Revue Romane, Bind 8 (1973) 1-2

Antonio Gramsci e il concetto di nazionale-popolare

DI

JØRGEN STENDER CLAUSEN

Le note di Antonio Granisci sulla letteratura, che furono pubblicate dal 1947 in poi - la maggior parte in Letteratura e vita nazionale - suscitarono, oltre ad un grande interesse ed ammirazione per l'intellettuale comunista, che morì nel 1937 dopo aver passato 11 anni nelle carceri fasciste, giudizi contrastanti sul loro valore. Secondo alcuni queste note potevano formare la base per una vera e propria estetica marxista, altri riconoscevano che vi erano degli elementi interessanti per una sociologia della letteratura, non divergendo il metodo gramsciano di trattare i problemi estetici in senso stretto da quello tradizionale del Croce, mentre altri ancora, dopo il presunto fallimento del neorealismo - del quale consideravano Gramsci una specie di teorico e propulsore - sostenevano, partendo da un punto di vista che era più politico che letterario, che lo scopo precipuo delle note gramsciane, era stato di dare l'avvio a una letteratura populista collegata a un movimento democratico-reformista.

Questa diversità di giudizi è favorita dalla forma stessa in cui il pensiero di Gramsci ci è pervenuto e dalle condizioni generali in cui l'opera sua è stata scritta. Gramsci fu arrestato nel novembre del 1926 e condannato nel giugno del 1928 a vent'anni di carcere per «impedire a questo cervello di funzionare» - queste sono le parole testuali del pubblico ministero. Soltanto nel febbraio del 1929 gli fu dato il permesso di prendere appunti di quello che leggeva, ciò che gli diede finalmente la possibilità di attuare il suo piano di studio descritto così già nel marzo del 1927 in una lettera alla cognata:

Ho pensato a quattro soggetti finora ... e cioè: 1. una ricerca sulla formazione dello spinto pubblico in Italia nel secolo scorso; in altre parole, una ricerca sugli intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc. ... 2. Uno studio di linguistica comparala. Niente meno. ... Si tratterebbe, naturalmente, di trattare solo la parte metodologica e puramente teorica dell'argo-

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mento. ... 3. Uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del
gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato e ha contribuito a
determinare. ... 4. Un saggio sui romanzi d'appendice e il gusto popolare
in letteratura.l

E infatti sul frontespizio del primo quaderno (col tempo i quaderni raggiunsero il numero di 32 con 2.848 pagine poi pubblicati in sei volumi col titolo complessivo di Quaderni del carcere) e' è uno schema che oltre agli argomenti nominati nella lettera alla cognata fra l'altro comprende : Cavalcante Cavalcanti: la sua posizione nella struttura e nell'arte della Divina Commedia; La quistione della lingua in Italia: Manzoni e G. I. Ascoli.

Ma per le disastrose condizioni di salute e a causa della lentezza e dell'irregolarità con le quali riceveva i libri e le pubblicazioni desiderati, quando non gli venivano negati, le annotazioni di Gramsci sono soltanto appunti, note sparse nei diversi quaderni, semplici spunti per una ulteriore elaborazione e sistemazione e non destinati alla pubblicazione. Inoltre bisogna tener presente che questi appunti furono pubblicati da 15 a 25 anni dopo che erano stati scritti e che i suoi articoli scritti dal 1915 al 1926 su riviste e giornali, i quali in parte integrano i Quaderni del carcere, furono pubblicati (in cinque volumi) dal 1954 al 1971 e cioè addirittura 40, 50 anni dopo.

Letteratura e vita nazionale si apre con le ormai famose frasi :

Cosa significa e cosa può e dovrebbe significare la parola d'ordine di Giovanni Gentile: «Torniamo al De Sanctis»? Significa «tornare» meccanicamente ai concetti che il De Sanctis svolse intorno all'arte e alla letteratura, o significa assumere verso l'arte e la vita un atteggiamento simile a quello assunto dal De Sanctis ai suoi tempi?2

Significa, dice Gramsci, che bisogna assumere questo atteggiamento e
vedere in quale nuovo contesto letterario-culturale-politico inserirlo, E
dopo aver rilevato che :

Due scrittori possono rappresentare (esprimere) lo stesso momento storicosociale, ma uno può essere artista e l'altro un semplice untorello. Esaurire la quistione limitandosi a descrivere ciò che i due rappresentano o esprimono socialmente, cioè riassumendo, più o meno bene, le caratteristiche di un determinato momento storico-sociale, significa non sfiorare neppure il problema



1: Lettere dai carcere, Torino 1968 (1. ed. ¡947), pp. 58-59 (abbr. L. C).

2: Letteratura e vita nazionale, Torino 1966 (1. ed. 1950), p. 5 (abbr. L. V. N.)

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perché «Un determinato momento storico non è mai omogeneo, anzi è ricco di contraddizioni». Ma ciò presuppone una lotta, e allora «è rappresentativo del 'momento' anche chi ne esprime gli elementi 'reazionari' e anacronistici» ma soprattutto «chi esprimerà tutte le forze e gli elementi in contrasto e in lotta, cioè chi rappresenta le contraddizioni dell'insieme storico-sociale»,3 Gramsci prosegue:

è forse partendo da tali presupposti che si può intendere meglio il rapporto De Sanctis-Croce e le polemiche sul contenuto e forma. La critica del De Sanctis è militante, non «frigidamente» estetica, è la critica di un periodo di lotte culturali, di contrasti tra concezioni della vita antagonistiche. Le analisi del contenuto, la critica della «struttura» delle opere, cioè della coerenza logica e storico-attuale delle masse di sentimenti rappresentati artisticamente, sono legate a questa lotta culturale: proprio in ciò pare consista la profonda umanità e l'umanesimo del De Sanctis, che rendono tanto simpatico anche oggi il critico.4

La riscoperta di De Sanctis da parte di Gramsci riguarda perciò il metodo - l'atteggiamento dell'uomo che lottò per la creazione in Italia di una nuova cultura - e non i contenuti della sua critica per quello che di «aristocratico» c'è in essa. Ma sebbene non si possa accettare la critica del De Sanctis tout court è altrettanto chiaro per Gramsci che:

il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci) : essa deve fondere la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo.s

Il modello non può essere Croce appunto perché rappresenta in ultima
analisi una fase conservatrice e difensiva della cultura.

A proposito del movimento creatosi intorno alla rivista la Voce (1908-16) - il quale ebbe una notevole importanza anche per la formazionegiovanile di Gramsci, che voleva che la sua rivista Ordine Nuovo (1919-20) dovesse essere per il proletariato quello che la Voce era stata per la borghesia progressista - un movimento che, «lottando per una nuova cultura», promuovesse «indirettamente anche la formazione di temperamenti artistici originali», anche se «non poteva creare artisti ut



3: L.V.N. pp. 6-7.

4: L.V.N. p. 7.

5: L.V.N. p. 7.

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sic»,6 Gramsci sostiene che questo avviene ogni volta che un nuovo
gruppo sociale entra nella storia con atteggiamento egemonico.

Risulta chiaro come il problema per Gramsci è la lotta per una nuova cultura con uno spostamento graduale dell'accento dagli aspetti strettamente estetici ; ma questo non significa però che egli ritorni a un rozzo sociologismo con l'abbandono degli elementi ormai acquisiti sia dal marxismo che dalla moderna critica letteraria in generale. Per esempio egli non nega la sintesi fra contenuto e forma, anche se ne ha una concezione diversa da quella crociana, che non esclude però che si possa e si debba dare un giudizio estetico dell'opera d'arte e non soltanto culturale-storico-politico

Posto il principio che nell' opéra d'arte sia solamente da ricercare il carattere artistico, non è per nulla esclusa la ricerca di quale massa di sentimenti, di quale atteggiamento verso la vita circoli nell'opéra d'arte stessa . . . Ciô che si esclude è che un'opera sia bella, per il suo contenuto morale e politico, e non già per la sua forma in cui il contenuto astratto si è fuso e immedesimato .7

Questo criterio è presente ovunque nelle pagine di Letteratura e vita nazionale ed è connesso con un'altra considerazione che non sempre è stata propria della critica letteraria marxista ad est come ad ovest, e cioè il principio della piena autonomia dell' arte in confronto alla politica :

Che F uomo politico faccia una pressione perché F arte del suo tempo esprima un determinato mondo culturaie è attività politica, non di critica artistica: se il mondo culturale per il quale si lotta è un fatto vivente e necessario, la sua espansività sarà irresistibile, esso troverà i suoi artisti. Ma se nonostante la pressione, questa irresistibilità non si vede e non opéra, significa che si trattava di un mondo fïttizio e posticcio, elucubrazione cartacea di mediocri che si lamentano che gli uomini di maggior statura non siano d'accordo con loro.B

e Gramsci prosegue «Per l'uomo politico ogni immagine 'fissata' a priori è reazionaria», perché egli «considera tutto il movimento nel suo divenire»e «immagina l'uomo come è e, nello stesso tempo, come dovrebbe essere per raggiungere un determinato fine; il suo lavoro consiste appuntonel condurre gli uomini a muoversi, a uscire dal loro essere presente per diventare capaci collettivamente di raggiungere il fine proposto,cioè a 'confermarsi' al fine». Mentre l'artista deve avere «immagini'fissate'



6: L.V.N. p. 9.

7: L.V.N. p. 11.

8: L.V.N. p. 12.

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magini'fissate'e colate nella loro forma definitiva», perché egli «rappresentanecessariamente, 'ciò che c'è', in un certo momento, di personale,di non-conformista, ecc, realisticamente». E perciò l'uomo politicocome tale «non sarà mai contento dell'artista e non potrà esserlo: lo troverà sempre in arretrato coi tempi, sempre anacronistico, sempre superato dal movimento reale».9

Fra gli studiosi ve ne sono alcuni che vedono in questi atteggiamenti di Gramsci una continuità della lezione di Croce e che considerano l'elaborazione gramsciana come un' operazione di recupero degli elementi della estetica e della critica crociana, nonostante le dichiarazioni in proposito di Gramsci. Un'operazione cioè che nel campo della estetica concilia il neoidealismo di Croce con il marxismo di Gramsci, sebbene questi neghi qualche concetto per esempio quello di «poesia» e «non poesia» e attui qualche altra epurazione di elementi incongruenti della estetica crociana. In ultima analisi, essi dicono, l'elaborazione di Gramsci non offre che una serie di spunti importanti per una sociologia della letteratura con una netta distinzione fra critica estetica e critica politica ma senza nessuna pretesa di una originale teoria estetica.lo Un esempio di questa «revisione» da parte di Gramsci della estetica crociana sarebbe, secondo Bartolo Anglani, il tentativo di Gramsci in una delle sue rare critiche letterarie m senso tradizionale di dimostrare come la distinzione operata da Croce fra poesia e struttura, la quale non avrebbe alcuna funzione poetica, sia una distinzione fittizia. Non si tratterebbe, dice Anglani, di un superamento ma appunto di una revisione della estetica crociana.ll

Il materiale dell' analisi di Gramsci è il decimo canto dell'lnferno, quel canto che comunemente viene chiamato «il canto di Farinata». Gramsci si era più volte interessato a questo canto sia prima che dopo l'incarcerazione,e le sue osservazioni possono essere riassunte così: nel X canto



9: L.V.N. p. 13.

10: Di questo parere è Gianni Scalia, Metodologia e sociologia della letteratura in Gramsci, in La città futura, Milano 1959; e Bartolo Anglani, La critica letteraria in Gramsci, in Prassi rivoluzionaria e storicismo in Gramsci, supplemento al n.l di Critica Marxista, 1967.

11: Bartolo Anelani. La revisione gramsciana eil concetto di struttura nelle note sul canto decimo deWlnferno, in Gramsci e la cultura contemporanea 11, (Atti del convegno internazionaie di bluùi giam&biani tenuto a Cagliari il 23 27 aprile 1967), Roma 1969, pp

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«sono rappresentati due drammi, quello di Farinata e quello di Cavalcante,e non il solo dramma di Farinata». «Se non si tiene conto del dramma di Cavalcante, in quel girone non si vede in atto il tormento del dannato: la struttura avrebbe dovuto condurre ad una valutazione del canto più esatta, perché ogni punizione è rappresentata in atto». «La parola più importante del verso ' Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno ' non è 'cui' o 'disdegno' ma è solo ebbe. Su 'ebbe' cade l'accento 'estetico' e 'drammatico' del verso ed esso è l'origine del dramma di Cavalcante, interpretato nelle didascalie di Farinata: e c'è la 'catarsi'». «Il brano strutturale non è solo struttura, dunque, è anche poesia, è un elemento necessario del dramma che si è svolto».l2

Altri studiosi invece rilevano, come fa Giuseppe Petronio, senza con ciò negare una certa influenza di Croce, che per esempio la sintesi tra forma e contenuto e l'aver messo in guardia contro un passaggio meccanico dal giudizio storico al giudizio estetico, che è tipico del sociologismo, non è una prerogativa esclusiva dell' estetica crociana ma è sempre presente negli scritti di Marx e Engels sui problemi letterari.l3 Essi dicono che Gramsci ritorna al di là del neoidealismo a Hegel negando con ciò la dialettica di Croce dei distinti e sostituendola con quella degli opposti. E quando Gramsci afferma che l'arte è forma, allora è sottintesco che la forma è condizionata dal contenuto, il quale è sempre storicamente determinato. E «ristabilire un nesso necessario ed organico tra la forma dell'opera d'arte ed il suo contenuto, significa riaffermare la piena storicità dell'opera d'arte, il nesso, quindi, tra arte e storia».l4 Infatti, domanda Gramsci, citando un passo del Croce, che cosa vuoi dire in concreto «rifare l'uomo» e «rinfrescare lo spirito» per far sorgere una nuova letteratura ? E Gramsci risponde cosi alla domanda :

La letteratura non genera letteratura, ecc, cioè le ideologie non creano ideologie, le superstrutture non generano superstrutture altro che come eredità di inerzia e di passività: esse sono generate, non per «partenogenesi» ma per l'intervento dell'elemento «maschile», la storia, l'attività rivoluzionaria che crea il «nuovo uomo», cioè nuovi rapporti socialils



12: L.C. pp. 490-93, L.V.N. pp. 34^5.

13: Giuseppe Petronio, Gramsci e la critica letteraria, in Studi gramsciani (Atti de! convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958), Roma 2. ed. 1969, pp. 223-41. Petronio fa riferimento alla lettera di Engels a Bloch del 21-9-1890 e a Paolo Ernst del 5-6 1890.

14: Ivi, p. 229.

15: L.V.N. p. 11.

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II superamento del neoidealismo è netto e sembra quindi impossibile conciliare come pretendono alcuni, il neoidealismo con il marxismo di Gramsci, come esso risulta dalla citazione qui riportata. Pare insomma che si possa affermare che Gramsci dell'estetica del Croce ha rifiutato l'impostazione generale e soltanto assimilato qualche elemento portandolo su un piano superiore in una nuova sintesi col marxismo. Questo non significa che Gramsci abbia creato una estetica marxista, ciò che fra l'altro non era nemmeno nelle sue intenzioni come uomo soprattutto politico, ma che un'estetica di questo tipo non può non prendere in considerazione la sua elaborazione.

Dopo queste riflessioni specifiche sui problemi letterari e tenuto conto della totalità del suo pensiero precedentemente sviluppato non soltanto sui Quaderni del carcere ma anche negli articoli degli anni 1915-26, non può sembrare strano che Gramsci giunga a formulare il concetto di «nazionale-popolare» per definire una letteratura che contribuisca al raggiungimento dell'unità culturale e politica della nazione soddisfacendo le esigenze intellettuali e morali del popolo. Aspirazione che, mentre all'estero è stata soddisfatta, non ha trovato in Italia la possibilità di venire realizzata, perché gli intellettuali vi hanno sempre costituito una casta distaccata dal popolo, con spirito di corpo.

Partendo dalla costatazione che la letteratura italiana ha un carattere prevalentemente non nazionale-popolare, Gramsci si domanda perché «nessuno ha mai presentato questi problemi come un insieme collegato e coerente», anche se «ognuno di essi si è ripresentato periódicamente a seconda di interessi polemici immediati » ? Ma « forse è vero - aggiunge - che non si è avuto il coraggio di impostare esaurientemente la quistione, perché da una tale impostazione rigorosamente critica e consequenziaria si temeva derivassero immediatamente pericoli per la vita nazionale unitaria».l6

Fino al '500 c'è stato un filone popolare legato alle «forze sociali sorte col movimento di ripresa dopo il Mille e culminato nei Comuni; dopo il '500 queste forze perdono di vitalità e avviene il distacco tra intellettuali e popolo».17 Mentre «l'assenza di una letteratura nazionalepopolare,dovuta ali' assenza » di interesse fra gli intellettuali italiani per



16: L.V.N. pp. 57-58.

17: L.V.N. p. 60.

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l'attività economica e il lavoro come produzione individuale o di gruppo «ha lasciato il 'mercato' letterario aperto all'influsso di gruppi intellettualidi altri paesi, che, 'popolari-nazionali' in patria, lo diventavano in Italia, perché le esigenze e i bisogni che cercano soddisfare sono simili anche in Italia».lß La cultura italiana, dice Gramsci, era diventata fino al 1900 un fenomeno di provincialismo francese.

Dei «grandi» scrittori degli ultimi secoli si salvano solo Goldoni - che «è quasi 'unico' nella tradizione letteraria italiana. I suoi atteggiamenti ideologici: democratico prima di aver letto Rousseau e della Rivoluzione francese. Contenuto popolare delle sue commedie: lingua popolare nella sua espressione, mordace critica della aristocrazia corrotta e imputridita. »19 - Leopardi e Verga; mentre al Manzoni viene attribuito un atteggiamento psicologico verso i singoli personaggi di origine popolana che è «nettamente di casta pur nella sua forma religiosa cattolica; i popolani, per il Manzoni, non hanno 'vita interiore', non hanno personalità morale profonda; essi sono 'animali'; ... egli trova magnanimità', pensieri', 'grandi sentimenti' solo in alcuni della classe alta, in nessuno del popolo ... il Manzoni è troppo cattolico per pensare che la voce del popolo sia la voce di Dio: tra il popolo e Dio c'è la Chiesa, e Dio non s'incarna nel popolo, ma nella Chiesa. Che Dio s'incarni nel popolo può crederlo il Tolstoj, non il Manzoni ... Certo questo atteggiamento del Manzoni è sentito dal popolo e perciò i Promessi sposi non sono mai stati popolari». E Gramsci conclude: «il suo atteggiamento verso il popolo non è 'popolare-nazionale', ma aristocratico ... e il suo cristianesimo ondeggia tra un aristocraticismo giansenistico e un paternalismo popolaresco, gesuitico. »20

Così stavano dunque le cose, gli scrittori italiani tranne qualche rara eccezione si interessavano soltanto del passato e dell' alta cultura mentre i sentimenti popolari non erano vissuti come propri. E al tempo di Gramsci niente o poco era cambiato. Per soddisfare i suoi bisogni di letteratura il popolo si era rivolto al romanzo d'appendice, ma neanche questo era nazionale ma importato soprattutto dalla Francia, dove questo tipo di letteratura aveva qualche aspetto laico e democratico. Allora, dice Gramsci, bisogna creare una specie di romanzo d'appendice, perché



18: L.V.N. p. 16.

19: L.V.N. p. lì.

20: L.V.N. pp. 73-76.

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«solo dai lettori della letteratura d'appendice si può selezionare il pubblicosufficiente e necessario per creare la base culturale della nuova cultura. Mi pare che il problema sia questo: come creare un corpo di letterati che artisticamente stia alla letteratura d'appendice come Dostojevskijstava a Sue ea Soulié ».21 Questa stessa esigenza Gramsci avveva sentito nel lontano 1918 quando stava in mezzo alla lotta politica, nella quale egli già allora vedeva anche una lotta per una «nuova cultura».22 Ed è in questo contesto di lotta politica e di una strategia vincente del proletariato che il concetto di «nazionale-popolare» acquista un più ampio valore ed esce dall'ambito strettamente letterario, legandosi a tutta una concezione dell'intellettuale e della politica del proletariato nei riguardi delle altre classi sociali subalterne per creare un nuovo blocco storico, cioè l'alleanza politica necessaria per arrivare alla rivoluzione e per vincerla durevolmente. In questo blocco storico gli intellettuali sono i mediatori del consenso, il cemento che lega gli altri gruppi sociali subalternial proletariato in modo che questo diventi sia dominante che dirigente, due qualità indispensabili per esercitare una vera egemonia. Gli scrittori in quanto intellettuali svolgono anche loro questa funzione di mediatori del consenso creando fra le masse una nuova coscienza tramite la letteratura la quale è appunto nazionale-popolare se riesce a esprimere le aspirazioni e i sentimenti di queste classi subalterne:

II pregiudizio più comune è questo: che la nuova letteratura debba identificarsi con una scuola artistica di origine intellettuale, come fu per il futurismo. La premessa della nuova letteratura non può non essere storica, politica, popolare: deve tendere a elaborare ciò che già esiste, polemicamente o in altro modo non importa; ciò che importa è che essa affondi le sue radici ne\V humus della cultura popolare così come è, coi suoi gusti, le sue tendenze, ecc, col suo mondo morale e intellettuale, sia pure arretrato e convenzionale.23

Questo punto di partenza può sembrare molto basso, ma bisogna tener presente che «lo sviluppo del rinnovamento intellettuale e morale non è simultaneo in tutti gli strati sociali ».24 Per esempio il livello culturale e di coscienza del proletariato industriale era indubbiamente molto più alto di quello delle masse contadine, e il concetto di «popolo», sull'esatta



21: L.V.N. p. 14.

22: / romanzi d'appendice, sul Grido de! popolo (25-5-1918), ora in Scritti giovanili, Torino 1958, pp. 243-45.

23: L.V.N. p. Í4.

24: L.V.N. pp. 13-14.

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definizione del quale si è molto discusso dal momento che sociologicamentepuò sembrare molto vago, deve perciò essere esteso a comprendere tutte le masse lavorataci, tutti gli sfruttati: «l'insieme delle classi subalternee strumentali di ogni forma di società finora esistita ».25 Comunque non bisogna applicare meccanicamente l'invito di Gramsci ad affondare le radici nell'humus della cultura popolare «così come è», perche questo non deve essere inteso «come qualcosa di statico, ma come un'attività in continuo sviluppo».26 Alla base di questo «continuo sviluppo» ci sono altre considerazioni di Gramsci sui rapporti fra cultura, filosofia e scienza «alta» e il livello popolare:

Ogni strato sociale ha il suo «senso comune» e il suo «buon senso», che sono in fondo la concezione della vita e dell'uomo più diffusa. Ogni corrente filosófica lascia una sedimentazione di «senso comune»: è questo il documento della sua effettualità storica. Il senso comune non è qualcosa di irrigidito e di immobile, ma si trasforma continuamente, arricchendosi di nozioni scientifiche e di opinioni filosofiche entrate nel costume. Il «senso comune» è il folclore della filosofia e sta sempre di mezzo tra il folclore vero e proprio (cioè come è comunemente inteso) e la filosofia, la scienza, l'economia degli scienziati. Il senso comune crea il futuro folclore, cioè una fase relativamente irrigidita delle conoscenze popolari di un certo tempo e 1u0g0.27

11 compito consiste allora nell' arricchire e trasformare il « senso comune », cioè svolgere un'opera di critica della cultura e della concezione del mondo precedenti e attraverso una nuova elaborazione arrivare a un nuovo «senso comune».

Con la pubblicazione dei Quaderni del carcere nel dopo-guerra l'indagine di Gramsci sui compiti nazionali-popolari di una nuova letteratura fu accolta con grande interesse dal mondo culturale italiano. Ma per tante ragioni, forse soprattutto di tipo politico, il populismo e l'« andata al popolo», che Gramsci aveva criticato parlando del romanzo verista e naturalista, tornarono ad affacciarsi improntando gran parte della letteratura neorealista italiana, e la critica rivolta da Alberto Asor Rosa a questo movimento è per tanti lati giustificata.2B Gramsci però non c'entra - egli non è, come fa intendere Asor Rosa, il massimo teorico di questo filone populista - almeno non direttamente. Ma leggendo le



25: L.V.N. p. 215.

26: L.V.N. p. 24.

27: Gli intellettuali e /'organizzazione della cultura, Torino 1966, p. 144.

28: Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo, Roma 1969 (1. ed. 1965).

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sue note sui problemi letterari distaccate dall'intero contesto dei Quaderni e senza tener presente tutto il pensiero di Granisci, per il quale l'esperienzapolitica giovanile ha avuto moltissima importanza, diventa fin troppo facile interpretarlo in chiave riformista e altrettanto facile criticarloda sinistra. Che tutti e due i fenomeni si siano verificati resulta proprio dalle pagine di Asor Rosa su Granisci.29

Non mi soffermerò qui - anche per ragioni di spazio - a riassumere la polemica per tanti aspetti salutare che l'interessante libro di Asor Rosa ha sollevato, e mi sembra che le tante citazioni da Letteratura e vita nazionale qui riportate - che appunto sono necessarie perché l'opera di Gramsci è ancora troppo poco nota ali' estero - dimostrino che non si può accusare Gramsci né di idealismo né di marxismo volgare. Per chi desidera approfondire questa discussione rimando al bel saggio di Giuseppe Nava che mi sembra la risposta più originale su come leggere Gramsci oggi.3o

Tanti temi della problematica gramsciana non sono stati trattati in questo breve articolo, dal costante interesse per il teatro di Pirandello - sul quale argomento è da vedere l'esauriente trattazione di Niksa Stipcevi c3l - ali' approfondita indagine nel campo dei problemi linguistici che hanno, anche questi, connessione con la tematica nazionale-popolare:

Ogni volta che affiora, in un modo o nell'altro, la quistione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l'allargamento della classe dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale, cioè di riorganizzare l'egemonia culturale.32

un campo, questo della linguistica, in cui Gramsci, secondo Luigi Rosiello ,33 ha raggiunto gli stessi risultati di Saussure senza conoscerne le opere e dove «la distinzione operata da Gramsci al fine di definire la lingua nei suoi rapporti culturali e storici, e al fine di precisare i termini della sua autonomia, sembra coincidere con le più moderne teorie strutturalistiche»34Un'interessante



29: Ivi pp. 208-222.

30: Giuseppe Nava, Da Gramsci aWavanguardia, in II Ponte n. 2, Firenze 1967 pp. 201-220.

31: Niksa Stipcevic, Gramsci e i problemi letterari, Milano 1968.

32: L.V.N. p. 201.

33: Luigi Rosieiio, Problème unguisiici negii scriiii di Gramsci, in Grumsci e la culluru contemporanca, pp. ?47-67.

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turalistiche»34Un'interessantelettura in questa chiave è stata fatta
anche da Jacqueline Risset.3s

Le note di Granisci sui problemi letterari documentano un interesse e una conoscenza non comuni della letteratura in un uomo politico. Se tante delle sue considerazioni oggi sembrano superate, la colpa non è di Gramsci ma del tempo che ha logorato pensatori più grandi di lui. La società neocapitalista con i mass-media, tv ecc. ha reso illusoria la sua idea di una cultura nazionale-popolare che è stata attuata sì, ma nel peggiore dei modi. E benché tante delle proposte gramsciane non possano più essere accettate oggi, può ancora offrirci utili spunti la sua impostazione metodologica, perché come dice Cesare Cases «II salto nei compiti attuali non può aver luogo né stando fermi sul trampolino come su un' acquisizione definitiva, né prendendolo a calci perché rappresenta un livello ormai superato, ma solo sfruttando a fondo la sua elasticità per staccarsene».36

Jorgen Stender Clausen

ROMA



34: Ivi p. 355.

35: Jacquelini Risset, Lettura di Gramsci, comunicazione letta nel marzo 1969 al «Collage philosophique» per i! gruppo Tel Quel, in Critica Marxista, p.. 6, 1969.

36: C. Cases in Gramsci e la cultura contemporanea, p. 295.