Revue Romane, Bind 16 (1981) 1-2

Il teatro prefuturista di Marinetti: Dramma senza titolo, Roi Bombance, Poupées électriques

di

Daniela Quarta

Premessa

La poetica futurista appare cosi come una sorta di deteriore simbolismo linguistico tradotto frettolosamente in italiano da un interprete letterale, approssimativo e soprattutto senza tradizioni, impetuosamente animato dalle filosofie dell'azione e dell'intuizione. (Anceschi, Le poetiche del novecento, Torino, 1972, pag. 140).

Cosi F Anceschi definisce il futurismo, almeno nella sua componente marinettiana, rilevando la doppiezza, l'ambiguità di fondo, l'inadeguatezza del linguaggio di Marinetti rispetto alle sue istanze teoriche. Ma almeno per quanto riguarda il teatro, tali considerazioni vanno approfondite e in particolare quel » senza tradizioni « va corretto; perché se è vero che molte delle intuizioni di Marinetti anche sul versante teatrale, che certo è il suo più felice, non trovano adeguate soluzioni, non gli si può negare una continuità di ricerca ed un approfondimento di temi, che pure nella sua discontinuità testimonia un'attenzione ai problemi degli intellettuali del primo novecento acuta e originale. In questo articolo si tenta di cogliere gli inizi di questa ricerca, di legare i due periodi dell'attività drammaturgica di Marinetti, di evidenziarne le costanti, riducendo il più possibile la frattura tra il periodo precedente il 1909 e quello successivo.

Il discorso sarebbe anche più lungo se non ci si fermasse al teatro sintetico ma si procedesse fino alla tarda produzione teatrale di Marinetti, ove alcuni elementi prefuturisti tornano alla luce con una forza evidentissima. Ma mi limito al primo Marinetti, al suo periodo ancora in bilico fra Francia e Italia, quello che Anceschi definisce come «posizione assai scomoda tra la cultura francese e quella italiana*, (Anceschi, op.cit., pag. 143), proprio per cogliere gli indizi che porteranno alla teorizzazione futurista.

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Dramma senza titolo

Pubblicato per la prima volta nella trascrizione curata da Benedetta Marinetti nella raccolta a tutt'oggi più completa della produzione teatrale di Filippo Tommaso Marinetti (Filippo Tommaso Marinetti, Teatro, a cura di Giovanni Calendoli, Roma 1960, 3 voli.), questa tragedia fu scritta tra gli ultimi anni dell'ottocento e i primissimi del novecento.

Egli la considerava un'esperienza giovanile che le prove successive de La donna è
mobile e di Re Baldoria destituivano di ogni valore.

La citazione è tratta dall'introduzione al teatro di Marinetti di Giovanni Calendoli (op.cit., nota a pag. 281) cui si deve il primo tentativo organico di interpretazione e di valutazione della produzione teatrale marinettina.

Da questa stessa introduzione traiamo un riassunto del dramma
estratto dalle pagine IV e seguenti:

La vicenda del dramma si svolge a Venezia alla fine del secolo quindicesimo. Si ordisce una congiura popolare contro il condottiero Paolo Baglione che, per l'autorità conquistata nell'esercizio delle armi, minaccia di diventare il despota della repubblica. Ma il Baglione si è innamorato follemente di Rosalba, che è figlia di uno dei più fanatici congiurati, Pietro Candiano, e si è presentato alla fanciulla sotto le mentite spoglie di un povero gondoliere Baldo. La congiura dovrebbe esplodere durante il varo di una grandiosa nave La Fortunata... Intanto un cortigiano che conosce l'amore del Baglione per Rosalba, gli fa intendere ch'egli potrebbe subito possedere la fanciulla seducendola con qualche ricco dono.. . Una serie di equivoci determinata dalla malvagia insinuazione, fa sì che Rosalba, disperata perché crede di essere perseguitata da Paolo Baglione, si decida ad essere la pugnalatrice del condottiero... Deluso a sua volta per aver scoperto che l'umile popolana da lui amata... ha un animo mercenario, Paolo Baglione, ha accettato una proposta di nozze con una nipote del Pontefice. Col pretesto di offrire fiori agli sposi, Rosalba si slancia sul condottiero... per pugnalarlo. Ma... i due innamorati si riconoscono e intuiscone le trame di cui ambedue sono stati vittime. Rosalba sviene... e Paolo Baglione, impadronitosi del corpo esanime della fanciulla, si getta su una barca a vela ed approfittando della confusione generale, si perde nei meandri della laguna... Paolo e Rosalba trovano rifugio in un'isola deserta della laguna, in attesa che un burchiello amico li trasporti in un paese straniero. Ma i congiurati non perdonano e ricercano implacabilmente il condottiero fuggiasco e la congiurata fedifraga per punirli. Scoprono i due amanti e li uccidono... Paolo Baglione morente, chiede soltanto che il suo corpo insieme a quello dell'amata sia deposto in una barca carica di rami in fiore e che, tagliate le gomene, il fragile scafo sia abbandonato alle acque della laguna.

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II Calendoli dà del dramma un'interpretazione che definirei di maniera: «turgido e decadente romanticismo« derivato dal tardo simbolismo francese, »il grande amore destinato ad essere travolto dalla sfortuna e dall'altrui incomprensione* ... Questo atteggiamento risulta d'altronde evidente proprio dagli elementi da lui messi in rilievo nel racconto della trama, e anche dalle piccole, ma significative imprecisioni ivi contenute.

Se è vero che la storia di »amore e di morte«, la »macabra sensualità« sono presenti nel dramma, essi non ne costituiscono, a mio giudizio, il tema centrale, ma uno degli elementi la cui importanza viene amplificata proprio dalla formazione lirico-simbolista di Marinetti che si diffonde in una lingua turgida, spesso farraginosa, a volte urtante.

Questa opera giovanile contiene in nuce tutti gli elementi contrastanti che caratterizzano tutta la produzione letteraria di Marinetti e che definiscono quel mondo poetico che egli vuole esprimere attraverso il teatro; un mondo poetico che resta sostanzialmente invariato, al di là della diversità delle soluzioni formali.

Apparentemente non c'è soluzione di continuità tra i drammi prefuturisti e la teorizzazione del teatro sinetico che dal Manifesto del Teatro di Varietà (1913) fino agli sviluppi estremi del Teatro Aereoradiotelevisivo (1931) e del Teatro Antipsicologico astratto di puri elementi e il teatro tattile, verrà precisandosi.

Se però si isolano meglio gli elementi che compongono il dramma senza titolo, alcuni aspetti assumeranno un diverso valore e talune differenze formali non appariranno più stridenti, ma tappe di una evoluzione coerente.

Se per esempio analizziamo la storia di amore e di morte come parallela alle altre vicende del dramma, togliendole la priorietà tematica, la struttura stessa del testo si presenta diversamente: una complessità di temi che si sviluppa omogeneamente fino al terzo atto per poi interrompersi e lasciare spazio al quarto atto, propriamente quello ove la storia di amore/morte assume effettivamente quell'aspetto centrale che il Calendoli rileva, tutto espressivamente giocato sulla liricità macabra, stilisticamente risolta secondo i moduli più vieti del tardo romanticismo: l'acqua lagunare, i fiori che appassiscono, la disarticolazione per eccesso

Se si parte da questa ottica interpretativa, la figura di Giovanni Paruta, che funge da prologo e che scompare nella laguna proprio in chiusura del terzo atto, assume un rilievo fondamentale e il varo della Fortunata, che secondo il Calendoli funge da sfondo alla vicenda, ne

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diventa uno degli elementi portanti e trainanti, un catalizzatore tragico.

Intorno alla nave si concentrano le scene di massa, della nave parlano continuamente tutti i personaggi coinvolti nell'azione scenica, intorno la nave (e per la nave) si articola la congiura; e soprattutto è della nave che si parla in apertura del dramma: Giovanni Paruta, ex-operaio dell'Arsenale, divenuto cieco a causa dei riflessi abbaglianti del mare che hanno rovinato i suoi occhi mentre riparava e restaurava la chiglia della Fortunata, è tornato da Chioggia, richiamato dal varo della sua creatura. E' attraverso le sue parole e il dialogo con Pasquale Cicogna, innamorato di Rosalba Candiano, anche lui ex-operaio dell'Arsenale, costretto all'esilio a causa della sua partecipazione alla rivolta guidata da Pietro Candiano. La Fortunata è il simbolo stesso della patria e della libertà, come tale centro stesso della congiura.

Il cantiere navale, gli operai orgogliosi del proprio lavoro che lottano per amore della repubblica: dietro la farragine del linguaggio, dietro l'intreccio pseudo-rinascimentale si percepisce con chiarezza la problematica

Elemento del resto messo in evidenza anche dal Calendoli, ma come
secondario, e che io invece vorrei porre parallelamente all'altro per dilatare
le possibilità di interpretazione del testo.

Tanto più che i due elementi fondamentali (amore/morte e giustizia sociale/libertà) vengono sin dalle prime scene del dramma enunciati come ossessioni: l'ossessione della passione e l'ossessione civile/patriottica, con effetto speculare l'una all'altra.

Tutti i personaggi del dramma sono chiusi nella propria ossessione, immobili e oggettivizzati in essa, privi di un minimo sviluppo psicologico. La fissità stessa dei personaggi si riflette sull'azione che trova il suo sviluppo unicamente a livello scenografico e linguistico, attraverso la contrapposizione netta degli elementi.

Che Marinetti identifichi, o tenda ad identificare, le due passioni ossessive che muovono i diversi personaggi come marionette, risulta evidente sin dal dialogo di apertura tra Giovanni Paruta e Pasquale Cicogna, che ha funzione di prologo e di esposizione dell'antefatto:

Giovanni - .. .Mi ricordo che mi avevano scelto fra tutti gli operai per sorvegliare il restauro poiché sapevo meglio di tutti gli altri introdurre negli interstizi delle travi la stoppa ruvida che biondeggiava gloriosamente al sole di maggio, come la bella capigliatura di Rosalba.. . {Marinetti, op.cit., Atto I, pag. 9.)

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E più avanti:

Giovanni - (distratto, ripetendo le parole come se egli fosse ripreso dal suo
sogno)
Mi hanno detto che lei è bella e luminosa...

Pasquale - Chi? ... Chi?

Giovanni - Fortunata... Fortunata! Mi hanno detto che porta sulla sua prua e
sulla sua poppa cento oriflamme di porpora ingioiellate di pietre
preziose . . . (Marinetti, op.cit., Atto I, pag. 14.)

Identificazione che dal piano privato e onirico del dialogo tra Giovanni e
Pasquale, viene riproposta pubblicamente dalla folla accorsa al varo
della Fortunata:

Voce nella folla - Oh! Corne sono belle le oriflamme délia Fortunata!

Un'altra voce - Le oriflamme sventolano follemente corne se fossero ebbre
di gioia!.. .

Una terza voce - Le oriflamme si slegano corne dei grembiuli gonfi di piètre
preziose!...

Una quarta voce - Si direbbero aquile d'oro che battono furiosamente le ali
per liberare i loro artigli incatenati !...

Una quinta voce - Guardate! Questa orifiamma sembra una capigliatura
bionda seminata di rubini! E' la capigliatura di Rosalba
Candiano! {Marinetti, op.cit., Atto I, pag. 21)

L'identità simbolica di Rosalba e della nave La Fortunata è così sancita
e consente di considerare i due piani interpretativi come intercambiabili,
paralleli e coesistenti con pari valenza ai fini dell'azione scenica.

E proprio in quanto simboli, esse non assurgono al ruolo di protagoniste, ma sono sognate/agite altrove, esistono e prendono consistenza solo in quanto appartengono al mondo onirico/ossessivo degli altri personaggi.

Questa scansione è coerente fino al terzo atto e poi sembra spezzarsi nel quarto, data la sua struttura lirica e diffusa: ma ad un'analisi più approfondita la frattura si rivela illusoria e la digressione lirica prepara lo scontro tra le due ossessioni, lo scontro tra i due reali protagonisti del dramma: Paolo Baglione, » comandante delle truppe di terra e di mare, 30 anni«, e Pietro Candiano, »popolano, già capo dell'Arsenale e costruttore di naviglio; capo dei rivoltosi, 45 anni«.

Lo scontro costa la vita a Rosalba, uccisa dal padre, ma non diventa uno scontro diretto tra i due protagonisti: Paolo, vista la sua donna esanime, si uccide con un colpo di pugnale al petto. Le due ossessioni evitano così di confrontarsi, ma uccidono il simbolo che sin dall'inizio

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del dramma le ha tenute insieme, mentre La Fortunata passa sullo
sfondo della scena, carica di uomini pronti alla guerra in Oriente.

Il suicidio di Paolo (non rilevato dal Calendoli) chiude così il cerchio dell'incomunicabilità simbolica in cui tutti i personaggi sono chiusi sin dall'inizio del dramma, rilevando implicitamente la chiave lirica e antiteatrale di questo testo. L'»idea di teatro« che Marir;etti propone in questo dramma senza titolo, è la stessa idea che troveremo sviluppata e poi esaurita in Roi Bombance e in Poupées électriques e sebbene l'autore stesso considerasse la sua opera destituita di ogni valore, essa pone l'accento su alcuni aspetti fondamentali della dimensione teatrale prefuturista di Marinetti.

Vediamone alcuni dei punti salienti:

a) // carattere dei protagonisti: Paolo Baglione è un superuomo di puro stampo tardo-romantico; il suo potere è gestito per virtù, per valore personale; la sua autorità è basata sul rispetto che suscita la sua stessa dinamicità, il suo coraggio temerario, la sua straordinaria bellezza fisica.

E' il potere della gioventù e dell'audacia messa al servizio della patria per amore di avventura, per amore della gloria. Il potere ufficiale è rappresentato da quel Doge Marco Barbarigo, che nelle didascalie dei personaggi è descritto come un «vecchio invalido, 70 anni«, con quella passione di specificare le età come essenziali e di per sé significanti, che è una delle caratteristiche marinettiane più evidenti.

In questa definizione sia pur scarna del potere ufficiale invalido e
vecchio, e del potere reale giovane e audace, in questa contrapposizione
rozza è già tutta l'ideologia politica che Marinetti svilupperà più tardi.

Che Paolo Baglione si innamori perdutamente di Rosalba, la più bella
di Venezia, è in consonanza con il carattere del personaggio; chi persegue
la gloria è capace di grandi passioni.

Pietro Candiano è il personaggio in cui trova la sua più alta espressione l'ossessione civile: egli rappresenta l'odio per l'autorità tirannica, l'orgoglio del popolo insieme ad una forte coscienza di classe; coraggioso e sprezzante come il suo antagonista, il loro rapporto è paritario, la loro forma di lotta per il predominio il duello:

Pietro - Signore date dunque la liberté a questo agonizzante. Io sono il solo colpevole
... Sono io solo che ho preparato la rivolta...

Paolo - Come ti chiami tu, che parli così alto?

Pietro -Mi chiamo Pietro Candiano.

Paolo - (con un soprassalto) Pietro Candiano?

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Pietro - Voi mi conoscete già? Le vostre spie senza dubbio vi hanno già parlato
di me?

Paolo -Ti sbagli, poiché tu stesso mi hai disposto in tuo favore. Il tuo linguaggio
mi piace... Tu sei degno del mio perdono e della più pericolosa delle
libertà. A te farne ciò che più ti piacerà...

La qualità e la modalità del conflitto è stabilita fin dalle prime battute, che segnano il primo incontro dei due; e non ci sarà alcuno sviluppo in questa meccanica, mentre nel corso del dramma e dell'intrigo cortigiano che lo attraversa costituendone una sorta di diversivo, Paolo Baglione e Pietro Candiano si definiscono non attraverso il conflitto che li mette di fronte uno all'altro, ma attraverso dei confronti ognuno con il proprio ambiente: Paolo la corte che disprezza per la servilità che essa impone e per la sua mancanza di ideali, Pietro con gli operai dell'Arsenale, con i popolani di Venezia, fedeli all'ideale repubblicano, ma anch'essi pavidi, se solo Rosalba accetta di essere la pugnalatrice di Baglione. Uno sdoppiamento del superuomo, dunque, colto sia nella sua essenza aristocratica (ma per valore personale e non per nascita) sia nella sua essenza di espressione di una volontà, di una base popolare, per altro non definita con esattezza. Sdoppiamento che ripropone in pieno la figura dell'eroe romantico, anche se le scene di massa conferiscono indubbiamente al dramma un sentore più moderno, un sospetto di attualità rispetto al mito stereotipo del romanticismo.

Tutto il dramma è però statico e privo di sviluppo e i personaggi non fanno che seguire supinamente la propria meccanicità, la prevedibilità dell'intreccio. Essi seguono una logica strettamente antipsicologica: con un processo inspiegabile e incomprensibile al di fuori di questa logica, Pietro, appena si accorge che l'odiato tiranno si è ferito a morte volontariamente, piange la morte della figlia da lui causata e che fino a quel punto non solo lo aveva lasciato indifferente, ma trovava per essa una serie di giustificazioni ideali (onore tradito, defezione dagli ideali repubblicani), ma nemmeno questa improvvisa caduta umana del personaggio ne scioglie le meccanicità, nonostante il mutamento stilistico delle sue parole e dei suoi mezzi espressivi; al contrario si ha la sensazione che la tragicità si sarebbe potuta raggiungere se Pietro avesse lamentato l'intangibilità del suo avversario, la sua intoccabilità, lo scontro desiderato e mai avvenuto, il duello rifiutato; solo così nella sua rigidità avrebbe salvato la coerenza psicologica che crea il pathos.

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b) le didascalie : insieme alle ossessioni meccaniche dei personaggi principali, al carattere simbolico del personaggio di Rosalba, tutti elementi che negano uno sviluppo dell'azione non giocato essenzialmente sul lirismo, le didascalie sono una prova dell'anti-teatralità del testo. Abbiamo già detto come lo sviluppo drammatico non esista se non a livello linguistico e scenografico e quindi, in questo senso, le didascalie sono particolarmente illuminanti nella loro diretta ed esplicita irrapresentabilità; ne portiamo alcuni esempi:

Atto I -La scena si svolge sulla Riva degli Schiavoni nell'ora torbida dell'alba... I tre piani del palazzo si aprono su vaste terrazze separate al centro da una grande scala di marmo verde dalla balaustra di porfido... Al fondo della scena sul groviglio brumoso delle alberature e delle vele palpitanti si vede a poco a poco liberarsi dalla penombra il profilo di Fortunata... (Marinetti, op.cit., pag. 5)

Atto II - Ardente sera d'estate. Il Canai Grande è addormentato come uno stagno opaco sotto la febbre tragica e ilare delle numerose stelle... Si sente il flic-flac della laguna al traghetto e il rumore che fanno le gondole attraccate, le cui prue sbattono di momento in momento contro i gradini di legno. All'alzarsi del sipario la scena è tuffata in una penombra che si rischiara gradatamente e che finisce per cedere ad un violento chiaro di luna.. . (Marinetti, op.cit., pag. 33)

Atto 111 -La piazza di S. Marco è decorata a festa secondo il gusto dell'epoca, con enormi ghirlande di fiori e grandi pennoni pavesati e oriflamme sventolanti al soffio del mare. La Basilica appare sullo sfondo con le cupole fiammeggianti e i voli gloriosi dei piccioni familiari. Il popolo in gioia accorre da tutte le parti... Dei negri, dei levantini, dei battellieri, dei mercanti greci dei marinai e innumerevoli ragazzi, screziano la piazza con i loro costumi vari... (Marinetti, op.cit., pag. 59)

Descrizione di atmosfere, insistenza sui rumori, sui valori cromatici delle
scene e dei costumi, una prosa musicale con qualche ardimento (il

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flic-flac della laguna) che a volte finisce nel non-sense (la febbre tragica e ilare...) o in cadute di gusto involontariamente ridicole (il volo glorioso dei piccioni familiari...); comunque didascalie non-teatrali, esse non danno alcuna indicazione scenica al di fuori di un tentativo di definizione di atmosfere, più liriche che adatte ad un testo teatrale, per non dire che sarebbero di disturbo ad una eventuale messa in scena.

Il progetto di Marinetti a questo punto è ancora un progetto lirico e non drammatico, la sua idea di teatro risente ancora fortemente della sua formazione lirica e ad essa si ispira, usando il teatro come un nuovo tentativo di espressione, ma ancora con un intento declamatorio e non strettamente teatrale.

Fatte queste considerazioni generali, mi interessa mettere in luce la figura di Giovanni Paruta in particolare la sua funzione profetica legata ad un ruolo emarginato (sia in senso sociale che scenico) nel suo valore simbolico.

L'emarginazione del personaggio è posta strutturalmente in funzione contrappuntistica e speculare alle scene di massa, costituendone una specie di commento, di coro estraniato e dissociato. Come esempio riporto una parte della scena finale dell'Atto terzo che precede la sparizione del personaggio, in cui l'elemento di estraneità è ulteriormente sottolineato dalla ebbrezza di Giovanni Paruta: egli si aggira come un'ombra tra la folla senza comprendere ciò che avviene intorno a lui proprio nel momento più esplosivo delle tensioni ossessive del testo; la sua risata übriaca copre le affermazioni di Pietro Candiano e di Paolo Baglione.

Nella stessa successione frenetica delle battute dei tre personaggi, sullo sfondo i movimenti colorati e frenetici della folla che preme da tutte le parti, si ritrova in sintesi la chiave interpretativa del mondo poetico di Marinetti espresso in questo dramma senza titolo:

Pietro Candiano - (vedendo allontanarsi la barca di Baglione, che, a colpi di spada ha
scacciato dal bordo i grappoli di congiurati)

Vili! Vili! Buoni a nulla! Canaglie! Non lasciatelo scappare. Forza ai remi! Ah! Saprô raggiungerti, vile Turco, rapitore di vergini...(...) Maledizione a te Paolo Baglione ... Saprei ben afferrarti e batterti... Voglio strapparti il cuore con le mie unghie e mangiartelo a pieni denti...(...)

Paolo Baglione - (brandendo la spada sui numerosi congiurati e opérai dell'Arsenale
ammutinati, che si sono attaccati alla poppa délia sua barca)

Lasciatemi se tenete ancora alla vostra vita! Obbeditemi! Voi sapete che sono
rimpladfebile re di Vandia, vostro ammiraglio vittorioso e vostro capo assoluto.
Lasciatemi! E obbedite al vostro générale che avete visto tante volte dritto nella

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mischia di un abbordaggio, mentre schiacciava e macinava i miscredenti con il
mulino frenetico e massacrante della sua spada. Voi non volete?

Giovanni Paruta -Ah! Ah! ridiamo, ridiamo di buon cuore! ...Ah! Non mi sono mai divertito tanto nella vita. Essi danzano in tondo intorno a me. Venezia intera danza intorno a me. Tutti i palazzi si danno la mano per fare la catena e fare un rondò. Ah! Ah! (Cade nell'acqua e sparisce) Sipario (Marinetti, op. cit., pag. 70)

Manca nella nota del Calendoli al Dramma senza titolo una precisazione riguardo la stesura originale del testo; intendo dire che non è dato sapere se il testo originariamente fosse scritto in francese o in italiano. E' un particolare alquanto significativo se posto in relazione con le altre due opere che prenderemo in esame e che in un primo momento aveva escluso l'analisi di quest'opera dalla mia ricerca. Ma l'identità tematica e soprattutto l'identità di certe soluzioni, hanno imposto una maggiore attenzione da parte mia a quest'opera giovanile, che mostra, come le altre, una tendenza alla rottura con le strutture teatrali tradizionali per una trasposizione lirica, cromatica e poetica, non immediatamente teatrale e che ne mina le strutture dall'interno.

Roi Bombance

La pubblicazione del Roi Bombance nel 1905 per le edizioni del Mercure de France e tradotto in italiano da Decio Cinti con la revisione dello stesso Marinetti con il titolo di Re Baldoria o Re Gozzoviglia, segna contemporaneamente un punto d'arrivo nella formazione di Marinetti poeta e un punto di partenza nella sua attività drammaturgica.

L'attività letteraria di Marinetti fino a questo momento si è svolta su
due fronti:

a) una ricerca stilistica tutta tesa alla costruzione di poemi ispirati al tardo simbolismo francese con una particolare attenzione per la sua corrente belga e con una predilezione per il temi e lo stile di Emile Verhaeren. Tra questi: Les vieux marins (1897), La Filandière (1898), La conquête des étoiles (1902). Nel 1908 pubblica La ville charnelle che chiude questa fase di ricerca poetica in lingua francese.

b) un'attività enorme di traduzione, legata ad un'opera assidua di propagandadi idee nelle due direzioni e alla sua attività di redattore in riviste letterarie italiane e francesi. Traduce in italiano i poeti simbolisti francesi e Verhaeren, pubblicandoli su riviste specializzate e diffondendonele idee in Italia attraverso delle conferenze. Pubblica in Francia nel 1899 per le edizioni Anthologie Revue una «Anthologie des poètes

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italiens contemporains* con una prefazione di E. Sansot-Orland; nello stesso anno La Vogue pubblica un'altra antologia »Les jeunes romanciersitaliens« e il saggio che suscita una marea di polemiche »Le mouvement poétique en Italie« (poi ripubblicato nel 1908 in Rénovation esthétique e in Pan). Sempre per La Vogue pubblica nel 1900 » D'Annunziointime« seguito nel 1908 dal pamphlet Les Dieux s'en vont, [y Annunzio reste (Sansot, Parigi) testimonianza dell'interesse di Marinetti per D'Annunzio, verso il quale avrà sempre un atteggiamento contraddittorio, quello riservato ai maestri negati.

L'insieme della produzione letteraria di Marinetti fino al 1908 è quindi in lingua francese, ma sempre con un occhio attentissimo alla cultura italiana, potremo dire quasi che essa si svolga sotto il segno del bilinguismo. Più volte Marinetti si esprime a favore della lingua francese:

.. . flnalizzata all'ipotizzazione di un certo tipo di letteratura décadente che non troverebbe convincenti strumenti espressivi nella lingua italiana, inadeguata soprattutto nella ricerca di mezzi toni e dei chiaroscuri che il francese - e forse anche l'inglese - renderebbero con particolare funzionalità. .. (G. Mariani, primo Marinetti, Firenze 1970, pag. 55)

Questa assidua frequentazione delle due lingue, il continuo raffronto e interferire delle due culture, segnano la prima produzione marinettiana di una incertezza tematica e linguistica e insieme le danno un'esuberanza particolarissima.

Tutti questi elementi irrisolti vengono a confluire nella stesura del Roi
Bombance, che va considerata come la prima composizione drammatica
di Marinetti.

La caratteristica fondamentale di questa tragedia satirica in quattro
atti (secondo la definizione dell'autore) consiste nell'ipertrofia della
metafora, portata a tali eccessi da distrugggerne ogni valore simbolico.

La forma, la stesura essenzialmente monologico/lirica del dramma rende
inefficace del tutto il dialogo che appare una pura concessione formale
legata alle convenzioni teatrali.

Se si guarda strettamente al testo esso risulta una composizione poetica troppo prolissa e ripetitiva, con brani di lirismo esagitato contrapposti a descrizioni iperrealistiche di elementi macabri e rivoltanti, talmente insistenti da sconfinare nel ridicolo.

Il risultato globale è quello di una distruzione della struttura testuale per ipertrofia dei singoli elementi, una sorta di esplosione interna. Riporto un riassunto del dramma, servendomi dell'introduzione del Calendoli:

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Il tema dominante di Re Baldoriu ... è quelle» délia famé, sovrana del mondo: una famé fisica che dilania orribilmente le viscère dei ricchi e dei poveri, determinando con una logica implacabile le loro azioni, ma una famé anche metafisica, che assurge alla mostruosa altezza di un'energia essenziale... la vicenda si svolge in un Medioevo immaginario. Il regno dei Citrulli è stato scosso dalla improvvisa scomparsa di Panciarguta, che ne era il gran cuciniere ... l'illuminato governatore intestinale. Re Baldoria piange inconsolabile la morte del fido collaboratore, che con abili manovre riusciva ad ammannire lauti pranzi ai potenti ed a distrarre subdolamente la famé dei sudditi citrulli (...) Mentre i vassalli del regno, stremati da un lungo digiuno marciano sulla capitale ... il tribuno Famone preannuncia »la rivoluzione intestinale che renderà immortali i liberi stomachi degli Affamati«. Délia torbida situazione approfittano tre furbi sguatteri di estrazione popolare, Torta, Soffione e Béchamel, i quali ottengono dal sovrano.. .la consegna délie cucine reali . . . Ma i tre sguatteri ... si preoccupano soltanto di satollarsi in maniera invereconda. L"atteso banchetto dei banchetti è continuamente rinviato... L'esasperazione délia plèbe si accresce quando Re Baldoria muore fulminato dalla famé. Invano l'ldiota. . . invita... a nutrirsi »di musiche soavi e di sogni« (...) Il Poeta che non fu mai grasso, che ebbe soltano la »fame dell'lntangibile«, che offende con i suoi canti tutte le leggi intestinali del buon senso, è soppresso a furor di popolo. E la turba si raccoglie ancora intorno a Famone, il quale in un comizio afferma che Re Baldoria avendo sacrificato »l'orgoglio délia sua forchetta d'oro« (...) all'appetito dei Citrulli è divenuto l'emblema délia loro riscossa. Ma i tre sguatteri ... riescono a dominare il tumulto (...) Essi servono un pranzo agli Affamati, impiegando cibi di scarto e... per impinguare le scorte alimentari del paese mettono i cadaveri di Re Baldoria e dei suoi vassalli in salamoia. Il sentimento di pietà che la triste sorte di Re Baldoria aveva suscitato in un primo momento, svanisce quando Soffione artatamente sparge la voce che il sovrano è.. . crepato per i postumi di una colossale indigestione subita un anno prima... Re Baldoria è portato in tavola stufato ed è ingordamente divorato dai suoi sudditi . . . i Citrulli sono felici. Ma (...) il tribuno Famone (...) scopre che i tre sguatteri (...) ingurgitano cibi raffinatissimi. Torta, Soffione e Béchamel sono incatenati (...) e spirano fra atroci tormenti, divenendo anch'essi carne destinata al pasto. Il castello di Re Baldoria (...) è soffocato dai graveolenti effluvi dei non lontani Stagni del Passato. In questi Stagni, dominati dal fantasma di Santa Putredine, finiscono tutti i cadaveri e la forza perenne délia decomposizione alimenta il misterioso processo attraverso il quale le esistenze consumate ... si ricostituiscono. Il fantasma di Santa Putredine (...) restituisce alla vita i cadaveri di Re Baldoria e dei suoi ministri che . . . emergono faticosamente dalle pance dei loro divoratori. Re Baldoria risale sul trono... Anche i tre vili sguatteri sono liberati dagli intestini... per essere sottoposti ad un processo sommario (...) Fra Trippa è incaricato di istituire il processo (...) Ma la storia non ha per questo termine. La governa infatti (...) Santa Putredine che risveglia nuovamente gli Affamati e li invita a rimasticare Re Baldoria.. . (F. T. Marinetti, Teatro, op. cit., introduzione pag. IX e seguenti).

Gli elementi che concorrono a formare questo tentativo di Marinetti di
fornire un affresco spettacolare/metafisico della storia umana, sono

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molteplici. Gli Stagni del Passato, Santa Putredine e suo figlio il vampiroPtiokarum sono indubbiamente ispirati al senso del macabro e al pessimismo distruttivo di certo decadentismo tardo romantico, che già aveva inspirato due poemetti del 1904 La Momie sanglante e Destructions.Il personaggio di Re Baldoria è ispirato daWUbu roi di Jarry soprattuttonella sua monumentale apparizione scenica, ma della maschera violenta e cinica di Jarry non rimane nulla nella versione marinettiana e il riferimento è più teatrale che letterario.

Ma il riferimento teatrale è preciso, confermato non solo dal titolo, ma dalla cura maniacale di Marinetti nel tentare di fare della messa in scena del Roi Bombance una copia perfetta della serata deWUbu Roi: stesso teatro, il Théâtre de l'Œuvre, stessa direzione artistica, quella del famoso Lugné-Poe e grazie alle testimonianze di quest'ultimo, si può addirittura parlare di plagio per quanto riguarda i costumi e parte della scenografia. (Lugné-Poe, Sous les étoiles, Gallimard, Paris 1933; citato da Giovanni Lista, Materiali per una storia francese del futurismo italiano) Questa però è una storia che esula dai confini del nostro articolo e che riguarda la costruzione del »personaggio« Marinetti, operazione riuscitissima e importante per la storia della cultura italiana ed europea forse più di tutta la sua produzione letteraria.

Nella costruzione del Roi Bombance ritroviamo, approfondito e usato con maggiore coerenza, l'elemento della folla, dei movimenti di masse sulla scena e il nuovo significato storico che esse vanno assumendo. L'edizione francese del Roi Bombance porta non a caso questa dedica: «A mon cher maître et ami / Poul Adam / F.T.M.».

Adam celebra nelle sue opere Le mystère de la foule, la cui pubblicazione risale agli anni '90, la psicologia della folla e in opere successive quali La cité prochaine (1908) e La ville inconnue (1911) la città tumultuosa nel suo aspetto affascinante, ma angoscioso e grottesco, e la vita moderna esaltata come Azione multipla.

Nella sua edizione italiana il Re Baldoria reca la seguente dedica:

Ai grandi cuochi della Felicità Universale: Filippo Turati, Enrico Ferri, Antonio
Labriola.

E il riferimento che in Francia era ancora letterario, diventa un riferimento politico nella versione italiana: il bipolarismo marinettiano in tutta la sua evidenza. Nel 1898 a Milano c'era stata la rivolta operaia schiacciata dai cannoni di Bava Beccaris e ai moti milanesi lo stesso Marinetti, che frequentava i circoli socialisti milanesi, dedica un articolo

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«Les Emeutes milanaises de mai 1898» pubblicato nel n. 173 de La RevueBlanche dell'agosto 1900. L'interesse di Marinetti per la politica e per i problemi sociali, nasce dal suo bisogno di chiarezza su quale posizione il poeta possa avere in una società in rapido mutamento, che sfugge al controllo per l'immissione di nuovi elementi nel gioco di potere,tra questi particolarmente imponenti le nuove masse urbane e proletarie che sono attive nella produzione, nelle fabbriche a contatto diretto con quelle macchine che stanno velocemente mutando il mondo. Che posto ha l'intellettuale, il poeta in questo nuovo mondo? Il problemadi tutta la generazione di scrittori del primo novecento, che già era stato il problema dei simbolisti nei confronti della borghesia. E' a questo problema che Marinetti vorrebbe dare una risposta plateale e spettacolare con il Roi Bombance; e la risposta è assolutamente pessimisticain questo 1905 ed è nessun posto.

La negatività del Roi Bombance è però puramente ideologica, dato che dal punto di vista testuale e da quello scenico non arriva nemmeno ad essere drammatico; interessante però è vedere come punto d'arrivo delle tematiche e dell'elaborazione di Marinetti la negazione dell'ultimo sogno, il sogno poetico, come possibile fuga da una realtà decomposta.

Non c'è via d'uscita e nella società cannibalica e fatiscente descritta nel Roi Bombance abbiamo una »... testimonianza oggettivamente critica sulla crisi di un intellettuale borghese confrontato con le prime lotte operaie degli inizi del secolo. L'interrogazione sul proprio ruolo sociale porta il Poeta/Idiota ad un suicidio che è la constatazione dell'inutilità del suo personaggio.« (Giovanni Lista, Materiali per una storia francese ... cit.) Non solo il suicidio per il Poeta/Idiota, ma l'avversione della folla, il gusto con cui viene divorato e in ultimo il rifiuto del vampiro a mangiare il suo cervello. Il tentativo di Marinetti di uscire da questo vicolo cieco di passività poco adatta al suo temperamento, lo porterà a formulare le teorie futuriste e soprattutto il nuovo stile di vita futurista.

Protagonista nel Roi Bombance è la folla, con i suoi sentimenti e movimenti inconsulti e il cui destino è di essere manipolata da agitatori e demagoghi che dietro le parole celano solo i loro privati interessi e la soddisfazione dei bisogni personali; su tutti gli stagni del Passato stendonoi loro miasmi e la decomposizione come morte/prosecuzione della vita, domina i destini di tutti. I personaggi del dramma nelle loro grotteschefigurazioni sono solo delle personificazioni simboliche del potere: Roi Bombance è il potere civile, Fra Trippa il potere religioso e poi tutti

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i gradi intermedi delle funzioni amministrative e giuridiche (i vassalli, i dignitari) e la rivoluzione è solo movimento illusorio, ridistribuzione di un potere immobile, che subito viene distrutto prima di ricostituirsi in un ordine, in un processo infinito di decomposizione e ricomposizione.

Sparito il superuomo, sia pure sdoppiato nel suo senso come era nel Dramma senza titolo, scomparsi gli ideali che ne sorreggevano la pur unilaterale struttura psicologica, ci troviamo qui di fronte ad una immensa e pantagruelica consumazione del potere, riportato alla sua fondamentale indivisibilità, appunto in un «medioevo immaginario* come le didascalie suggeriscono, nella sua essenza trascendentale. Unico oppositore è il sognatore, l'emarginato, chi non accetta la logica dei rapporti di potere e se ne pone al di fuori con la forza dell'utopia. Ma anch'esso è schiacciato e non dal potere, dato che questo ben comprende l'inutilità e la gratuità di una rivolta immaginaria contro di sé, ma dal buon senso della folla, dalla sua necessità di essere conforme, di espellere il diverso. La forza del personaggio dell'ldiota/Poeta è tutta nel suo significato, perché si perde nel tentativo di raffigurazione scenico/testuale. E lo stesso si dica per tutti gli altri personaggi del dramma, tutti tagliati su un registro unico; persino il movimento della folla che è alla base di tutta la struttura del dramma, viene vanificato nella sua stessa meccanicità, prevedibilità, inutilità. Tutto è diluito in un quadro cromatico/ambientale sui toni cupi della putrefazione.

E di nuovo sono le didascalie a dare la misura delle intenzioni dell'autore;
la presentazione dei personaggi si apre con Santa Putredine
che non apparirà prima del quarto atto:

Gran fantasma spiralico di bruma azzurrognola, la cui faccia camusa rosseggia, di giorno come un sole al tramonto e inverdisce di notte, apparendo tenue e lustreggiante come la faccia della luna riflessa da uno stagno. Le sue smisurate, braccia, flosce, simili a sciarpe di fumo, accarezzano gli orizzonti. (Marinetti, Teatro, op.cit., pag. 5)

Sebbene essa non compaia prima del quarto atto la sua presenza è evidente sin dalle prime battute del dramma: essa ne dirige le fila, è al centro dei terrori e dei rituali per allontanare il terrore di tutto il microcosmo del regno dei Citrulli. Spia dell'acquisizione marinettiana di una tendenza drammaturgica che finora solo Strindberg aveva portato alle estreme conseguenze nella » Signorina Giulia« con l'assenza/presenza del Padre, motore invisibile dell'azione, centro intangibile di potere. Ma Santa Putredine, non solo compare sulla scena, ma parla distruggendo cosi l'effetto che nei primi tre atti era stato ottenuto.

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L'azione nel Re Baldoria si apre in un » saporoso meriggio di maggio
color miele, tutto profumato...« (Marinetti, Teatro, op.cit., pag. 11)
con la cacciata delle donne dal Regno dei Citrulli:

Soffione - (con enfasi) Amici! Vi annunzio che la causa di tutte le nostre indigestioni è abolita. Lo stomaco sociale è salvo, poiché le donne ci lasciano! ... Quanto alla conservazione della specie ... che importa pensarci, prima che sia stato risolto il gran problema intestinale del mondo? ... In verità dobbiamo benedire il cielo, giacché la ripugnante sobrietà delle donne e la loro abituale lussuria scombussolavano già da troppo tempo le nostre idee digestive, (...) Il loro sesso è tanto conservatore e usuraio, che volentieri esse interrompono un pranzo per darsi agli uomini. (Marinetti, op.cit. pag. 12-13)

Idiota - (ballando e saltellando dalla gioia)

Le donne ci lasciano! Devo piangere forse? Ah! no perdio! ... Le
donne mi vuotarono le ossa senza empirmi il cuore!.... Il loro amore
è una prigione!... Il mio cuore ha sempre freddo quando abbraccio
una donna. E invano io mi tormento per penetrare l'anima di lei!...

Ahimè!... Le femmine non sono che strumenti grossolani delle nostre
solitàrie lussurie!...

Famone - (entrando da destra)

Al diavolo le donne!... Che bella cosa l'essercene liberati!... Le
donne non intendono nulla dei diritti e dei doveri dello stomaco!... E
disprezzano l'lntestino Universale!. .. (Marinetti, op.cit., pag. 14-15)

Da una parte deificata come Dea della Putrefazione, quindi del mutamento, nella sua continuità, lunare e solare allo stesso tempo, dall'altra cacciata dalla realtà storica, dalla comunità ove si svolge il dramma dell'esistenza e del potere, la donna, la presenza femminile viene negata; bisogna dar atto a Marinetti della sua coscienza che a quella storia, la donna non appartiene e nonostante il tono dispregiativo, implicito nella sua concezione della donna, almeno egli non fa tentativi concilianti e si schiera involontariamente su posizioni del movimento femminista: la storia è maschile. Nelle battute sopra citate è chiaramente dimostrato lo estraniamento della donna dallo svolgersi storico, oltre la dichiarazione di impotenza maschile implicita nella battuta dell'ldiota e sottolineata da voci femminili fuori scena che gridano agli uomini »Impotenti«, che sottolinea anche la pulsione omosessuale.

Con la cacciata delle donne non sfuggirà come venga automaticamente
eliminato l'ostacolo che nel Dramma senza titolo, aveva
impedito una diretta confrontazione tra il Potere e il Rivoluzionario.

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Dove il Dramma finisce, comincia il Roi Bombance, sgombrando il terreno dall'elemento superfluo, cioè la donna e le passioni che essa suscita. L'allontanamento della passione porta via via ad affermare l'identità del potere, che non cambia natura sebbene possa passare di mano in mano, e che inevitabilmente porta con sé la putrefazione.

Il testo del Roi Bombance è uno svolgersi di idee e non di azioni, esposte con un'enorme prolissità e pervase di un simbolismo allegorico ipertrofico e inoltre il dramma si svolge ».. .per immagini sceniche costantemente commentate con una verbosità che lo rende difficilmente rappresentabile...« (G. Lista, articolo citato, pag. 53).

Ma indubbiamente il Roi Bombance porta a maturazione nel suo linguaggio di poema teatrale tutti i temi del Dramma senza titolo, esaurendoli e completandoli e inoltre appaiono le prime intuizioni marinettiane per un linguaggio teatrale più specificamente scenico.

Un'idea indubbiamente teatrale, anche se qui è applicata al macabro e al repellente, ma geniale dal punto di vista spettacolare è quella che troviamo al quarto atto, in cui abbiamo il banchetto dei banchetti, celebrazione grandiosa del cannibalismo del potere.

Il sipario si apre sullo stesso buiore denso di fumi che impeciava la scena durante il terzo atto... Ora sono le quattro del mattino. I crespi neri ed i veli azzurrini dovranno quindi essere sollevati ad uno ad uno, per simulare il lento ritirarsi della notte fitta ai primi bagliori della alba. All'estremità della tavola va sempre più nettamente delineandosi la figura colossale di Famone, che mostruoso puntati i gomiti sul desco, si regge fra le palme il mento, più largo di una pala. Egli tende il collo, e la sua bocca è ancora spalancata da un vano sforzo ch'egli fa per rècere ... Pappone che ha divorato Fra Trippa è anche più obeso di Salame che ha nel ventre Anguilla.

L'effetto allucinante di queste mostruose figure sarà reso nella rappresentazione teatrale, per mezzo di enormi fantocci vagamente somiglianti a rospi giganteschi e contenenti ognuno un attore che sosterrà la parte del divorato... (Marinetti, op.cit., pag. 185)

E' la prima didascalia che abbia un valore scenico, che dia delle indicazioni spettacolari precise in vista di una rappresentazione: usciamo dall'ambito puramente cromatico/ambientale/descrittivo, per entrare in un'area decisamente scenica.

Il testo è dominato dalla metafora »rabelaisiana« dell'appetitus che domina incontrastata e che ossessivamente regge insieme questo microcosmo dal movimento a spirale, elementarmente rappresentato attraverso l'ingestione/digestione/espulsione (prevalentemente orale) delle persone fisiche in veste simbolica, che lo compongono.

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II meccanicismo delle vicende è totale, la spirale è infinita e riporta sempre al punto di partenza con un atto finale che è principio di rinnovamento in un processo immutabile, sempre uguale a se stesso; è il problema stesso dell'esistenza che è affermato e negato allo stesso tempo, dato che oltre il disfacimento si sente la presenza del Nulla.

Si riconosce la tematica filosófica del decadentismo, intrisa di Schopenhauer »... in una parabola allegorica sul tema della libido volendi che consegna l'uomo al cerchio infernale della storia...« (Lista, articolo citato, pag. 56) Solo l'irruzione possente delle masse sulla scena, sebbene raffigurate come plebaglia manovrabile, da un senso di novità all'opera, non solo per il rimandare a problemi attuali, ma proprio in quanto le masse vengono ad assumere una loro propria dimensione che viene dalla loro stessa miseria, una sorta di potere sconosciuto, temibile nella sua forza d'urto, nuovo fattore di potere neutralizzato solo dalla Putredine.

Marinetti scrive sxûY Intransigeant di Parigi il 12 aprile 1909, dopo la
prima (e ultima) rappresentazione del Roi Bombance:

Le Roi Bombance n'est pas un programme, c'est, je le répète, une œuvre de
jeunesse qui m'a paru s'éloigner peu de la tradition.

On en lit bien d'autres dans les auteurs classiques, et j'ai plaisir à vous l'avouer, ma métaphore la plus sifflée est d'Eschyle. Ma grande erreur a été de croire qu'on pouvait écouter à la scène ce qui s'exprime dans les livres... (Marinetti, op.cit., note. pag. 476)

II giudizio di Marinetti sulla sua opera è in effetti equilibrato e importante è il fatto che egli stesso sottolinei che si tratta di un'opera giovanile e sostanzialmente tradizionale e con pochi elementi di novità. Ma essa rispecchia anche un'avvenuta maturazione ed un affinamento di taluni temi che saranno poi alla base delle intuizioni futuriste sul teatro che troveranno la loro prima affermazione compiuta nel 1913 con lo splendido Manifesto del Teatro di Varietà.

Mi riferisco all'azione meccanica e all'anti-psicologia dei personaggi, due elementi che il Roi Bombance riafferma, al di là del lirismo dei monologhi. Sebbene qui si sia alla preistoria di un processo evolutivo, l'invenzione dei fantocci, dei pupazzi in scena, segna una direttiva teatrale che conoscerà uno sviluppo già in Poupées électriques; e inoltre l'impianto grottesco che da ai personaggi una dimensione di gigantesche marionette.

Ma siamo ancora in un ambito letterario, in un esaurimento di temi di

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matrice poetica e il linguaggio tardo-romantico, l'ansia di epicità che
porta ad una retorica pesante, ne sono la prova.

Se esiste un tentativo di rottura con la tradizione nel Roi Bombance, questa è presente nella più o meno cosciente amplificazione della struttura drammatica che porta ad un'autodistruzione dall'interno per asfissia, per sovrabbondanza di temi, per eccesso di parola.

E certo anche quel tentativo di parodia dei drammi storici che sulle scene del tempo riportavano successi enormi, con le loro ricostruzioni di ambienti fìttizi, con la loro carica di retorica. Ma sia ben chiaro si tratta di parodia, non di satira ironica, forma di cui Marinetti sarà sempre incapace, per di più con un occhio vigile e attento ad una problematica attuale, che viene inserita in un «medioevo immaginario« non specificato.

Poupées électriques

Poupées électriques segna una svolta decisiva nella concezione teatrale di Marinetti; se pure è possibile rintracciarvi le linee dei precedenti tentativi teatrali, vi si trovano elementi di novità e anche le persistenze tradizionali, sono immediatamente e con più chiarezza avvertibili.

Intanto c'è da segnalare l'abbandono del dramma storico a favore di una forma e di un genere tradizionale, consunto dall'uso, con dei codici fissi in cui erano passate anche grosse innovazioni: nonostante il titolo apparentemente tecnologico, infatti, si tratta di un dramma borghese, per di più sempre a confine con il vaudeville.

Poupées électriques viene pubblicata da Sansot a Parigi nel 1909; la
sua publicazione è quasi contemporanea all'uscita su Le Figaro del
Manifesto del futurismo (20 febbraio 1909).

Questa concomitanza di date induce il Calendoli in errore, facendogli attribuire la genesi di Poupées électriques al fallimento teatrale di Roi Bombance In realtà il dramma, nella sua traduzione italiana dal titolo La donna è mobile è andato in scena a Torino il 15 gennaio del 1909, tre mesi prima, quindi, della prima parigina del Roi Bombance.

Andata in scena per modo di dire, dato che già all'inizio del secondo atto, il subbuglio in platea è tale che i fischi coprono la recitazione e dopo l'intervento dalla ribalta dell'autore, con una battuta restata famosa, la rappresentazione viene interrotta. Tanto che nessuna delle recensioni del giorno dopo è in grado di narrare la trama della commedia.

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La prima del Roi Bombance è del 3 aprile 1909 e cosi viene annunciata
nel numero di febbraio-marzo della rivista Poesia, rivista di cui lo
stesso Marinetti è direttore e finanziatore:

LA DONNA E' MOBILE
mio dramma in tre atti

fu clamorosamente fischiato dal pubblico del Teatro Alfieri di Torino, al quale dalla
ribalta risposi con queste parole:

«Ringrazio gli organizzatori di questa fischiata che mi onora profondamente «
Parole di legittimo disprezzo che confermo con piacere, dopo aver letto ben 418
articoli di commento e di critica al mio gesto.

INVITO

i fischiatori di Torino al Théâtre de l'Œuvre a Parigi per l'imminente prima rappresentazione
del mio

Roi Bombance

Gioco dells date importante e che come ben ha messo in luce Gigi Livio nel suo // teatro in rivolta (Milano 1975) non solo non è affatto casuale, ma fa parte di un disegno pubblicitario ben orchestrato dal nascente leader del futurismo italiano.

Stabilito dunque che non è la delusione del fallimento del Roi Bombance a provocare il ripiegamento (se di ripiegamento si tratta) di Marinetti sul dramma borghese, il pur impreciso avviso pubblicato da Tempo Illustrato nel 1907 assume un aspetto importante per la genesi del dramma:

F.T. Mannelli (sic) tenterà pure il teatro. L'autore del Roi Bombance nella quiete
di Viggiii (...) ha ultimato il dramma: I fantocci (Livio, op.cit., pag. 15)

L'indicazione per quanto imprecisa, sia nel dare il nome dell'autore, sia nel fornirci il titolo dell'opera è interessante perché fa risalire la genesi dell'opera al 1907; non c'è certo da fidarsi di Marinetti che magari non ha ultimato il dramma come l'articolo dice, ma è chiaro che l'idea base di Poupées électriques è nata. Non solo, ma per l'autore è chiaro che il centro del dramma in tre atti è costituito da quei fantocci, che già a questa data, ne sono il titolo provvisorio.

Poupées électriques con titolo italiano La donna è mobile nel 1909, diventerà (spogliato del primo e del terzo atto) Elettricità o Elettricità sessuale nel 1913-1914, per poi trasformarsi ulteriormente in Fantocci elettrici, tornando quindi al titolo originale, per poi subire un ulteriore metamorfosi (non sostanziale però) nel 1923 ove ricomparirà con il titolo

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Bianca e Rosso, includendo dunque un'altra costante dei temi marinettiani,cioè il cromatismo. Questo secondo atto, tratto fuori dal primitivo contesto è quindi un tema che Marinetti si porterà dietro e che modificheràdi volta in volta, a seconda dello svilupparsi delle sue idee teatrali.

In tal modo il passaggio di Marinetti dal pre-futurismo al futurismo risulta molto meno radicale di quanto in genere si creda: elementi vecchi tornano attraverso l'isteria per la novità dei manifesti, elementi nuovi si trovano prima della conversione/creazione futurista.

Si può dire che il passaggio reale sia molto più evidente nell'analisi dell'immagine pubblica che Marinetti da di se stesso prima del Manifesto e dopo la sua pubblicazione, di quanto sia rintracciabile nella sua produzione letteraria; in effetti prima del 1909 Marinetti è un poeta alla ricerca di notorietà in Francia e in Italia e cerca conferme e consensi nei due paesi con un'attività frenetica. A partire da questo 1909 egli si transforma in un imprenditore oculato ed accorto che smercia con abilità la sua personale creazione: il futurismo italiano.

Ma torniamo a. Poupées électriques; la storia ivi narrata è semplice:

La favola spogliata di tutto il suo lirismo, si può ridurre a questo piccolo drammetto a quattro personaggi: Giulietta Duverny, innamorata del conte Paolo de Rozières, ufficiale di marina, si getta in mare quando questi parte per l'Estremo Oriente, pur sapendo che egli non l'ama, e che fa la corte allo stesso tempo a Mary Wilson, moglie dell'ingegnere John Wilson, costruttore di fantocci elettrici, il quale a sua volta è innamorato di Giulietta. Questo il primo atto. Nel secondo assistiamo ad un lungo duetto d'amore fra John e Mary, i quali nelle loro espansioni sessuali, hanno bisogno di avere qualcuno presente; perciò l'ingegnoso Wilson pensò di far assistere ai propri deliri erotici, due pupazzi elettrici che alla fine dell'atto vengono da lui scagliati in mare. Al terz'atto Paolo de Rozières ritorna per fare una scena d'amore a Mary Wilson (...) Alla fine Wilson obbliga l'infedele consorte ad uccidersi, (il riassunto è tratto dal Livio, op.cit., pag. 24)

Ambiente e situazione tipica del dramma borghese, anzi più precisamente
come ben argomenta il Livio, piccolo-borghese, nonostante la
copertura di titoli nobiliari.

Inoltre questa breve trama porta immediatamente alla memoria Pirandello,più precisamente La morsa, novella e poi intenso atto unico, per quanto riguarda la pressione psicologica determinata dalla gelosia che spinge al suicidio la moglie infedele; e una situazione analoga di due coppie contrapposte e con sentimenti incrociati, che aprono il classico triangolo, si ritrova in Non si sa come del 1934, ove tra l'altro c'è lo stesso tema del possesso amoroso, ove il tradimento avviene come in

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sogno, in maniera involontaria, ma provoca un processo di coscienza che si conclude nella tragedia. In Pirandello però, il conflitto è giocato tra i due uomini che alla fine si trovano uno de fronte all'altro nonostantei tentativi disperati delle donne schiave e quindi solidali, che vorrebberosalvare la vita, al di là della logica maschile.

A parte queste concordanze tematiche, che poi sono comuni a tutta un'area culturale e che si concentrano nella chiusa struttura del dramma borghese, in una serie pressoché infinita di variazioni, vogliamo sottolineare come ancora una- volta per di più in una critica contemporanea, dato che il pezzo stralciato è pubblicato in Rivista Teatrale Italiana, anno IX, 1910 venga sottolineato il »lirismo« marinettiano, che copre come ornamento eccessive tutta la struttura della favola.

Ancora quindi, siamo nei canoni espressivi del Marinetti prefuturista che gioca su tutta la scala dell'espressività possibile della parola, con quella ambiguità di fondo che nemmeno l'iconoclastia del futurismo toglierà alle opere marinettiane, tranne felici eccezioni, reperibili sempre in brevissimi frammenti.

E all'insegna dell'ambiguità è anche Poupées électriques, cominciando dalla dedica dell'edizione francese, a Wilbur Wright« ... qui sut élever nos cœurs migrateurs plus haut que la bouche captivante de la femme...«. Nonostante l'enfasi della dedica, in realtà il dramma è tutto pervaso della bouche captivante, almeno nella sua versione del 1909.

Ma c'è una maturità nuova da parte di Marinetti nei confronti del linguaggio teatrale: per la prima volta, nei suoi drammi, ci troviamo di fronte a delle didascalie che tengono conto con precisione della messa in scena, suggeriscono espressioni che gli attori debbono assumere, indicano movimenti scenici, aderiscono ad uno stile teatrale.

Quindi non più un testo chiuso in se stesso, risolto in una scrittura
poetico/lirico/cromatica, solo formalmente rispettosa dei canoni teatrali,
ma sostanzialmente indifferente al momento scenico/rappresentativo.

Diversa sarebbe l'analisi dal punto dello spettacolo, perché indubbiamente elementi fortemente spettacolari esistevano sia nel Dramma senza titolo, che nel Roi Bombance: anzi abbondavano di ricchezze spettacolari.

E ancora troviamo, come nel Roi Bombance, il tentativo di scardinare dall'interno una struttura teatrale: e stavolta si tratta di un terreno e di un tema che più facilmente ed immediatamente si presta al gioco e che non presenta le involuzioni e le contraddizioni di un »monstrum«.

In che consiste questo scardinamento di strutture? Se nel Roi Bombancesi

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bancesiera tentato di ottenerlo, con risultati discontinui, attraverso l'amplificazione della metafora e la ripetitività ossessiva affogata in un'atmosfera onirica, in Poupées électriques con molta più coerenza, egli riesce a scardinare la struttura del dramma borghese, proprio grazie a quegli elementi che abbiamo precedentemente messo in rilievo: la meccanicità dell'azione e l'antipsicologismo.

Ora però quest'opera di annientamento è celata, va cioè ricostruita a
posteriori, dato che apparantemente lo svolgimento del dramma è
quanto di più trito si possa immaginare.

La meccanicità dell'azione, ottenuta attraverso la demotivazione psicologica dei personaggi, distrugge dall'interno la loro credibilità, li rende inverosimili, li pone di fronte al pubblico come non-umani, alieni, altri; nega cioè quella possibilità di identificazione da parte del pubblico su cui la catarsi del dramma borghese giocava tutte le sue variazioni.

La validità di questo procedimento anti-psicologico di Marinetti al fine di ottenere un totale straniamento è indubbia; sarebbe stata una scoperta teatrale antesignana di tante altre se l'autore ne fosse stato cosciente e quindi avesse adeguato il suo linguaggio scenico alla portata della scoperta. Ma questo purtroppo non avviene: l'intuitivo Marinetti ha in mano una bomba di cui non conosce il potenziale e invece di farla esplodere, la descrive, la scopre, la disinnesca con un profluvio di liricrità fino ad annullarla in un banale fuoco d'artificio.

E questa ambiguità del gioco marinettiano, si risolve in un dubbio costante del lettore/critico che si trova di fronte a suggestioni diversissime e molteplici, che si contraddicono l'un l'altra, tanto che alla fine ci si trova a dubitare che effettivamente ci sia una scoperta, una novità qualsiasi: ci si trova sempre nella paura di aver preso un abbaglio, di sopravvalutare le intenzioni dell'autore, magari fuorviati dal punto di vista a posteriori, a settant'anni di distanza.

Eppure questa vicenda arrovellata e contorta così come si presenta nei tre atti originari è una vicenda di »straniamento« totale, di cui i famosi fantocci del secondo atto non sono che l'espressione: essi sono meccanici, non tanto perché sottendano l'ideologia della macchina, né per affrontare il problema della tecnologia; sono meccanici per sottolineare la meccanicità stessa, la non necessità dell'azione scenica, la sua gratuità di gioco che mostra la corda, in ogni momento della rappresentazione.

Vediamo più da vicino quale uso faccia Marinetti dell'antipsicologia
in questo testo. Siamo di fronte a due coppie John-Mary - Juliette e

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Paul: John è sposato con Mary, ma corteggia Juliette, che ama Paul, che corteggia Mary. Non a caso ho usato il verbo amare, solo per definire i sentimenti del personaggio Juliette e non degli atri: in questa commedia si parla di sessualità, si tenta l'erotismo, il possesso dell'altro a livello fisico e psicologico è proclamato ovunque, ma di sentimenti non si parla e l'unica che ne prova viene fatta sparire per suicidio al primo atto, con un procedimento che abbiamo già visto impiegare a Marinetti quando deve eliminare elementi di disturbo alla contrapposizione meccanica, che provoca l'azione.

Eliminata, anzi autoeliminatasi Juliette, restano in scena John e Mary che iniziano il loro gioco erotico. Un erotismo che a parole dovrebbe essere elettrico, che si svolge con i due fantocci del Matrimonio e della Famiglia sullo sfondo, ma che è poi tutto giocato sulla parola e sui meccanismi tradizionali dell'offerta e della ripulsa, dell'eccitazione verbale, del voyeurismo situazionale, per di più doppio dato che sulla scena ci sono i fantocci e nella sala c'è il pubblico (e qui non si può negare la genialità dell'idea, che con un minimo d'ironia nella realizzazione avrebbe fatto storia), e soprattutto sul possesso, proprio come sentimento della proprietà.

Tutti questi elementi che rientrano nel gioco verbale di John, si ritrovano in maniera speculare in Mary che sa che il marito ha desiderato Juliette, che si è suicidata poco prima e il cui corpo senza vita è ora in mare e dei pescatori tentano di recuperarlo, proprio mentre John cerca in ogni modo di possederla.

Il gioco erotico tra i due è di tipo sado-masochista e perfettamente speculare e una spia è data dalla gioia di John nel rappresentare il ritorno di Paul (annullando cosi l'effetto del terzo atto, quando Paul effettivamente ritorna) e nell'avere dalla moglie una risposta ambigua che non conferma, ma nemmeno allontana il sospetto, acuendone all'estremo il desiderio maschile. E' a questo punto, nel momento in cui ogni rivelazione diventa ambigua e inutile, che finalmente Mary riesce a convincere il marito a gettare i fantocci in mare. In effetti non c'è più bisogno degli ingombranti fantocci meccanici e della loro reale presenza: ad essi si è sostituita la ben più eccitante presenza/assenza di Paul e Juliette.

Ed è solo per questo che John, infine li butta a mare: essi sono ora superflui. E il terzo atto, a questo punto, non è che una meccanica soluzionedelle premesse e il suicidio di Mary provocato dalla ragnatela che il desiderio maniaco di John le ha cucito adosso, non cambia nulla,

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non è nemmeno azione teatrale, dato che Mary ha fin dall'inizo costituitosolo
lo specchio del superuomo John: essa non esisteva se non
come proiezione onirica dell'ingegnere.

E infatti non è successo nulla. Persino i fantocci lanciati in mare vengono
ripescati e scambiati per persone vere, finché l'ingegnere non
mostra ai rozzi pescatori il funzionamento del meccanismo.

L'intercambiabilità tra persone e fantocci scopre in maniera definitiva il vero asse attorno a cui ruota tutto il dramma: la genialità inventiva dell'ingegnere nel fare fantocci simili a persone vere e nel ridurre le persone a fantocci meccanici.

Una battuta del terzo atto rivela chiaramente la trama del gioco, tutta
centrata sull'intercambiabilità delle persone e dei pupazzi:

John - . .Ah! Bon! C'est le bouton des larmes que j'ai fait jouer sans le vouloir!
C'est vraiment bizarre ce que tu ressembles à mes fantoches, ma petite
Mary ... (Marinetti, op.cit., pag. 166)

Quindi nel terzo atto è data la chiave esplicita dell'identificazione tra il vivente e il meccanico nel mondo dell'ingegnere e delle relazioni che egli stabilisce con l'uno e con l'altro. Tutto il dramma è scritto per rendere evidente, visibile, tangibile la meccanicità di tutte le azioni, il loro determinarsi secondo una logica di assoluta prevedibilità.

Chi non accetti questa logica (le donne, per esempio) è costretto
all'autoeliminazione che avviene però in modo assolutamente non
problematico: come una conseguenza diretta di premesse date.

Tutto ció però come già abbiamo osservato viene disperso, negato dal
linguaggio liricheggiante e sovrabbondante di retorica che annulla l'effetto
e il senso della scoperta di questo tipo di straniamento.

Resta però la novità dei fantocci in scena e soprattutto la messa a fuoco dell'asse attorno a cui tutto si determina: la volontà meccanica di John Wilson, l'ingegnere. E cosi si torna al famoso secondo atto che nella sua versione sintetica e con il titolo di Elettricità sessuale subisce alcune modifiche.

Intanto John si trasforma i Riccardo Marinetti, ma resta ingegnere, qualifica che consente di affermare la sua personalità moderna, tecnologica,inserita nel sistema produttivo, e con un processo di identificazionecon l'autore che ha due scopi: uno ovviamente ideologico, l'altro invece scenico, in quanto nella scena finale i pescatori gridano » Marinetti è pazzo«, dando quindi il via alla bagarre in sala che contraddistinguetutte le manifestazioni futuriste dalle serate alle rappresentazioniteatrali.

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presentazioniteatrali.Il passaggio dell'urlo dal palcoscenico alla platea, nel caso non fosse già avvenuto il movimento contrario, con quel processodi coinvolgimento del pubblico in cui veramente l'avanguardia futurista ha raggiunto vertici di successo strepitosi, invano inseguiti dalle avanguardie degli anni sessanta-settanta.

La sintesi teatrale è costituita da tre parti: nella prima sono in scena i servitori (due uomini e una donna) che spiegano il funzionamento dei fantocci e l'uso che i padroni ne fanno; nella seconda Riccardo e Maria conducono il loro gioco erotico invariato rispetto all'originale, ma più esplicito per quanto riguarda l'identità tra i fantocci e le persone; nella terza (che nella sintesi assume anche il significato più importante) c'è la confrontazione tra i pescatori, che rappresentano il buon senso comune, e l'ingegnere, che rappresenta la genialità futurista.

Ma tracce della stesura precedente restano a livello di linguaggio sebbene
il non diluire l'azione per tre atti, giovi indubbiamente all'unità e
alla forza scenica del testo.

Riccardo - Oh! Mia piccola dinamo! Basta un po' di temporale a scombussolarti!

Maria -Loso che disprezzi le donne! ... (esagerando la sua malinconia) Emi
consideri come uno dei tuoi fantocci...

Riccardo -Come il più bello di tutti! (Scherzando) Infatti i vostri meccanismi sono identici.. L'elettricità fa vibrare i nostri nervi come fili buoni-conduttori di voluttà... Perciò appunto mi piace aver qui con noi questi due (indicando i fantocci) nelle sere burrascose come questa...

Maria - Per me preferirei cacciar via tutti questi brutti personaggi..

Riccardo - Impossibile, perché sono in noi... Bisogna invece far loro dei brutti
tiri, obbligandoli ad agire a modo nostro ... (Marinetti, op. cit., pag.
444-446)

E' qui che secondo il Calendoli troviamo »... nella letteratura drammatica non soltanto italiana uno dei primi esempi di sdoppiamento della personalità* ; straniamento, sdoppiamento della personalità, soluzioni sceniche nuove, ma inadeguatezza del linguaggio a sostenere le intuizioni.

Nella stessa continuità dei temi marinettiani dal periodo pre-futurista
al periodo successivo, sono in germe i limiti di un'elaborazione teorica
originale, non sostenuta da adeguate espressioni formali.

Ma questo limite non scalfisce l'originalità degli intenti e nemmeno fa
dimenticare le innovazioni che proprio nel teatro il futurismo (e qui soprattuttoMarinetti)
porta; nel teatro sintetico particolarmente in Vení>otw,dramma

Side 146

í>otw,drammadi oggetti, e in Piedi e Mani è da ricercare la genesi delle
idee che poi verranno sviluppate nel teatro dell'assurdo e del non-sense,
ventarmi dopo.

Daniela Quarta

Copenaghen

Riassunto

In questo articolo vengono analizzate le prime tre opere teatrali di Marinetti, ideate e composte tra il 1900 e il 1907; si tenta quindi di evidenziarne le tematiche e le tecniche di composizione, inserendole nella idea di teatro che Marinetti svilupperà più tardi, dopo la fondazione del Movimento futurista, e cercando di coglierne le costanti e i procedimenti che permettano di stabilire una linea di continuità tra il prefuturismo e il futurismo. In particolare vengono messe in luce la tecnica anti-psicologica di Marinetti che appare sin dalle sue prime prove teatrali, la tendenza ad amplificare le forme tradizionali di teatro fino a farle esplodere dall'interno per il sovraccarico di temi, la passione per gli elementi cromatici e il lirismo della concezione teatrale.

Si osserva, inoltre, il procedere verso soluzioni sempre più teatrali, più attente alla
messa in scena, fino alla scoperta dei pupazzi o dei fantocci, che divenuti elettrici,
saranno un tema ricorrente nella drammaturgia marinettiana.

Bibliografìa

Gaetano Mariani, II primo Marinetti, Firenze 1970 (Le Monnier)

Giovanni Lista, »Materiali per una storia francese del futurismo italiano« in SCENA,
Anno 11, n. 6, 1977

Gigi Livio, // teatro in rivolta, Milano 1976 (Mursia)

Luciano Anceschi, Le poetiche del novecento in Italia, Torino 1972 (Paravia)