Revue Romane, Bind 11 (1976) 2

Gunver Skytte: Italiensk Fonetik (Etudes romanes de l'Université d'Odense. Vol. 8). Odense Universitetsforlag, Odense, 1975. 441 p.

Kolbjörn Blücher

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II volume di Gunver Skytte, scritto in danese, si presenta come un ottimo manualedi fonetica e di fonematica italiana, utile tanto agli studenti dei livelli superioriquanto agli studiosi non specialisti della materia, e naturalmente a chiunque insegni fonetica in un ateneo scandinavo. Il libro, si può dire, colma una lacuna, in quanto non esisteva un manuale adatto di questo tipo destinato a un pubblico scandinavo.Dovrebbe potersi adottare e usare in tutte le università scandinave dove non esista una barriera linguistica, e da chi

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sappia leggere il danese. Nella trattazione dei vari argomenti l'autrice porta paragonicol danese, i quali hanno piena utilità, s'intende, solo per coloro che parlanoquella lingua. Non dovrebbe però costituire alcuna difficoltà, per uno svedeseo un norvegese, fare simili paragoni didattici coi propri idiomi. L'autrice tiene a precisare che il libro non solo è un manualed'apprendimento per studenti universitaricon le conseguenti limitazioni della materia da trattare, ma anche, in un senso più ampio, un manuale di consultazione.

Il libro si basa su una vasta conoscenza di tutte le opere precedenti di una certa importanza che trattano argomenti attinenti alla materia.

L'opera contiene nove capitoli principali: un'introduzione, il sistema vocalico, il sistema consonantico, suoni/segni estranei all'italiano tradizionale di base, la struttura fonotattica, i suoni nella frase, prosodia, accentazione, ortografia.

L'introduzione apre con considerazioni generali sull'apprendimento della pronuncia di una lingua straniera, e viene messa in rilievo l'importanza di una conoscenza teorica del sistema fonetico e fonematico della propria lingua come premessa necessaria per imparare una lingua straniera. La convinzione espressa dall'autrice che l'insegnamento pratico deve necessariamente, per arrivare a risultati soddisfacenti, essere accompagnato da un insegnamento teorico, ha il nostro pieno consenso. Si passa poi a definire e discutere il concetto di «italiano standard», il quale non è però, come sostiene anche l'autrice, uno standard così omogeneo come è il caso di altre lingue, quale p. e. il francese. La pronuncia modello descritta, in conformità con la tradizione, è «la varietà fiorentina delle classi colte». Contemporaneamente si descrivono i tratti più importanti delle altre varianti regionali, nali,e in una certa misura si da un quadro di varianti sociali e dialettali. Siamo d'accordo con l'autrice nella scelta della lingua modello, perché la suddetta varietà è senz'altro quella più comunemente accettata come norma o «buon italiano». Dopo un breve panorama storico dell'evoluzione linguistica italiana, si espone succintamente la situazione linguistica odierna, citando Tullio De Mauro, Storia linguistica dell''ltalia unita, che annovera 4 registri linguistici: l'italiano comune, Vitalìano regionale, il dialetto italianizzante, il dialetto vero e proprio. Sempre seguendo De Mauro, le varietà regionali si suddividono in 4 aree principali: la varietà settentrionale, la varietà toscana, la varietà romana, la varietà meridionale. Non abbiamo niente da obiettare a questi punti di vista, essendo questi a nostro giudizio un quadro giusto e realistico della situazione linguistica dell'ltalia d'oggi. Un breve elenco (pp. 11-14) di lavori sulla fonetica e sulla fonematica italiana è utile, ma ulteriori commenti sono superflui.

Nelle pp. 14-27 si tratta generalmente tutto ciò che ha attinenza alla fonetica, mentre nelle pp. 27-32 ci s'occupa del lato fonematico, tutto in modo chiaro e preciso. È interessante notare (p. 19) che le vocali [i] e [u] non vengono considerate in un gruppo a parte, come nella maggior parte delle descrizioni, in cui ciò avviene perché solo queste vocali sono ritenute poter apparire come semivocali o semiconsonanti[i, ù]. L'autrice invece parla di vocali asillabiche, una qualità che possono prendere tutte le vocali italiane: [Í, è, à, ò, ù], per cui [i] e [u] dunque non si distinguonodalle altre vocali. Tale modo di vedere ci sembra offrire dei precisi vantaggiperché la descrizione è resa più omogenea, e, forse, è più conforme alla realtà fonetica. Ciò detto, questo recensoretiene a sottolineare però che con questo parere non intende immischiarsi

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nella discussione degli specialisti della
materia!

Nell'ultima parte dell'introduzione (pp.
32^4-0) viene spiegato il sistema di trascrizione
usato nel libro.

Nel capitolo I si tratta il sistema vocalico, prima da un punto di vista generale, e poi si descrive particolareggiatamente ogni singola vocale, così la sua fonematica come la sua fonetica. L'autrice discute spesso i pareri di altri studiosi, quali Tagliavini, Muljacic, Hall, Saltarelli,Valesio, Camilli, E. B. Davis, Castellani, Fiorelli, e nella stragrande maggioranza dei casi propendiamo per l'opinione dell'autrice. Ci permettiamo una piccola osservazione per quanto riguarda i termini «accent grave» e «accent aigu». Sarebbe più naturale in questo libro usare i corrispondenti italiani «accento grave» e «accento acuto ». I brevi elenchi di parole in cui la e eia. o toniche sono pronunciate diversamente a Firenze e a Roma sono utili e informativi, dando al lettore un'idea delle differenze principali di pronuncia fra i due centri linguistici. A pagine 103 la parola «rozzo» è trascritta [rrottso]. Questo è un errore, poiché la pronuncia corretta e [rroddso].

Nel capitolo II si descrive il sistema consonantico, seguendo gli stessi principi del cap. I. Siamo d'accordo con l'autrice nel considerare il tratto sordo del fonema IH come ridondante, cioè non distintivo (p. 115), dato che nell'italiano standard non esiste /3/. E parlando dell'italiano standard, non si può, come Muljacic, tener conto della variante vernacolare fiorentina [3] di /d3/. Ci associamo anche all'opinione della Skytte quanto alle geminate, che fonematicamente sono definite due fonemi identici susseguentisi l'uno all'altro e foneticamente due varianti dello stesso fonema che si susseguono luna all'altra, il che ha come risultato un unico suono prolungato. È questa la cosiddetta «interpretazione pretazionebifonematica » delle geminate.

Per quanto riguarda le affricate (/ts/, /ds/, /tjy, ¡azf), si adotta l'interpretazione monofonematica, cioè esse vengono considerate un fonema solo, non due. Anche foneticamente sono ritenute un suono solo, essendo queste suoni con intensione di occlusive e con distensione di fricative.

Nelle pp. 146-148 si parla della variante toscana e dell'ltalia centrale in generale [J] di /tjl/. Questo [f] invece di [tj] non è ammesso nell'italiano standard vero e proprio, cosa che si sarebbe potuto precisare più esplicitamente.

Trattando i fonemi /s/ e /s/, si constata che un'opposizione fonematica fra questi in posizione intervocalica esiste solo nella variante linguistica fiorentina/toscana (pp. 148-154). Discutendo l'incertezza dello stato fonematico di /s/ in tale posizione nell'italiano standard, si fa presente l'apparente regressione dell'opposizione /s/-/s/ nella variante fiorentina/toscana, per cui l'evoluzione sembra andare verso un solo fonema /s/ con una variante sonora in posizione intervocalica. Il ruolo dell'uso settentrionale viene indicato cerne un fattore importante di quest'evoluzione. Comunque, ciò che è importante in questo contesto è che la pronuncia sonora della s intervocalica è comunemente accettata come buon italiano, cioè nell'italiano standard. Di questo fatto, a nostro parere, si dovrebbe tenere maggior conto nell'insegnamento dell'italiano.

A pp. 165 sgg. si trattano le nasali. Ciò che qui ha particolare interesse è la discussionedelle varianti in posizione di neutralizzazione.L'autrice sembra adottare il punto di vista che un suono in posizione di neutralizzazione rappresenta il fonema a cui somiglia maggiormente, sebbene ammettache tale soluzione non sia pienamentesoddisfacente. Questo ha come conseguenza che n, che secondo la posizionesi può pronunciare [n], [rj], [rrj] e

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[m] (p. e. in «pane», «banco», «inferno» e «non posso»), in «pane» [rpa-ne] e «banco» [rbarjko] è considerata fonematicamente/n/ perché più somigliante a tale fonema, mentre in «inferno» [irrj- rferno] e «non posso» [nomrposso] è ritenuta foneticamente /m/ perché più somigliante a questo fonema. Non nascondiamoche esitiamo ad accettare il parere sopra esposto. Personalmente saremmopropensi a vedere in [n], [n], [rrj] e [m] in simili posizioni tutte varianti combinatonedel fonema /n/, trattandosi in realtà in uno solo di questi casi di una vera e propria posizione di neutralizzazione([no mrposso]), cioè di un caso di sincretismo del fonema /n/ e del fonema /m/. Questo modo di vedere ci risulta ancorapiù «naturale» quando si tiene conto dei casi di mancata assimilazione della n, p. e. per enfasi in «non posso» [rnon rposso] o per marcatura di confine di morfema in «con piacere» [konpïartfe-re] e in «in barca» [inrbarka], e simili. Per noi è alquanto artificiale che uno stesso identico sintagma come «in barca», contenentesette determinati fonemi (IH, /n/?, /b/, /a/, /r/, /k/, /a/), a seconda la pronuncia [imrbarka] o [inrbarka], sia ritenuto contenere nel primo caso il fonema/m/ e nel secondo il fonema /n/ senza alcun cambio di significato. Non è questa mancanza di cambio di significato la prova che si tratta di varianti di un unico fonema e non di due fonemi diversi ? Obiezioni simili si possono fare ad altri casi paralleli. Un'osservazione a un affermazioneerronea a p. 175: il portoghese rappresenta ortograficamente il suono [ji] con nh, non /?, che è solo una lettera spagnola.

Nel capitolo 111 (pp. 186 sgg.) si descrivono le tendenze di pronuncia di parole d'origine straniera in uso in italiano. È un capitolo che sotto vari aspetti è molto utile. Forse si sarebbe dovuto ancora di più mettere l'accento sulla tendenza a adattare o avvicinare le parole di questo tipo alla struttura fonetica comune italiana. Malgrado il DOP, pochissimi italiani pronunciano «Shakespeare» [rJe¡kspia]. La stragrande maggioranza dice [rJeïkspir] se non addirittura [rJespir]. «Hobby», dove il DOP indica solo [rhobi], si pronuncia anche [robi]. Un italiano, anche se colto, normalmente non pronuncia la nasale [à] in parole francesi quali «champagne» e «hangar», ma dice piuttosto [Jamrpaji] e [arjrga-r]. E anche a dispetto del DOP, la pronuncia più diffusa di «harem» è [ra-rem].

Il capitolo IV è una descrizione della struttura fonotattica dell'italiano, cioè della struttura combinatoria dei fonemi in unità più grandi. L'autrice adotta, come p. e. Devoto e Muljacic, una divisione in tre parti del sistema italiano: primo, secondo e terzo sistema fonologico (p. 218), a seconda del tipo di parola in questione. È senz'altro un modo giusto e realistico di vedere le cose. In altri termini, si può dire che fonotatticamente l'italiano contiene tre strati sovrapposti. Un'osservazione: la pronuncia italiana più comune di «detective» è [dertektiv] e non l'inglese [dirtektiv], come la vuole il DOP. 11 capitolo, che tratta un aspetto non spesso descritto della lingua italiana, da un quadro chiaro e istruttivo della situazione fonotattica dell'italiano d'oggi.

Nel capitolo V si descrivono i fenomeni fonetici nella frase, fra l'altro si da ampio spazio al cosiddetto raddoppiamento sintattico, che per lo straniero indubbiamente è fra le particolarità dell'italiano più difficili da imparare.

II capitolo VI è dedicato alla prosodia in generale e il cap. VII all'accentazione, la quale è l'unico elemento prosodico ad avere una vera e propria funzione distintivasemantica in italiano. Qualche osservazione:la pronuncia più comune di «Teseo» è [terse-o], non quella con l'accentosulla prima sillaba (p. 313). A propósitodi

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pósitodi«Matusalem» (p. 315), la forma
«Matusalemme» [matusalemme] è quellacomune
in italiano.

Il libro termina con un capitolo sull'ortografia
e con un testo trascritto.

Infine una lamentela che sono certo di esprimere anche da parte di molti altri che si servono o si serviranno del libro: esso avrebbe meritato una migliore veste tipografica; l'attuale da un punto di vista tecnico rende il libro poco piacevole da leggersi.

Bergen