Revue Romane, Bind 10 (1975) 1

Vestigi della teoria foscoliana del sonetto

di

Gérard Genot

0. Premessa

I sonetti del Foseólo sono stati ripetutamente, e spesso egregiamente studiati e commentatil, e può sembrare ormai difficile aggiungere qualcosa all'abbondante messe di consensi, dissensi, osservazioni tecniche e critiche di cui è stato oggetto questo esiguo corpus. Sembra tuttavia che debbano ancora essere, se non chiariti, almeno riformulati due problemi generali. Uno, per la verità già intuita da vari commentatori, ma forse con insufficienti risultati, è quello della consistenza dell'insieme come testo, cioè come unità composita, e sarà trattato in altra sede2. L'altro, che è oggetto della presente nota, è quello della «teoria» del sonetto, o più precisamente della concezione foscoliana del sonetto, concezione invero non formulata astrattamente né sistematicamente, ma che si può ricavare da vari scritti e, come ci accingiamo a dimostrare, ricostruire con sufficiente probabilità e coerenza.

Le fonti di cui ci siamo serviti sono essenzialmente due : (a) i Vestigi della storia del sonetto italiano, del 1815, e (b) i Saggi sul Petrarca, scritti e riscritti tra il 1819 ed 18233, e particolarmente il secondo, Saggio sopra la poesia del Petrarca, in cui compaiono più numerose osservazioni «tecniche».



1: Per la bibliografia foscoliana, v. A. Ottolini, Bibliografia foscoliana, Firenze, 1921 ; Venezia, 1928 (fino al 1920); R. Frattarolo, Studi foscoliani, Bibliografia della critica (1921-1952), «Amor di libro», 1953 ... Una bibliografia aggiornata al 1970 si trova in: G. Paparelli, Storia della «lirica» foscoliana, Napoli, 1971. Fra i libri di critica che dedicano analisi approfondite ai sonetti, basti ricordare: R. Ramat, Itinerario ritmico foscoliano, Città di Castello, 1946; M. Fubini, Ugo Foseólo, Firenze, 1931; 1969.

2: L'analisi dei tre testi costituiti dalle edizioni di Pisa (1802) e Milano (18O3a e 1803b) è tema di un seminario del Centre de Recherches de langue et littérature italiennes della Università di Paris Nanterre, di cui la presente nota costituisce la relazione di apertura.

3: I testi si trovano: (a) Vestigi della storia del sonetto italiano, in Edizione Nazionale delle Opere di Ugo Foseólo, vol. Vili, a cura di L. Fassò, Firenze, 1933, p. 119-148; (b) Saggi sul Petrarca, in E.N.0.U.F., voi. X, a cura di C. Foligno, Firenze, 1953.

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Queste fonti parateoriche presentano due caratteri di cui occorre dire qualche cosa prima di analizzarle. Il primo è la loro collocazione cronologica relativamente tardiva nella produzione foscoliana: praticamente si tratta di scritti occasionali, e che non possono essere considerati come programmi o frammenti di una «poetica» precettistica, nel senso in cui si parla, per esempio, di una poetica tassesca (come si vedrà, il raffronto non è del tutto casuale). Ma si tratta senz'altro, in un periodo in cui la vena creativa del poeta si può dire in un certo senso - non troppo drammatico - esaurita o meglio, dispersa, di un ritorno sulle ragioni della propria poesia, vista come parte di una tradizione, di una storia, e cioè, per chi ricordi la concezione foscoliana della storia in rapporto con la letteratura4, di un sistema. Il valore indicativo di questi scritti non deve quindi essere sottovalutato in base ad una presunta esteriorità, prevalentemente cronologica ed aneddotica, rispetto alle creazioni poetiche del Foseólo, e in particolar modo dei ben più giovanili sonetti.

Il secondo carattere, che a parer nostro accresce ancora il valore di queste riflessioni in rapporto alla poesia dell'autore, è più spiccato nei Vestigi, ma non ci sembra del tutto assente dai Saggi. Ed è il carattere antologico, apparentemente soprattutto illustrativo, della trattazione. Nei vestigi, si tratta esplicitamente di fornire una breve antologia dei sonetti più belli e/o più caratteristici del sonetto italiano come genere, e non solo come forma metrica-strofica fissa della tradizione; dai Saggi, sceglieremo i passi pertinenti, in cui il Foseólo, con gusto o sensibilità o forse metodo già moderni, illustra l'ecceilerua del Petrarca, e nello stesso tempo addita con precisione i caratteri che, pur non essendo ancora difetti veri e propri nel grande poeta, lo diventeranno nei suoi mediocri ed innumerevoli imitatori. La scelta e la visuale del poeta-critico sono dunque parziali, nel doppio senso della parola (fr. partielles/partiales) e, per questa ragione, indicative in quanto particolarmente motivate da considerazioni d'interiorizzazione ed immedesimazione, che talvolta superano perfino l'ambito di quella che continueremo a chiamare teoria del sonetto, si vede ora in qual senso ed entro quali limiti.

La teoria foscoliana si può articolare in quattro capitoli interdipendenti,



4: Questa presenza reciproca della storia nella letteratura e della letteratura nella storia anima tutta l'opera del Foseólo, ma è elaborata con particolare vigore, come si sa, neW Orazione inaugurale di Pavia; e da forma e metodo anche, per esempio, alle Epoche della lingua italiana e in genere a tutta la critica del Foseólo, il che ne fa indubbiamente, come spesso e stato rilevato, il primo critico moderno (se per modernità s'intende, appunto, senso della storicità e sensibilità, come si direbbe oggi, antropologica).

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che per comodità esporremo separatamente, e che trattano (a) della tematica
e del tono, (b) della struttura e particolarmente dell'unità, (e) dello stile e
della lingua, (d) del rapporto della poesia con le altre aiti.

1. Tematica e tono

Occorre subito dire che la teoria foscoliana del sonetto, se teoiia è, riguarda essenzialmente il sonetto amoroso e religioso, con minime eccezioni; sarebbe forse più esatto dire sin da ora, pensando alla distinzione leopardianas, il sonetto sentimentale. Una prova a contrario si può leggere nella parte dei Vestigi in cui il Foseólo discorre della poesia imbarbarita del Seicento:

Due felici ingegni di quell'età scansarono la universale barbarie: l'uno è il
Chiabrera, che ritrasse le odi al genio antico de' Greci, e ne scrisse alcune insuperabili;
ma ne' sonetti fu maestro mezzano; l'altro è Tassoni; non perd so che
abbia lasciato sonetti, fuorché satirici. (Vestigi: 139)
(Qui e altrove, corsivo mio)

Difatti, fra le lodi tributate dal Foseólo agli autori da lui citati, ricorre il
termine di semplicità, talvolta unito a quello di gravita, come a proposito
del Bembo:

... questo sonetto6, che ha il pregio d'una semplice, grave e religiosa compunzione
. . . (Vestigi: 133)

In un altro caso, le stesse qualità sembrano combinarsi, sempre nel registro
sentimentale, con una maggiore levità, come nel commento al sonetto Vidi,
ahi memoria rea delle mie pene! di Cornelio Bentivoglio :

II sonetto, si per la novità, Y ingenuità, l'invenzione, e il sentimento ilare insieme
e patetico; si per la scena e freschezza campestre del quadro, e pel movimento
degli attori, è vaghissimo. (Vestigi: 143)

Domina tuttavia nella lettura del Foseólo un certo gusto della drammatizzazione,che
gli fa preferire e trascegliere testi in cui almeno il patetico ha il



5: Si tratta della distinzione immaginazione ¡sentimento, che ricorre spessissimo nello Zibaldone (725 sgg; 3154 sgg; 3344; ecc). Ci sono, al di là delle ovvie e si direbbe quasi necessarie differenze, notevoli coincidenze tra la concezione leopardiana della poesia in genere e quella foscoliana (soprattutto riguardo al sonetto), per cui v. il mio Memoria e metafora - Linguaggio e poesia in Leopardi.

6: Già donna, or Dea; nel cui virginal chiostro.

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sopravvento sulla novità e invenzione. Sulle ragioni di questo gusto, e soprattuttosulle ragioni autobiografiche, è ormai superfluo dilungarsi; ma forse non sarà inutile rilevare con quanta cura il poeta, in molteplici occasioni, nei due testi che stiamo esaminando ed in altri, prenda la pena di ricordare le posizioni politiche e gli esilii patiti dai suoi poeti7. Nei Vestigi, viene cosi scolpita a tutto tondo l'altera e nobile figura di Guido Cavalcanti, di cui cita, oltre che il sonetto Chi è questa che vien ... l'inizio della ballatetta Perch'io non spero di tornar giammai*', i termini usati nel ritratto verbale sono troppo vicini ad alcune formule dei sonetti perché ci si possa dispensare da una citazione soltanto in apparenza esteriore al tema della presente riflessione:

Fiorentino; fu d'alto animo, e d'acuto ingegno; fu prode in armi; amatore disinteressato della sua patria; lodato dopo la sua morte da tutti gli storici, se non che lo accusano tutti d'indole troppo altera e sdegnosa. Ma le umane virtù hanno tutte l'innesto d'un vizio. E doveva pur essere dotato di predominante carattere: ... e mori in esilio ... {Vestigi: 124)

Fondamentale dunque nel sonetto, è una ispirazione insieme semplice e grave, fino ad una certa drammaticità, che gli fa giudicare bellissimi molti sonetti dell'Alfieri, anche se hanno difetti, in grazia appunto della qualità della tematica e del tono (v. § 3). Questa serietà e le sue conseguenze letterarie, vengono analizzate con mirabile chiaroveggenza, e si direbbe quasi con moderna sensibilità alla significatività della forma, a proposito del Petrarca e del problematico rapporto, in lui, tra sincerità del sentimento e perfezione formale, che è oggetto del capo 111 del Saggio sopra la poesia ... :

Queste laboriose correzioni fecero pensare, fin da quando il Petrarca viveva, che i suoi versi fossero opera più da poeta che da amante .. . L'armonica eleganza e perfezione della sua poesia sono frutto di lunga fatica, ma i concetti primitivi e P affetto scaturirono sempre dalla subita inspirazione di profonda e potente passione. Mercé l'attenta lettura di tutti gli scritti del Petrarca, può quasi ridursi a certezza: - che coli'indugiare di continuo nelle stesse idee, e col lasciare la mente pascersi senza posa di sé stessa, l'intero corso de' suoi sentimenti e delle sue riflessioni contraesse un forte carattere e tono ; e che, se riusciva mai a rintuzzarli per alcun tempo, essi tornassero con accresciuta violenza; - che, per



7: Vestigi: 124 (v. sotto); Epoche della lingua italiana (Epoca terza); e nelle Postille a poeti {E.N.0.U.F., Vili) il Foseólo commenta lungamente la Ballatetta di Guido (v.p. 381J.

8: v. n 1; nel commento delle Postille, è molto accentuato l'avvicinamento al sonetto Merìtamente, però ch'io potei.

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sedare lo stato irrequieto della mente, egli nel primo caso, corrispondendo co' più intimi amici, comunicasse loro in libero e abbandonato modo tutto ciò che pensava e sentiva; - che quindi riducesse queste narrative con ordine e descrizione migliore in versi latini; - e che dall'ultimo le perfezionasse con maggior copia d'immagini e con più arte nella sua poesia italiana, la cui composizione da prima serviva unicamente, come dice più volte, «a divertire e a mitigare tutte le sue afflizioni». (Saggio 11, III)

In questa pagina, più che il fantasioso ricupero nel Petrarca dell'alfieriano «fortissimo sentire», che va fino alla ricostruzione di un metodo di scrittura che probabilmente risale anche in parte a quello, appunto, dell'Alfieri, colpisce il rapporto diretto tra ossessione sentimentale e stile, cosi forte che il «forte carattere e tono» contratto dai sentimenti e dalle riflessioni, definisce con molta precisione una passione della forma per cui, nella lettura del Foseólo, il Petrarca tende, attraverso le mediazioni formali della confidenza e dell'epistola latina, ad una sintesi che è insieme quella dell'esperienza (riflessa e quindi riordinata) e del linguaggio (ripercorso dalla libertà alla regola, e, forse distintamente, dal latino all'italiano, anche come ritorno ad una relazione più diretta, ma conquistata, non semplicemente vissuta nell'abbandono).

Cosi, l'analisi foscoliana del modus operandi petrarchesco tende a presentare i versi italiani (e particolarmente i sonetti) come il punto d'arrivo di un processo drammatico, di una lotta, appunto contro la «bella forma», scopo elusivo che funziona come spazio di riferimento all'emergenza del «sentimento». Di conseguenza, \a forma diventa lo sfondo sul quale spicca la gestalt del sentimento; la forma è le fond de Vaffaire, ed il testo è il dramma: il testo non rappresenta, o rappresenta se stesso, la strenua lotta tra forma e sfondo, che sono due istanze interdeterminate. Lo scrivere costituisce cosi l'azione medesima, struttura omologa e parte della storia, e testimonia per quella non su un piano rozzamente figurativo, ma come modello. Perciò il soggetto della scrittura è il testo, ciò che scrive è ciò che si scrive, come lampo (o salto) tra i contrari interdipendenti, forma e sfondo, vizio e virtù, nulla eterno e spirto guerrier ch'entro mi rugge.

Ora, questi vari caratteri additati dal Foseólo come fondamentali, sono si caratteri generali della poesia lirica, sempre nella concezione foscoliana della liricità, ma diventano distintivi del genere sonetto in quanto quest'ultimotende a potenziarne alcuni: se mancano, il sonetto potrà al massimo essere «mezzano», se invece acquistano una funzione centrale, il sonetto si potrà dire perfetto o quasi. Perfetto sarà in sostanza il sonetto in cui, nella

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ristrettezza (mai messa in discussione) della cornice metrica, la brevità saprà farsi sinonimo di vastità nella sublime semplicità della sintesi : e non a caso il Foseólo cita ben due volte (Vestigi: 138; Saggio II: VII) il sonetto tassiano Amore è alma del mondo, Amore è mente, in cui il fatto particolare (l'amore aneddotico) viene a mescolarsi ordinatamente all'ordine dell'universo grazie alla forza formale della legge poetica, splendidamente operante nel «breve e amplissimo carme » che sarà ulteriormente lodato da poeti come il Carducci e D'Annunzio, e recentemente ripreso come una delle forme inesauribili della tradizione letteraria, acquistando le nuove dimensioni del gioco e della matematica9.

2. Struttura e unità del componimento

La visione del sonetto come carme, poema quasi, è implicita nella cura con cui il Foseólo cerca ripetutamente di definirne l'unità, che potrebbe essere superficialmente considerata come scontata da un osservatore disattento, data la brevità lessicale e sintattica alla quale costringe la strettissima misura metrica. Ecco per esempio come il Foseólo commenta un sonetto del fiorentino Benedetto Menzini:

La maestria consiste principalmente nella spontaneità del dialogo, nella proporzione
e varietà delle tre parti del componimento, e nella unità in cui si concentra
la verità morale che è l'anima di questo sonetto. (Vestigi: 141)

Cancelliamo le ultime parole, il commento sembra descrivere un testo di ben maggiore ampiezza. Esempi di questo genere abbondano nei commenti foscoliani, come vedremo trattando via via punti particolari. Una riprova di quest'atteggiamento si ha nella critica mossa dal poeta al sonetto ch'egli cita di Giusto de' Conti :

... in questo sonetto vedesi un bel lavoro intarsiato di pensieri alti e finissimi;
bel lavoro a dir vero ; ma pur sempre a mosaico, senza creazione e senza unità
di composizione. (Vestigi: 129)



9: Carducci, Rime nuove, 11, I (Alsonetto), II (IIsonetto); D'Annunzio, Intermezzo di rime (II sonetto doro). Oltre Saba, i poeti francesi Aragon, Guillevic e ultimamente Jacques Roubaud, nel suo libro e, hanno inserito il sonetto in varie e raffinate strutture (come i sonetti di sonetti di Roubaud) esplicitamente definite in rapporto alla musica o ai giochi di strategia (il gioco di GO in Roubaud).

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L'immagine, che già compariva nella Notizia intorno a Didimo Chiericolo,
attesta della fondamentale coerenza e continuità di certe posizioni criticoteoriche
del Foscelo.

In realtà, la critica del poeta, in questo caso, nasce da una sua profonda
avversione ad un atteggiamento ch'egli ritiene decisamente «moderno»: il
«gusto analitico»:

A uno scrittore moderno, costretto a tessere poesia più secondo il gusto analitico
de' propri tempi, che secondo le poetiche dottrine del Petrarca . . .
(Saggio 11, IX).

A questa attitudine analitica, il Foseólo contrappone immediatamente un
altro tipo di comprensione:

Sembrerebbe ch'ove non comprendiamo distintissimamente i pensieri di un poeta,
i suoi versi dovessero perdere non poco dell'effetto loro; pure quanto è con
profondità sentito, presumiamo che sia distintamente compreso. (Saggio 11, IX)

Tuttavia, si deve stare attenti a non generalizzare e radicalizzare questa posizione, che è si, come abbiamo detto, in gran parte critica generale ad una mentalità del tempo, ma di cui non si può dire che informi globalmente l'ideologia letteraria del poeta. La critica contro il gusto analitico è attacco contro un tipo di unità che non è congeniale al genere del sonetto.ll Per esempio, nel commento al sonetto Ahi quanto fu al mio Sol contrario il fato di Vittoria Colonna, il Foseólo scrive:

... è componimento lodatissimo nelle scuole, poiché espone con frasi eleganti una serie di argomenti concatenati ... Si fatta guisa di sillogismi rimati erano e sono in gran voga; ma domandano piuttosto arte che genio; e dove non sono immagini, non è poesia; bensì questo sonetto regge alla lettura per il dolore che vi traspira. (Vestigi: 134)



10: Notizia ... X: «Richiesto da un ufficiale, perché non citasse mai le odi di quel poeta (Orazio, di cui Didimo commenta le epistole), Didimo in risposta gli regalò la sua tabacchiera fregiata d'un mosaico d'egregio lavoro, dicendo: Fu fatto a Roma d'alcuni frammenti di pietre preziose dissotterrate in Lesbo.

11: Per capire i limiti ed il senso dell'avversione foscoliana al «ragionamento», basta confrontare due attachi simili, che però si sviluppano in modo del tutto diverso: quello del sonetto Forse perché della fatai quiete, in cui il «ragionamento» abbozzato rimane sospeso ed ha la funzione di avviare la contemplazione; e quello dei Sepolcri; in cui la domanda «è forse il sonno / Della morte men duro? ...» (vv. 2-3) si articola sul «Ma perché pria del tempo ...» (v. 23) e poi sul «Sol chi non lascia eredità d'affetti » ... (v 41). È vero che nel seguito del carme al ragionamento astratto sottentra una fitta successione di immagini, le quali però non perdono un fondamentale valore dimostrativo, sul filo di una struttura altamente retorica (nel senso rigoroso del termine, che è quello di elaborazione di un discorso giudiziario).

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E, di Angelo di Costanzo napoletano, con più brusca disinvoltura:

... per essolarte de' sillogismi in sonetti giunse alla perfezione: sciaguratissima
perfezione! (Vestigi: 137)

Né questo contraddice, per esempio, alle lodi tributate al Tasso per il sonetto già ricordato (v. § 1). Difatti, l'unità sintetica nel sonetto è affidata ad altri procedimenti, legati direttamente alla misura stessa del componimento, che deve insomma, nel breve giro sintattico-metrico, dare l'illusione della vastità o meglio produrne una immagine plausibile.

Cosi, la principale qualità, che fu del Petrarca, è una certa rapidità, una
successione sfolgorante di immagini (o di aperture immaginose) :

Ma dovunque gli avvenga di spiegare astratte idee, o di penetrare ne' recessi del cuore, il Petrarca non si trattiene a definire ed amplificare ; ma adopera ogni industria dell'arte, accioché le immagini trapassino, qual fulgido e rapido lampo, per la mente di chi legge. (Saggio 11, Vili)

Anche in condizioni sfavorevoli, apparentemente contrarie alla natura stessa della poesia lirica (idee astratte, con pericolo di ragionamento) e soprattutto del genere sonetto (profondità del sentimento, con pericolo di indugiare nell'analisi), il Petrarca seppe dimostrare che è possibile comprendere nel sonetto, mediante un' adeguata tecnica del trapasso delle immagini, la vastità e la complessità. Per un merito di questo genere viene salvato il sonetto Quella cetra gentil che in su la riva dello sciagurato Angelo di Costanzo:

Pur questo componimento è il solo, per avventura, nel quale il Costanzo, tenendo altra via [che non quella dei sillogismi in sonetti], sia riescito poeta .. . Vedi i quattordici versi concatenati spontaneamente in un solo periodo, cosi che tu, leggendo, stai pur sempre attento sino alla fine a quella cetra appesa alla quercia. (Vestigi: 138)

In quest'ultimo caso, si aggiunge una precisazione: non solo il rapido trapassare delle immagini, ma la loro concatenazione conferisce unità al componimento : e sul senso (come significato e come orientamento) di questa concatenazione il Foseólo non ci lascia privi di chiarimenti, suscitati dalle sue riflessioni sul Petrarca, Della Casa ed altri: e, con apparente paradosso, egli vede spesso l'operazione di unificazione in una rottura. Cosi nel sonetto petrarchesco In qual parte del Cielo, in quale Idea (CLIX) :

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Pure in questo medesimo sonetto, ove si dispiega la teorica di Platone ... il
poeta esclama improvvisamente:
bench'è la somma di mia sorte rea!
Cosi il fulgore délia descrizione viene maestrevolmente temperato con un solo
verso . . . (Saggio 11, IX)

La convergenza/rottura è affermata come grandissimo pregio (ma pregio,
se si può dire, dialettico, come alternativa storica) di Della Casa:

II merito della sua poesia consiste principalmente nel collocare le parole e spezzare
la melodia de' versi con ... ingegnosa sprezzatura ... (Vestigi: 137)

Su altri aspetti della lettura foscoliana di Della Casa, torneremo più oltre (v. § 4), ma fin da ora si può vedere che l'influsso, largamente riconosciuto, del verseggiare dellacasiano su esperimenti come Alla Sera e più ancora A Zacinto, è da collocare precisamente nell'ambito di una prassi (e di una implicita teoria) dell'unità del sonetto come tensione ed equilibrio (v. lo «stai pur sempre attento sino alla fine» sopra citato). Siamo ancora più vicini alla tecnica, che diventerà poi quella di Brise marine di Mallarmé o di Alle fronde dei salici di Quasimodo, con il commento al sonetto Io non vedrò poiché il cangiato aspetto di Quirico Rossi :

II sonetto è davvero profetico, e degno di qualunque poeta. Sino a tutto l'undecimo verso parla Simeone a Maria, la quale presenta all'altare Gesù bambino. I tre ultimi versi hanno in sé si schietta, e si divina e passionata bellezza, che avrebbero potuto guidare la mano di Raffaello a dipingere la Rassegnazione della Vergine. (Vestigi: 145)

Anche qui, però, l'unità prodotta dalla rottura sarà da riferire ad una diversa
tecnica artistica, che non si deve mai perdere di vista quando si voglia definire
con esattezza l'estetica poetica del Foseólo (v. § 4).

Comunque, tensione e brevità sono legate, cosi che anche in casi estremi, l'eventuale difetto dell'oscurità è sempre minore dell'artificio che deriva da un eccesso di logicità ed articolazione. Significativa a questo riguardo la lieve contraddizione in cui incorre il Foseólo quando parla dello stile petrarchesco ; scrive infatti nel Saggio sulla poesia ... :

Alcuni passi sono, non v'ha dubbio, troppo brevi ed oscuri nel Petrarca; nondimeno tanto il lettore sentesi rapito dal calore della passione dell'amante, che gli par di capire a tutta prima ciò che in effetto a dipanarsi richiede qualche ponderazione. (Saggio 11, IX)

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Qui «dispanare» vale ovviamente «analizzare», ed attraverso questa equivalenza non del tutto priva di polemica si capisce meglio come il Foseólo avesse potuto scrivere pochi anni prima nei Vestigi, commentando il sonetto

Nel verso nono, in quelle parole mira per bellezza sottintendesi facilmente per trovare; ed è uno de' mille modi spediti co'quali questo poeta padroneggiando la lingua seppe abbreviarla, arricchirla e nobilitarla; e riesce chiarissimo sempre: bensì chi vuole in questa parte imitarlo riesce oscuro; tanto può l'ingegno! (Vestigi: 127)

La sua tendenza a dramatizzare il processo di scrittura per commisurarlo direttamente (come omologia e non come rispecchiamento) ai grandi drammi sentimentali - passione amorosa, contemplazione religiosa, strazio politico -, porta qui il Foseólo a chiarire, anche se in modo burrascoso e forse non del tutto consapevole, la «differenza» tra lo stile del Petrarca (ed il senso di questo stile) e quello dei suoi pallidi epigoni:

Principalmente nella espressione del dolore il Petrarca entra in ogni cuore, ed ogni cuore entra nel suo. Nettezza di dizione, delicatezza di sentimento, estasi platonica, tutto cede alla violenza del suo dolore; e noi rimiriamo lo spaventoso conflitto tra la ragione e la disperazione, tra la passione e la religione. (Saggio 11. XI)

Anche qui, si potrebbe, volendo, leggere una contraddizione rispetto, e
all'analisi citata nel § 1, e ad ammissioni che suonano quasi come critiche de]
poeta di Laura :

Se il Petrarca non avesse abusato senza modo delle antitesi, troppo di frequente ripetute le iperboli, troppo spesso paragonata Laura al sole; i numerosi plagiari di lui, che però non seppero mai imitarne le bellezze, non sarebbero stati cotanto insigni pe'loro vizi .. . (Saggio 11, V)

Ma appunto, mettendo ora insieme i vari passi che abbiamo via via riletto, appare manifestamente che le riserve, se riserve sono, toccano meno il Petrarca come poeta che come maestro, capo di una scuola da lui non immaginata né voluta e quindi rimane intatta la valutazione positiva dell'ispirazione e soprattutto della tecnica di lui, mentre si allarga e si chiarisce, nel caso particolare, la distinzione tra conflitto e antitesi o iperbole Le analisi di altri sonetti ci permettono di capire, attraverso le nozioni di proporzione, rottura, ecc, che il rimprovero mosso al Petrarca, in questo caso, è di avere

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affidato l'espressione del suo tormento interiore a figure retoriche isolate,
piuttosto che alla stessa struttura del sonetto, che era ne capace (nel senso
più strettamente etimologico).

3. Stile e lingua

Con queste ultime osservazioni, si tocca già un altro livello della scrittura, almeno nella perdurante gerarchla di ormai lontana derivazione aristotelica: materia (tematica, § 1), favola (unità strutturale, § 2), elocuzione infine. Sul piano della lingua in generale e della lingua poetica in particolare, le osservazioni direttamente riferibili al sonetto sono piuttosto scarse, ed occorrerebbe cercare piuttosto nelle Epoche della lingua italianal2 per trovare una trattazione più ampia. Comunque il poco che possiamo trovare, nei Vestigi principalmente, è già di per sé abbastanza indicativo.

Legata alla tematica ed alla semplicità e gravita che devono esserne caratteri prevalenti, appare l'esigenza di una lingua calibrata e scelta in cui sia la trivialità che la soverchia letterarietà siano, se non escluse, almeno eccezionali e contemperate da altri caratteri, o giustificate eventualmente da requisiti tecnici. Cosi scrive dei sonetti dell'Alfieri:

Parecchi de' suoi sonetti, benché abbiano poca musica e certa trivialità di voci
qua e là, possono ad ogni modo andare del pari co' più lodati in Italia. {Vestigi:
147)

In un sonetto di Galeazzo di Tarsia, rileva :

... ferule per ferite non si direbbe oggi, se non da chi non si vergognasse di
servire aiia rima. (Vestigi: 136)

Comunque, il Foseólo afferma, seppure en passant, l'importanza della tradizione
linguistica, come nel commento al sonetto di Veronica Gambara:

e i poeti alle volte non fanno male a giovarsi dell'esempio e dell'autorità della
lingua latina. (Vestigi: 135)

A proposito di Cino da Pistoia, dopo aver citato il sonetto Mille dubbi in
un di, mille querele, commenta :



12: E.N.0.U.F., voi. IX, a cura di C. Foligno, 1958.

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... era giureconsulto, e ricavò l'idea ele frasi di questo sonetto dalla scienza
ch'ei professava. (Vestigi: 126)

La scelta da parte del poeta-critico di questo sonetto come rappresentativo della poesia di Cino, indica con molta probabilità che l'osservazione non contiene alcuna critica negativa. Difatti, è vero che una delle lodi tributate nello stesso tempo a Guittone ed alla lingua italiana (ed altrove al Petrarca) è proprio la perdurante leggibilità:

In questo sonetto non trovo parola che oggi non s'usi. La lingua italiana, con
unico esempio nella storia degl'idiomi, conserva freschi per seicentenni quasi
tutti i suoi vocaboli e modi di dire. (Vestigi: 123)

Lo stesso dice del Petrarca, proprio nell'atto di definire il modo in cui il poeta di Laura assimilò e nello stesso tempo rinnovò la lingua, fissandola non in senso statico ed archeologico, bensì nella dinamica di una potenziale produttività, purtroppo travisata e traviata dai suoi seguaci e dai loro successori, tra i quali Marino (Vestigi: 139):

II Petrarca all'opposto (del Metastasio), non pure vigorosamente afferrò, e bellamente usò tutta la ricchezza delle parole, tutta la varietà del numero, tutte le grazie e l'energia e gl'idiomi della propria lingua, ma vi naturò quelli de' poeti provenzali e spagnoli. Nessun vocabolo adoperato da lui è caduto dalF uso ; ed ogni sua frase può essere, ed è tuttavia, scritta senza affettazione. Nel tempo stesso ch'egli accresce i materiali onde i*italiana lingua, «li già abbondava, pare che la impronti di fresca e novella creazione . . . (Saggio 11, XIII)

E qui ricordiamo che l'arricchimento di cui, secondo il Foseólo, il Petrarca fu benefico operatore consiste essenzialmente nella giusta collocazione in cui brevità e chiarezza si combinano, e per la quale il Foseólo ricorre non a metafore, ma a modelli descrittivi mutuati da altre arti.

4. Sonetto, pittura, musica

Più volte ricorrono sotto la penna del Foseólo, sia nei Vestigi che nel Saggio sopra ta poesia, termini tecnici propri della pittura (pennellata, chiaroscuro) o della musica (armonia, ritmo, numero). È superfluo indugiare a descrivere quella parte dell'estetica foscoliana (in ciò puramente neoclassica) che afferma la profonda parentela delle arti e insegue e vagheggia la loro compenetrazione: basta ricordare la formula emblematica, in cui confluiscono scultura (riferimento globale a Canova), musica, pittura e poesia, con cui si apre il primo inno delie Grazie:

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... a voi chieggo l'arcana
armonïosa melodia pittrice
délia vostra beltà . . . ( Venere, 4-6)

Bisogna subito avvertire che non si tratta di una meccanica formulazione di
vaga analogia ; a proposito del verseggiare di Della Casa, il Foseólo stabilisce
esplicitamente una relazione a livello tecnico-strutturale:

II merito della sua poesia consiste principalmente nel collocare le parole e spezzare la melodia de' versi con tale ingegnosa sprezzatura da fare risultare l'effetto che i maestri di musica ottengono dalle dissonanze, e i pittori dalle ombre assai risentite. (Vestigi: 137)

La musica è ovviamente l'ai te più vicina alla poesia, ed il Foseólo ricorda
opportunamente l'origine etimologica di Sonetto (da suono) e Canzone (da
canto), ma non si limita a ciò, e precisa:

II sistema della musica italiana per contrappunto era stato creato tre secoli innanzi da Guido d'Arezzo ... La poesia non era a que' tempi il mero caput mortuum della musica; e l'umana voce, in luogo di venir sottomessa quale accessorio ali' orchestra, teneva la parte principale, ed era accompagnata da inanimati strumenti tanto solo, quanto fosse necessario a sostenerla, e a regolarne le modulazioni. Le parole potevano allora colpire l'orecchio di minor maraviglia che i toni. (Saggio 11, XI)

II Petrarca seppe dunque assimilare e potenziare quest'arte della melodia
verbale, e vi aggiunse di suo un senso particolare del ritmo e della misura:

Tutta ia poesia d'amore de' predecessori, da quella di Cino in fuori, manca di dolcezza di numeri ... La facoltà di serbare e variare a un tempo il ritmo è tutta sua: - la melodia ne' suoi versi è perpetua, e pur non istanca l'orecchio mai. (Saggio 11, XI)

A proposito non più dei sonetti, ma delle canzoni, e delle loro strofe lunghe
talvolta di venti versi, il Foseólo osserva una particolarità che è vera anche
per i sonetti :

Egli nondimeno collocò le cadenze in guisa da lasciare che la voce si fermi alla fine d'ogni tre o quattro versi, e fissò la ricorrenza della stessa rima, e le stesse pause musicali ad intervalli bastantemente lunghi per evitare la monotonia, e bastantemente brevi per conservare l'armonia. (Saggio 11, XI)

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Le cadenze commisurate sulla base di tre o quattro versi, e le ricorrenze rimatiche corrispondenti sono senz'altro una componente fondamentale della singolare eufonia petrarchesca, che nel sonetto acquista un valore supplementare rispetto alla canzone: quello di un adattamento ad una forma chiusa mentre la canzone ammette variazioni in numero praticamente illimitato.

Questa chiusura del sonetto, che fa di esso uno dei pochi generi tradizionali superstiti, e lo rende consono alla nostra sensibilità strutturale e matematic al3, spiega anche la precisione del linguaggio della tecnica pittorica nella critica foscoliana del genere. È indubbiamente molto propria la denominazione di pennellata per l'ottavo verso del sonnetto CLIX del Petrarca, {Vestigi: ìli) e più adeguata ancora è questa definizione dello stile strutturale di Onofrio Minzoni, a commento del famosissimo sonetto Quando Gesù con l'ultimo lamento:

... tratta i sonetti, che pur sono lavoro finissimo, a poche e grandi pennellate.
(Vestigi: 145)

Non si deve tuttavia concludere da questa critica che per il Foseólo il sonetto
sia un equivalente verbale della miniatura, perché poco prima aveva scritto
del Cassiani:

... ne' pochi sonetti da lui pubblicati, ridusse questo componimento a quadro,
e forse con assai troppa cura; e per conseguire esatteza pittorica pregiudicò al
genio poetico. (Vestigi: 144)

II sonetto sarà quindi forse una miniatura, ma non troppo léchée, e non dovrà ambire all'imitazione di quadri di maggiori dimensioni: il suo merito sta più nel chiaroscuro e nello sfumato che nel disegno troppo preciso e nei colori troppo curati : il suo valore di breve sintesi sta più nella suggestione che nella enumerazione - e ciò spiega anche in parte la «grande lacuna» che il Foseólo trova «nelle vicende della poesia italiana, e nella sua memoria» {Vestigi: 139) in corrispondenza del Seicento, che nel Sonetto, appunto, cercò cosi spesso, paradossalmente, di esaurire dettagliatamente un caso, una figura, un oggetto, una nozione, secondo un metodo che, generalmente condannato dal Foseólo, doveva sembrargli, nel sonetto, un errore d'im-



13: Non è un caso se propria dal sonetto si è iniziata una sistematica riesame in termini strutturali (e parzialmente generativi) delle forme fisse della tradizione: v. il sugestivo saggio di J. Gemnasca, «Decoupage conventionnel et signification», in A. J. Greimas. Essais de sémiotique poétique, Paris, 1972, p. 45-62, nonché, dello stesso Analyse Structurale des «Chimères», Lausanne 1971.

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postazione ed una inartistica stridenza, una profonda incomprensione del
senso della forma stessa del genere.

5. Conclusioni

II breve esame delle poche pagine in cui il Foseólo tratta, esplicitamente o meno, del sonetto in quanto genere, o forma testuale dotata di un proprio significato formale relativamente indipendente dall'argomento, ma capace di colorirlo, ci permette infine di farci una idea abbastanza precisa della concezione foscoliana del sonetto, che si può riassumere nei seguenti punti: (a) La tematica ed il tono sono caratterizzati dalla semplicità e gravita, ed il sonetto si addice quindi particolarmente alla poesia affetuosa, e consente anche una certa dramaticità per cui è capace di accogliere espressioni di sentimenti appassionati come l'amore, il senso religioso, la passione politica. (b) La breve misura del componimento non esclude una vastità ed ampiezza di visione e di effetto, la quale deve essere però affidata alla proporzione e ad accorgimenti strutturali, e non ad una vana ricerca di esaustività logica o descrittiva.

(e) Lo stile e la lingua devono essere temperati e comunque strutturalmente elaborati, e non dispersivamente raffinati nella ricerca del paiticolare retorico; l'armonia verbale, l'unità e varietà del ritmo, costituiscono la presenza del numero, regola fondamentale del genere.

(d) Oggetto musicale, il sonetto presenta anche, in virtù delle sue caratteristiche numeriche e della sua costitutiva chiusura, un oggetto precisamente omologabile alla pittura, di cui ritiene essenzialmente lo sfumato e l'evocatività, come vastità racchiusa in uno spazio ristretto.

Questi punti, insomma, ci sembrano in fin dei conti tracciare un programma abbastanza preciso per un riesame strutturale dei sonetti foscoliani, particolarmente in base ad alcune intuizioni (la corrispondenza delle arti) che, trattate finora spesso in modo esteriore (essenzialmente tematico), potrebbero trovare in recenti proposte della linguistica testuale precise conferme, che sono nello stesso tempo, conformemente alla natura tautegorica della poesia, strumenti analitici di già confermata efficacia, la cui applicazione sistematica al corpus foscoliano riserva, con ogni probabilità, ricche sorpresel4.

Gérard Genot

Nanterre



14: Oltre a E. Benveniste, Problèmes de Linguistique générale, Paris, 1966, occorre citare H. Weinrich, Le Temps, Paris, 1973, in cui appunto la nozione di rilievo, per esempio, viene linguisticamente definita, ed i suoi effetti analizzati con risultati promettenti.