle sue distonie e nelle sue impurità, è tanto più ricco e vero dei tempi puri della grammatica. Con questi tempi puri, giocando con essi e dislocandoli fingendo di rispettarli, Svevo scrive un romanzo che è l'epos di un uomo nuovo, di un 'oltre-uomo' - secondo la giusta traduzione del termine Ùbermensth di Nietzsche proposta da Gianni Vattimo, per indicare che si tratta non di un super-individuo tradizionale potenziato, bensì di una nuova forma d'uomo, proiettata oltre i confini di quella tradizionale. L'individuo sveviano moltiplica e confonde la sua voce, la sovrappone a quella del testo e la reimmerge in essa; si rifrange nel gioco di malattia e salute, che non permette di capire definitivamente se tutto è malattia oppure se i sani sono i malati e i malati sono sani, se Zeno guarisce oppure se non ne ha bisogno perché è già sano. Il riso di Zeno nasce da questo pessimismo forte, da questa coscienza della totale - ed anche propria-ambiguità. L'ironia è la chiave di questa labirintica odissea senza ritorno a casa, e l'interpretazione dell'ironia è il miglior strumento per cercare di capire le combinazioni di questa chiave. L'analisi di Lene Waage Petersen è una guida sicura e penetrante nelle spirali di quell'ironia. Attraverso quei meccanismi stilistici, che l'autrice indaga così bene, s'esprimeuna realtà che, come quella di ogni grande libro, travalica il mero piano dei significanti,per attingere al piano dei significati, di quel senso del mondo cui ogni vero libro rinvia anche quando ne mostra l'impredicabilità. Lene Waage Petersen non trascende esplicitamente il piano strutturale che è l'oggetto specifico della sua ricerca, restando Side 226
coerentemente all'interno della sua verifica funzionale, ma rinvia, con la chiarezza e la profondità problematica che la sua analisi fa emergere, a quel senso che il testo fa trasparireoltre il suo congegno stilistico; rinvia a quella grandezza poetica che fa di Svevo un fenomeno epocale della nostra civiltà e insieme il suo geniale fenomenologo. L'unico aspetto dell'ironia di Svevo che resta in ombra è la sua fondamentale tensione e oscillazioneerotica, la vibrazione del desiderio ch'essa infonde e, col suo perpetuo differire, mantiene. Anche per Svevo Eros è un dio ironico. L'ironia è una negazione che si supera e si trascende, che rimanda a una fluida inafferrabilità, a qualcosa la cui latitanza costituisce il nucleo dell'ironia stessa. L'ironia, anche quella sveviana così acutamente indagata da Lene Waage Petersen, assomiglia alla natura morta di cui parlava Hoffmannsthal: essa, diceva il poeta austriaco, non si appaga della perfezione delle sue linee e dei suoi colori, ma rinvia a ciò che sta aldilà di essa, dietro la superficie della tela e l'armonìa della composizione: «voglio dire la vita». Trieste
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