Revue Romane, Bind 8 (1973) 1-2

Galvano della Volpe e la proposta di una critica semantica in difesa del realismo della poesia

DI

ANNA MARIA CLAUSEN

Con le sue opere di critica letteraria Galvano della Volpe (1895-1968), noto prevalentemente per la sua attività in campo filosófico, si è prefisso lo scopo di ovviare alla mancanza di una formulazione organica ed esauriente di una teoria della letteratura nell'ambito dell'estetica materialistica.

Galvano della Volpe si pone sulla scia di filosofi marxisti, soprattutto Engels, Lenin, Gramsci dei quali utilizza le feconde ma scarse indicazioni di critica letteraria, mentre assume una interessante posizione polemica nei confronti di Lukács.

Il contributo dellavolpiano al rinnovamento della metodologia della critica letteraria si può sintetizzare in un decisivo, definitivo attacco alla concezione romantica della poesia come ineffabilità. Concezione che costituisce il vizio di origine di tutta la critica post-romantica e decadente, fondata sulla antinomia di espressione-comunicazione, ma che è dato rintracciare anche in buona parte della critica di ispirazione marxista.

Galvano della Volpe rivaluta l'aspetto tecnico dell' opera d'arte, nella fattispecie il tessuto verbale del discorso poetico, mentre sottolinea il carattere di intellettualità della creazione artistica. Istanza che, si badi bene, non porta il nostro critico ad approdare ad una concezione razionalistica del problema estetico, come d'altra parte il riconoscimento della presenza imprescindibile della storia nella poesia non fa scadere il discorso di Galvano della Volpe a un sociologismo volgare della letteratura. Col riconoscimento dello specifico carattere semantico della poesia, Galvano della Volpe verifica e conferma l'autonomia della creazione poetica.

La Critica del gusto,l che è l'opera in cui Galvano della Volpe raccogliee



1: Critica del gusto, Milano 1960. Le citazioni si riferiscono alla edizione del 1966.

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glieesviluppa in un sistema coerente tutte le sue idee sul problema
dell'arte, costituisce, a detta dell'autore stesso, la prima utilizzazione
gnoseologia della linguistica saussuriana.

Il punto di avvio della speculazione dellavolpiana è da ricercarsi in un ripensamento delle idee sull'arte contenute nella Poetica di Aristotele. L'universale, in cui consiste l'immagine che ha raggiunto pregnanza poetica, è infatti già in Aristotele un universale dianoetico cioè intellettuale, risultando l'immagine poetica da una sintesi di sentimento e ragione, e precisamente dal molteplice del sentimento unificato dalla forza della ragione. Anche per Galvano della Volpe si tratta di immaginiconcetti, e parlare di universali fantastici - alla maniera di Vico e dei suoi seguaci romantici - è una contraddizione in termini, poiché

«l'istanza della «coerenza» quale fattore fondamentalissimo dell'opera poetica come tale [ ] resta inspiegabile se si intenda la coerenza come coerenza «fantastica», cioè istituita dalla fantasia o immaginazione invece che nella fantasia; non dandosi coerenza ossia unità (e quindi universalità) se non per la e nella ragione. . . »2

Secondo Aristotele l'ambito della poesia è delimitato dal verosimile o possibile - il poeta cioè deve fare i conti con la verità e la realtà delle cose, - mentre la storia si muove nel campo del realmente accaduto. Questa distinzione fra poesia come idealità o possibilità e quindi rappresentazione dell'universale e storia come rappresentazione del particolare, non può però più essere sostenuta, perché è evidente che sono possibili anche le cose accadute, altrimenti non sarebbero accadute, e, secondo le parole stesse di Aristotele, «è pur verosimile che accadano talora cose non verosimili».3

Mentre dunque Aristotele per caratterizzare il discorso poetico rileva aspetti che sono tipici del discorso poetico - verosimiglianza e razionalità - ma non soltanto di quello, l'estetica romantica, che si pone sulla scia di Piatone con la sua definizione della poesia come raptus o mania, sottolinea caratteri assenti sì nel discorso scientifico, ma neanche pertinenti al discorso poetico, come appunto dimostrerà G. d. Volpe con le sue analisi.

Come si verrà vieppiù chiarendo, le idee di Aristotele avranno una
efficacia stimolante su Galvano della Volpe anche nelle loro formulazioni



2: Critica del gusto, p. 6.

3: Cit. in G. d. Volpe, Poetica del Cinquecento, Bari, 1954, pp. 162 163.

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meno precise o addirittura incoerenti. Perfino la suaccennata definizione dei rispettivi ambiti della poesia e della storia, che il Croce considera una contraddizione insormontabile, anzi il punto morto dell'estetica aristotelica, si rivelerà in G. della Volpe feconda di interessanti sviluppi, per l'implicito presentimento dei caratteri gnoseologia comuni sia alla storia che alla poesia: la possibilità e connessa verosimiglianza e la sensibilità.

La Critica del gusto imprende il suo discorso polemico nei riguardi dell'estetica romantica, la quale non importa tanto in sé, - essa infatti ha per G. d. Volpe un interesse storico negativo, - quanto per i suoi strascichi che continuano a sopravvivere nelle più moderne teorie della letteratura, dall'analisi di alcuni esempi di poesia antica, medievale e moderna, attraverso cui, enucleata la significanza razionale implicata dalle immagini poetiche addotte, G. della Volpe dimostra l'inconsistenza di ogni misticismo estetico basato sul pregiudizio della metafora come nesso operato da immagini pure. È ancora Aristotele che porge a G. d. Volpe lo spunto per un approfondimento critico. La metafora, afferma lo Stagirita, non solo ha valore sia in poesia che in prosa, ma conferisce allo stile, prima ancora che «attrattiva e distinzione», «chiarezza».4 Lo stesso procedimento razionale di generalizzazione che regola i diversi tipi di ragionamento, induttivo, ipotetico e definitorio è infatti alla base della metafora nella quale «incrociamo generi per farne nuovi occasionali».s Cioè «il saper trovare belle metafore significa saper percepire il simile nel dissimile».6 Premesso che di metafore sono fatti non solo il discorso poetico e il linguaggio comune, la cui inopia di termini propri ci costringe all'uso di traslati, le cosiddette metafore morte, come quando per es.si parla di una scila montana, ma che anche il più sottile ragionamento filosófico o scientifico non può essere portato avanti senza l'impiego di metafore, Galvano della Volpe, per sottolineare l'universalità e Y indispensabilità della metafora, come strumento intellettuale, conoscitivo, conclude: «... della metafora si può ben dire eh'è come l'aria che ci circonda e senza cui morremmo come pensanti ».7

Fino a questo punto, cioè fino all'affermazione del comune carattere
di intellettualità di poesia e prosa, pensiero per via della metafora, le



4: Retlorica, 1405 a 5-10 sgg.

5: Cit. da I. A. Richards in Critica del gusto, p. 49.

6: Poetica, ¡459 a 5 sgg.

7: Critica del gusto, p. 49.

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idee di Galvano della Volpe collimano perfettamente con quelle aristoteliche.Ma il grande problema lasciato in ombra da Aristotele, del criterio cioè di una distinzione dell'uso poetico della metafora dall'uso non poetico - quando si tratta di poesia e quando di scienza? - costringe Galvano della Volpe ad un rapido aggiornamento metodologico cui viene incontro la linguistica saussuriana e post-saussuriana con i suoi più coerenti sviluppi rappresentati dalla glossematica della scuola di Copenaghen. Risulta da questi impulsi il concretizzarsi dell'interesse di G. della Volpe per la componente semantica della poesia.

E infatti il criterio suaccennato dell'immediata portata, ai fini del gusto, dei significati concettuali implicati dalle immagini è perfettamente giustificato dal «primo carattere permanente, reale, obiettivo, posseduto dalle «immagini»: cioè ch'esse sono inseparabili da quei loro veicoli che sono insieme - in quanto strumenti semantici - veicoli di concetti: le parole ;»%. Attraverso le parole, ossia per la loro concettualizzazione, le immagini acquistano un significato che le rende «parlanti», raggiungendo quel carattere di icasticità che è loro proprio « nel momento stesso e solo nel momento in cui si fanno comuni nelle e per le (adeguate) parole corrispondenti: ossia nel loro esprimersi che è, innanzitutto, il loro comunicarsi».9 Queste parole costituiscono un primo accenno all'equazione dellavolpiana di espressione - comunicazione, nell'antinomia dei quali termini, il primo inteso come arte, il secondo come lingua, si trova «irretita» tanta critica tuttora fedele ad un astratto dualismo di lingua e poesia, concezione che fa capo alla Romantik con la sua teoria della poesia come soggettività, emozione, creazione individuale. È forse interessante ricordare in questa sede che fra coloro che G. della Volpe accusa di questa deficienza teoretica sono due insigni studiosi danesi Svend Johansen e Ad. Stender Petersen, nell'ultimo dei quali si presenterebbe «la contraddizione flagrante tra la adottata base linguistica moderna, scientifica {langue-parole), e la poetica tradizionale, arcaica, la poetica romantica ... »10

Ma per riprendere il nostro discorso, le immagini dotate di tipicità poetica,che può essere siametaforica che letterale, per essere belle devono essere vere, cioè a dire che esse, grazie al loro carattere di intellettualità, devono venire comprovate, come ogni altra forma di pensiero, dal principio di



8: Ivi, p. 2.

9: Ivi, p. 4.

10: Ivi, p. 194.

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non-contraddizione. Ciò significa che, per quanto non abbiano un senso univoco, come le proposizioni scientifiche, esse possiedono tanta razionalitào coerenza logica da valere per loro quanto detto da Galileo: «le cose vere, cioè le necessarie, cioè quelle che è impossibile ad esser altrimenti».La verifica di questo loro carattere non si attua solo per via teoretica, con un procedimento sillogistico, e neanche per via esclusivamenteempirica, nella ricerca di determinati contenuti «reali» di tendenzaprescelta, ma si attua nel riscontro dialettico fra il piano della creazione artistica e il piano della realtà, con cui lo scrittore sempre deve fare i conti, anche se la rifiuta alla maniera di un Cervantes o di un Ariosto. Perché, senza considerare il carattere «intellettuale» dell'ironiadelle invenzioni di questi due scrittori, come avrebbe potuto l'Ariosto per es. costruire l'immagine dell' ippogrifo se non giocando sul contrasto con quella reale del cavallo? In questo modo viene ad essere ampliato il concetto di realismo, comprendendo questo termine anche quel materiale poetico che con la realtà e l'esperienza sembra contrastare; in Galvano della Volpe è infatti ben netta la distinzione di realismo come poetica, inteso come programma di una certa azione politico-culturale, e realismo come estetica, concetto ben più ampio, definentesi come una premessa teorico-metodologica per una ricerca storico-sociologica di ogni espressione artistica, anche di quelle che con la vita e la esperienza sono apparentemente in antitesi. Esperienza o realtà e poesia sono sempre in qualche modo legate l'una con l'altra ed è all'intelletto che è affidata la funzione di stabilire i nessi fra le cose più dissimili. Funzione che nella fattispecie della poesia viene concretamente esplicata dal linguaggio. Scopo del realismo come estetica è dunque quello di definire la natura sociologica dell'opera poetica: dal momento che i significati (i concetti) sono tutti rapportabili direttamente o indirettamente all'esperienza,al reale, alla storia, l'accertamento dei significati di un messaggio poetico condurrà necessariamente ad una messa a punto concreta cioè storico-sociologica dell'opera in questione. Ragione per cui risulta confermata la possibilità di una fondazione sociologica (materialistica)dei valori poetici e anche per questa via «viene riconosciuto come mitico e illusorio quel platonico cielo o spazio metempirico e metastorico (lo hegeliano regno dell'ldeale o dei Geisier o «ombre» e «spirituali figure») in cui i valori poetici sono stati ipostatizzati almeno dalla Romantik in poi. »u



11: Ivi, p. 7.

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Fra gli esempi che Galvano della Volpe riporta per dimostrare la condizionalità storica della poesia troviamo la Divina Commedia. Il nostro critico si sofferma sul poema dantesco per metterne in rilievo due aspetti soprattutto: gli elementi strutturali e la questione del linguaggio poetico. Per quanto riguarda il primo punto, G. della Volpe si propone di controbattereuna diffusa opinione che dal De Sanctis è rimasta inoppugnata fino al Croce e oltre, secondo la quale gli elementi strutturali, tutta l'inquadratura teologico-topografica del poema, sarebbero «allotri», non-poesia, risolvendosi la poesia dantesca in isolati episodi o momenti lirici. Egli dimostra infatti che è anzi questa struttura che conferisce unità di tono ai singoli episodi, rappresentando quella univocità di giudizio morale cui tutti gli svariati avvenimenti delle cantiche si rapportano.Ciò che rende unico e da un tono inconfondibile al famoso episodio di Paolo e Francesca è appunto la sua inquadratura cristianocattolica-«e precisamente l'elemento strutturale eh'è il giudizio eticoreligiosoche situa topograficamente gli amanti cognati nel girone de «i peccator carnali/che la ragion sommettono al talento» etcétera».l2 Presi isolatamente, Paolo e Francesca e il loro amore-passione non sarebbero gran che dissimili da personaggi e storie di cui per es. il Romanticismo offre abbondante messe. Ma naturalmente la spia più evidente della condizionalità storico-culturale della Divina Commedia è la lingua. Nel linguaggio dantesco vanno individuati, secondo Galvano della Volpe, due filoni: quello di «invenzione» del poeta, ossia da lui riplasmato, e quello «tecnico», di ispirazione cattolico-tomistica, patrimonio comune della cultura del suo tempo. Della Volpe mette in guardia dal considerare termini come selva, diritta via, beato monte etc. come espressioni metaforiched'invenzione dantesca, trattandosi sì di metafore, ma di metaforemorte, allo zero della coscienza dei contemporanei di Dante, i quali sentendo nominare selva o valle intendevano immediatamente vita terrena macchiata dal peccato etc. Di conseguenza quella che dalla maggior parte dei critici viene considerata l'allegoria fondamentale del poema, (il I canto dell'lnferno), - in realtà la sua figurazione iniziale - non contiene alcunché di allegorico, appartenendo al senso letterale del poema, dal momento che Dante in questo caso adopera semplici espressioniparaboliche o tropologiche, anche se di contenuto morale. L'aver trascurato l'aspetto universale(= storico-sociologico) del linguaggio dantesco,ha



12: Ivi, p. 27.

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tesco,haportato all'errore di considerare invenzione del poeta (linguaggiosuo individuale) ciò che era terminologia comune dei suoi tempi, e di scambiare per concetti allegorici espressioni appartenenti al mero senso letterale del poema.

Questi brevi cenni ai due livelli linguistici in Dante ci introducono a quella che nella Critica del gusto viene indicata come «chiave semantica della poesia». Galvano della Volpe ritiene di pertinenza, a questo punto, un richiamo alle due linguistiche ovvero filosofie del linguaggio, fondamento delle due concezioni estetiche che tuttora si affrontano, l'estetica romantica e decadente o dell'ineffabilità della poesia e l'estetica materialistico-storica - dellavolpiana nella sua più rigorosa formulazione - o del realismo della poesia. Alla linguistica romantica o humboldtiana - afferma G. della Volpe - siamo debitori di alcune scoperte fondamentali quali l'intuizione della mutua dipendenza di Spirito o pensiero e parola, dipendenza che oggi ha assunto il senso più preciso di interdipendenza di lingua o norma e parola, e la caratterizzazione della funzione chiarificatrice della parola nei riguardi del pensiero, del quale essa a sua volta rimane come «prigioniera». Mentre ciò che costituisce il limite o il difetto più evidente della filosofia romantica del linguaggio è il considerare la lingua più nel suo momento attivo, come risultato della creatività dell'individuo, che nel suo momento per così dire statico, come strumento di comunicazione, come un codice comune a tutta una società in un determinato momento storico. Vero è che anche per la linguistica saussuriana storicamente il primo momento precede l'altro. Soltanto che con F. de Saussure e i suoi moderni seguaci questa non è che una costatazione cronologica che non comporta giudizi di valore, come questo di Humboldt: «la lingua nel vero senso del termine è nell'atto del suo reale prodursi» (la parola). Nell'intento di superare questa problematicità dimidiata, fondata sulla riduzione di quel complesso fenomeno che è il linguaggio naturale a uno solo dei due elementi che lo compongono, la linguistica saussuriana costruisce la sua teoria sul rapporto dialettico di langue e parole, accentuando semmai il ruolo della lingua come istituto sociale, come complesso cioè di norme preesistenti entro cui si iscrive l'azione sia pure innovatrice della parola o atto soggettivo del parlante, libera scelta nell'ambito delle possibilità formali del codice.

Questa nuova impostazione è pregna di implicazioni anche m campo
estetico, implicazioni che G. della Volpe non è stato tardo nel rilevare.
È infatti su questa inscindibile appartenenza dello scrittore, tramite la

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lingua-codice, al suo tempo e a un determinato ambiente socio-culturale,
che G. della Volpe basa la sua proposta di critica semantica.

Prima di affrontare la questione della tipicità del discorso poetico e dei tratti per cui esso si differenzia da quello scientifico, G. della Volpe tiene a sottolineare che, dispiegandosi in concreto la mutua dipendenza di pensiero e parola come mutua dipendenza di lingua e parola, «anche la parola poetica [ ] non può non essere essenzialmente lingua e quindi «forma» grammaticale», dal momento che «non c'è metafora o altro simbolo poetico che, per quanto geniale o creativo, non sia un semantema, o elemento di significazione, appartenente a quel sistema preesistente di segni eh'è un sistema linguistico... »13 Con alcuni modelli di critica delle varianti G. della Volpe riesce a dimostrarci come ciò si attui in concreto e come la poesia non sia intuizione pura da situarsi in una sfera completamente astratta dalla contingenza delle cose. Come lo studio delle varianti di un testo per es. del Petrarca ci rivela, ogni modificazione lirica non lascia altra traccia, non ha altre «spie» che in una variante lessicale o morfologica (o sintattica) etc. ; mentre il raggiungimento dell'optimum dell'espressione lirica si risolve in un progressivo affinamento degli elementi semantici idest comunicativi. Contro le teorie del raptus poetico e dell'immediatezza dell'effusione lirica, G. della Volpe ci fa dunque vedere come anche la più alta lirica sia il risultato di un intenso travaglio intellettuale, e come quindi sia da rivalutare il concetto di poesia intesa come arte nel senso di techne.

Come già accennato, G. della Volpe distingue un discorso poetico e un discorso storico o scientifico, risultato del diverso «dosaggio» degli elementi gnoseologici comuni: sensibilità e ragione; che, per usare le parole di R. Musolino «mentre nel discorso logico l'immagine è negata (ma non eliminata), nel processo estetico è negata (ma non eliminata) l'idea».l4 Qual'è dunque la differenza specifica fra questi due tipi di discorso ? La risposta di Galvano della Volpe a questo quesito costituisce il punto centrale dell'estetica dellavolpiana. Messi a confronto due campioniletterari: alcuni versi del Petrarca e un brano di prosa filosófica di Giordano Bruno, il critico rileva che, mentre il testo petrarchesco possiede in se stesso bastante autonomia espressiva da non presupporre altri testi per poterne captare quel tanto di verità e di pensiero che è consegnato in esso e da esso indissociabile, il testo bruniano non presenta



13: Ivi, p. 63.

14: Rocco Musolino, Marxismo ed estetica in Italia, Roma, 1971, p. 53.

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le stesse possibilità di immediata comprensione ed apprezzamento, rendendosinecessario l'inserimento di esso in tutta una serie di opere filosofiche, di «tanti e tanti altri testi-contesti (di prima e di dopo)»,15 per mezzo dei quali si è venuto sempre più sviluppando e definendo il senso dei termini usati nel testo del Nolano. In altre parole, per comprenderela verità del testo bruniano occorre essere a conoscenza dell' unicosenso, del senso tecnico dei suoi termini, mentre l'abbondanza di senso, la pregnanza poetica delle parole del poeta rende superfluo ogni rimando ad altri testi, senza con ciò voler negare la presenza di legami, già per altra via dimostrati, dell'opera poetica ad un sostrato socioculturale.O per usare la terminologia dellavolpiana il testo filosófico, o il discorso scientifico in genere, è composto di termini univoci, e possiede quindi, per la necessità di venir rapportato ad altri testi-contesti una semanticità contestuale-disorganica perché eteronoma ossia onnicontestuale; mentre il discorso poetico, essendo composto di termini polisensi, possiede una semanticità contestuale-interna o -organica. Quindi già dopo questi approcci è possibile costatare che «ciò che distingue realmente la scienza in genere dalla poesia [ ] non è la «astrattezza» del pensiero nell'un caso e la «concretezza» della fantasia nell'altro: bensì [ ] la onnicontestualità o tecnicità del linguaggio usato (dal pensiero) nel primo caso e la contestualità organica del linguaggio usato (dal pensiero) nel secondo caso... »16 Ambedue procedimenti razionali-intellettuali, il discorsopoetico e quello scientifico conservano un proprio carattere distintivograzie ai diversi moduli semantici impiegati.

Ma univoco e polisenso richiedono una loro precisazione, richiedono cioè di essere messi in relazione con un termine base rispetto a cui essi sono rispettivamente poli-senso e uni-voco. Questo termine è Y «equivoco », o materiale base di ogni tipo di comunicazione-espressione, e perciò detto letterale-materiale, il quale, essendo caratterizzato da casualità semantica, (è il luogo semantico del discorso volgare) funge da testo di altri testi che sono contesti (contestuali organici: poesia, o onnicontestuali:scienza). È questo elemento onnitestuale che permette il movimentodialettico per cui, tramite un processo di sviluppo e di trascendimentosemantico del letterale-materiale, otteniamo da una parte la sintesipolisensa, dall'altra la tecnicità o univocità del discorso scientifico. O per servirci della più precisa formulazione dellavolpiana: «la compresenzadialettica



15: Crìtica del gusto, p. 72.

16: Ivi, p. 73.

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presenzadialetticadel letterale-materiale, come insieme semantico formale[è necessaria] sia nella genesi dell'univoco che del polisenso, per poter realizzare - sulla base di esso - quello scarto dal medesimo eh'è appunto il suo superamento semantico-formale o univoco o polisenso... » Scarto o trascendimelo che è duplice perché si tratta sì del trascendimentodi una materia (il letterale-materiale) da parte della forma, il pensiero (poetico o scientifico) ma al contempo di trascendimento e sviluppo semantico che «si fonda non meno sul letterale-materiale come mezzo semantico (la frase o il nome-frase) che sullo stesso come fine ossia pensiero o significato prodotto (equivoco, casuale) da trascendere ossia sviluppare».^l Ciò che si attua con un procedimento dialettico di conservazione-mutazione della lettera e dei contenuti del materiale tecnicoche costituisce la poesia e che anzi «la precede e condiziona».

È a questo punto che trova la sua giustificazione la proposta dellavolpiana della parafrasi critica della poesia, dal momento che questo esercizio «di una filologia interamente funzionale» è l'unico che, per mezzo della percezione esatta del locus semantico del testo in questione, possa farci misurare lo scarto avvenuto dal piano dell'equivoco alla formulazione connotativa o polisensa dello stesso materiale. Da cui consegue che il compito del critico consiste nel «discernere se e dove e quanto i valori semantici [ ] del testo in esame rientrino nella categoria del polisenso o in quelle dell'univoco o dell'equivoco [ J cioè se quel testo sia - o come un tutto o come un elemento - un che di contestuale organico e non invece un che di onnicontestuale o addirittura onnitestuale... »18

Per il suo carattere intellettuale, che in concreto si esplica nel trascendimentodel letterale-materiale, la poesia appartiene dunque al pensiero, cui pure la lega, per il postulato dell'identità di pensiero e linguaggio, l'ormai riconosciuta essenziale componente semantica. Da quanto detto si può arguire che è tramite appunto il letterale-materiale che il pensiero storico e altri significati univoci possono penetrare nel discorso poetico, dove, venendo a far parte della sintesi polisensa, essi vengono conservati e nello stesso tempo mutati per l'integrazione di ulteriori sensi e valori, per il processo di catarsi cioè che la poesia (ma anche la scienza) opera nei riguardi della casualità e banalità del letterale-materiale. E ciò è possibile perché «l'articolazione di esso pensiero, procedendo per scarti



17: Ivi, p. 80.

18: Ivi, p. 82.

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non metafisici, ma propriamente tecnici, semantici, linguistici, dal polisensoallo univoco e viceversa, resta unitaria, come il letterale-materiale, base semantica di quegli scarti che esprimono sviluppi dialettici, ci attesta appunto. »19 In altri termini, poesia e storia costituiscono i due poli di una dialettica semantico-formale, ed è in questo senso che va intesa l'affermazione dellavolpiana che «la storia sostanzia di sé la poesia e la condiziona realmente (idest nella sua natura specifica di poesia)».2o Ciò significa che contrariamente alle affermazioni del Croce, - (« L'arte, avendo da fare perfino con l'impossibile e con l'assurdo, non sarà, dunque, nulla di razionale, ma, d'accordo con la teoria platonica, intuizionedella parvenza nella quale s'indugia la vana sensualità; cioè cosa di piacere»).2l -si potrà sempre parlare di realismo nella poesia, anche nei casi in cui i contenuti sembrano prodotti esclusivamente dalla «fantasia», perché, se sono opere poetiche riuscite, il pensiero e quindi la coerenza con il reale assicurerà loro la forma valida cioè conforme a verità.

Galvano della Volpe con queste e molte altre argomentazioni, cui per ragioni di spazio non è stato possibile accennare, tenendo l'attenzione rivolta soprattutto agli elementi formali dell'opera d'arte, è riuscito a colmare la lacuna lasciata da una metodologia come quella neostilistica, intesa a stabilire la storicità linguistica delle diverse invenzioni poetiche, trascurando la prospettiva più ampia ma altrettanto concreta della condizionalità storica complessiva dei prodotti letterari ; mentre d'altro canto con un rovesciamento della successione di fine e mezzo rispetto ai diversi Lukàcs, Plechanov etc., partendo cioè dalla lettura diretta dei testi letterari, è veramente riuscito per la prima volta a risolvere il problema dell'appartenenza della poesia a una sovrastruttura e dei rapporti delia stessa con una infrastruttura o base economico-sociale. Tutto ciò sempre rispettando anzi confermando il principio dell'autonomia della poesia «intesa come autonomia tecnica (semantica appunto) e non come autonomia metafisica o di una ipostasi gnoseologica, l'ipostasi-Arte.. . ».22

Anna Maria Clausen

ROMA



19: Ivi, p. 85.

20: Ivi, p. 120.

21: B. Croce, Esteticu corne scienza deW espressione e linguistica générale, Bari, 1950, p. 186.

22: Critica del gusto, p. 117.