Revue Romane, Bind 6 (1971) 2

Grammatica generativa e grammatica italiana

DI

MAGNUS ULLELAND

L'anno 1967 segna una tappa importante nella storia della grammatica italiana, perché in tale anno appare la prima grammatica generativotrasformativa di questa lingua. L'apparizione dell'opera della Costabile* è un fatto significativo, non soltanto perché è la prima del genere, ma anzitutto perché la Costabile espone le sue idee in un modo cosi chiaro e semplice (con minuziosa spiegazione di ogni simbolo usato ecc.) che la sua opera diventa facilmente leggibile anche per noi altri, che non siamo imbevuti di trasformazionalismo e perciò rimasti un po' titubanti davanti alle idee nuove. L'esposizione della Costabile è cosi chiara, che anche un non-trasformazionalista può con un minimo di sforzo permettersi qua e là di non essere d'accordo e cercare di motivare le ragioni del suo dissenso, senza il sentimento inquietante di allontanarsi troppo dalla propria competenza.

Ci sono indubbiamente fenomeni linguistici che la grammatica trasfonnativa sa spiegar^ meglio d¡ quanto non abbia potuto fare la grarr. matica tradizionale ('tradizionale' non è qua un termine polemico, ma signiiica senipiiceiiienie pre-üasíonnaüvaj, e cosi questa nuova xaiì'n'nutica certamente a sviluppare le nostre nozioni grammaticali, benché non possa rivelarsi la chiave di tutti i problemi linguistici conosciuti, per non parlare dei problemi nuovi da essa messi in rilievo.

La grammatica della Costabile è, salvo ignoranza da parte nostra, il primo tentativo nel campo italiano, e come dice l'autore stesso (passim), non può essere un lavoro perfetto; ma sarà una base solida per le nostre future discussioni e ricerche, e, i consequenti risultati, anche se si scosteranno forse spesso da questa base, appariranno tuttavia, se è lecito lo scherzo, come altrettante trasformazioni operate su di essa.

Nelle pagine seguenti vogliamo, con ogni umiltà, discutere alcuni punti
nell'esposizione della Costabile, i quali ci sembrano degni di discussione
e di critica. Siamo pienamente coscienti che l'impresa è pericolosa, perché,



* ÎS'ormci Costcíbüs' Le strutturo dello, tìngilo ffnlìnin (Immmntirn vpnprcitìvo-trnsformativa. Bologna, 1967. 212 pp.

Side 260

se le grammatiche nuove (strutturali, generative, trasformative) hanno messo in rilievo qualche cosa, è appunto questo: quanto sia difficile discutere obiettivamente un fenomeno linguistico isolato, senza incorporarloin tutto il sistema strutturale della lingua in questione, invece di confrontarlo (e questo è il peccato originale della linguistica romanza) con fenomeni somiglianti in altre lingue romanze, símilmente isolati dal resto del sistema loro. Così può essere difficile criticare una grammatica trasformativa o strutturale su certi punti isolati e proporre eventualmente altre formule, senza controllare la validità delle proprie proposte nel resto della grammatica, il che vale a dire: senza riscrivere tutta la grammatica. Con queste riserve, ci permetteremo tuttavia di discutere alcuni punti che hanno suscitato il nostro interesse e correre il rischio di essere accusati d'incoerenza, se non di peggio.

Tn una prima parte (pp. 9-42) la Costabile si propone di creare un corpo di osservazione, determinando gli elementi costitutivi della proposizione semplice di base, che non può (presumibilmente) essere ulteriormente scomposta. Nella seconda parte (pp. 45-79) si propone di precisare le regole trasformative che generano le proposizioni trasformate su base singola. Nella terza parte (pp. 83-129) vengono esposte le regole che generano le proposizioni trasformate su doppia base. Nella quarta parte (pp. 133-178) vengono descritte le proposizioni complesse. Segue poi un'applicazione pratica di tutto questo sistema di regole su un piccolo brano dei Promessi sposi, e finalmente troviamo una lista di abbreviazioni e simboli e un elenco di tutte le formule esposte e usate nel corso del lavoro.

Cominciamo con due parole sul concetto «ausiliare», col quale denotiamo qua soltanto i verbi esse- e ave- nella funzione di elementi formativi nei cosiuuctti pa.ssu.ti compostt. Puô scmbruxe un controscnso cominciare coll'introduzione di un concetto, che dalla Costabile non viene adoperato una singola volta, ma ciô che dice l'autore (p. 30) su verbi «servili» o «rr.odali» e verbi «veri e propri» dirnostra in fin dei conti che il suo ragionamento deve essere quello tradizionale; e ci stupisce per altro che anche altri trasformazionalisti, come ad esempio il Grossl, non si sono disfatti del concetto «ausiliare», ereditato dalla grammatica classica. Ora, Tinconvenienza di considerare costrutti come ho parlato e è andato come verbi è sufficientemente dimostrata dal Dubois2, ela Costabile non è troppo précisa su questo punto.



1: M. Gross: Grammaire transformationelle du français, Paris 1968.

2: J. Dubois: Grammaire structurale du français: le verbe, pp. 11 14, Paris 1967.

Side 261

Secondo la grammatica tradizionale i tempi composti si formano mediante il participio passato del «verbo principale» e un «ausiliare», che può essere il verbo esse- o il verbo ave-, realizzati come tempi (presente, imperfetto ecc). Così avremo ad esempio due tipi di perfetto: 1) sono andato, e 2) ho scritto, i quali sono considerati semanticamente diversi, per la differente scelta di principale, ma strutturalmente identici (aux fvb). ignoranza da parte nostra, i trasformazionalisti non hanno cambiato nulla per quanto riguarda questa concezione del perfetto composto, così fondamentale e secondo noi, così radicalmente sbagliata. Questa confusione nasce naturalmente dal fatto storico che questi costrutti sostituiscono tutt'e due in certe condizioni il perfetto latino ; e dal fatto che siano funzionalmente identici abbiamo automaticamente tratto la conclusione che siano anche strutturalmente uguali. Da questa confusione nasce una serie di complicazioni, e si conoscono gli innumerevoli tentativi di spiegare questi ausiliari come verbi «vuotati di senso», «verbi grammaticalizzati nella funzione di indicatori di tempo » e via di seguito.

La Costabile non discute esplicitamente i tempi composti, ma si vede chiaramente (p. 32) che tratta i due perfetti come strutturalmente uguali. Ora, è relativamente facile dimostrare, con una semplice prova di commutazione che questo non è il caso. Piglieremo due esempi come: a) sono bello e b) sono andato; i quali si possono riscrivere come a) ho la qualità di essere bello, e b) ho la qualità di essere andato (Certo, l'ultima frase ha poca possibilità di apparire, ma non è perciò agrammaticale). Tutt'e due sono dunque frasi forniate sullo stesso modella- FV -FF -*- cîv- L FA. il che dovrebbe essere ammissibile, dato il fatto che il participio non è un verbo ma un aggettivo.

A proposito di FA (frase aggettivale) siamo un po' in dubbio sulla necessità di distinguere al livello della proposizione di base tra FA e FN (frase nominale). É abbastanza sicuro, come sostengono in pratica anche molte grammatiche tradizionali, che sostantivi e aggettivi sono strutturalmenteidentici, visti come classi, ma è ovvio che hanno nei singoli casi distribuzione diversa. Infatti non è ben precisato nell'esposizione della Costabile, se i vari elementi della proposizione di base debbano essere delimitati e definiti secondo criteri strutturali o distribuzionali o tutt'e due o (anche) secondo altri criteri. Ma in ogni modo, per quanto riguarda la FA, può essere pratico introdurla subito, se più tardi sarà necessario farlo lo stesso. Però, al livello della proposizione di base non c'è nessuna differenza tra egli è uomo e egli è bello. Che i due costrutti possano essere risultanti di trasformazioni diverse, è altra cosa che ci conduce a problemiben

Side 262

blemibenpiù spinosi, ma che non vengono affrontati nemmeno dalla Costabile. Ma una volta accettati i principi trasformazionalisti, pare ovvio che la proposizione semplice di base, non sia in fin dei conti così «semplice».Si può però domandare, se la costituzione della proposizione di base sia del tutto un problema sincronico, oppure se ci rimandi alla remotainfanzia dell'umanità, alla creazione stessa dell linguaggio umano.

Prendiamo ora due altre frasi: e) ho un libro, e d) ho scritto, le quali, riscritte ad esempio col verbo possedere, danno il seguente risultato: e) possiedo un libro, e d) * possiedo scritto; l'ultima frase essendo ovviamente agrammaticale. Per descrivere questo fenomeno dobbiamo affrontare la scelta seguente: o dobbiamo accettare in d) un ave- «vuotato di senso» o «grammaticalizzato» (la soluzione della filologia tradizionale), o dobbiamo vedere in d) un costrutto diverso da quello rappresentato da e), una soluzione che dovrebbe subito saltare agli occhi di un trasformazionalista; il quale dovrebbe forse ragionare cosi: e) ho un libro è un costrutto di base del tipo FV -> ave- + FN; d) ho scritto è invece una frase trasformata su doppia base. Le proposizioni di base sono:

1) ho un libro

2) il libro è scritto

alle quali applicheremo la T-reh (trasformazione relativa tipo 2; cfr. Costabile p. 86) col risultato: ho un libro che è scritto; alla quale applicheremo la T-rel-omis (trasformazione omissione relativa; Cost. p. 84), col risultato: ho un libro scritto; alla quale applicheremo una T-FN-omis, che da: ho scritto. Se la FN è di genere femminile o di numero plurale, la risultante della T-FN-omis è agrammaticale (ho scrìtta ccc.)q bisogna appiicarc una trasformazione ulteriore che esige dono In T-FN-nmi? la riduzione del participio alla forma non marcata, cioè il maschile singolare, o praticamente una T-suf (trasformazione suffisso).

Da un tale ragionamento, potremo trarre due conclusioni importanti:

i) sono andato e ho scritto, benché possano compiere le stesse funzioni
nel sistema verbale, sono due costrutti diversi, il primo semplice, il secondo
trasformato, come spiegato sopra.

2) non esistono ausiliari, «vuotati di senso», ma esse- e ave- sono
sempre verbi pieni, e hanno lo stesso senso nei cosiddetti tempi composti
che altrove.

Sicuramente, non è sfuggito ai nostri eventuali lettori che la nostra
spiegazione trasformazionale del perfetto ho scritto, non è che la formalizzazionedella

Side 263

lizzazionedellaspiegazione tradizionale, che i romanisti si sono sempre immaginati della creazione del nuovo perfetto perifrastico romanzo (cfr. habeo litteram scriptam, ed altri esempi classici di questo genere). Ma anche in casi come questo si presenta il problema diacronico. Malgradol'apparente riluttanza dalla parte dei trasformazionalisti(benché forse minore di quella di altri strutturalisti?) di affrontare problemi diacronici,una riluttanza che noi consideriamo piuttosto una malattia d'infanzia,bisogna pure osservare che il problema si affaccia ad ogni passo. Indipendentemente dai problemi qua in discussione possiamo formulare il problema in modo teorico cosi: In una certa epoca, diciamo nel latino del tardo impero, comincia ad avverarsi una trasformazione a doppia base in modo che A | B diventa C; questa frase trasformata (C) ha la fortuna di prendere una funzione specifica in un sistema dove per una ragione qualsiasi è sorta una lacuna oppure una funzione nuova di grande rendimento; più tardi, indipendentemente di e per ragioni al tutto irrilevantiper C, le frasi di base, una di esse o tutt'e due cominciano a sparire, ma quella trasformata (C) rimane in vigore, appunto perché si è inquadratain un altro sistema, diciamo una coniugazione. All'epoca in cui A e/o B sono sparite, ma C è rimasta, sorge il seguente problema per il grammatico : bisogna spiegare C come il risultato sopravvivente di una trasformazione non più operante, oppure spiegarla soltanto in funzione di elementi basali attualmente esistenti nella lingua ? Quest'ultimo ripiego può a priori sembrare una falsificazione dei fatti. Certo, quando la storia di una l;ncjn:ì è non abbiamo altra uscita, ma quando tale storia si conosce, perché non tener conto di questa conoscenza ed arrivare così ad una descrizione più semplice? E di per sé ovvio che la C del nostro esempio teorico avrà una tendenza a risistemarsi, ad orientarsi verso altre basi, ma possiamo essere sicuri che questo avviene subito con la disparizione di A e/o B, o può essere che corra molto tempo, anche secoli, prima che questo avvenga? O con altre parole, abbiamo il diritto, scrivendouna grammatica moderna, di esigere che ad ogni frase trasformata esistano delle frasi basali documentabili nella sincronia?

Nel capitolo secondo (pp. 21-37) la Costabile discute i costituenti della frase verbale e distingue fra l'altro in Verbo e Verbale, in modo che il Verbale può essere costituito dal solo verbo oppure dal verbo con le sue espansioni. È più o meno la stessa distinzione che fa il Dubois, op. cit. pp. 10-16) tra 'verbe' e 'syntagne verbale' con l'importante differenza che egli è esplicito e preciso su un punto speciale, cioè di escludere dalla categoria del verbo il participio e l'infinito. Noi siamo perfettamente d'accordocol

Side 264

cordocolDubois. La posizione della Costabile non è chiaramente precisata,ma possiamo dedurre che non ragiona cosi, quando dice, come citato sopra a proposito dei verbi «servili» che «reggono il verbo vero e proprio », e troviamo passim altre formule che indicano la stessa conclusione.

Poi la Costabile tenta di stabilire una classificazione dei verbi italiani. Classifica prima a parte il verbo esse-, come un «verbo a sé stante, che genera un gruppo di strutture tutte particolari (p. 22) ». Quest'affermazione è un po' sorprendente, specialmente quando vediamo (p. 24) il «riscrivi» completo delle FV rette dal verbo esse-. 11 fatto sta che il verbo esse- non conosce una sola struttura che non si ritrovi nelle altre classi verbali ; e perciò ci sembra curioso che la Costabile non ha incluso il verbo esse- nel cosiddetto Verbale; infatti il concetto Verbale rimane privo di senso qualora non includa in se tutti i verbi con tutte le loro eventuali espansioni. Può darsi che anche la Costabile ragioni cosi, ma che abbia, per motivi pedagogici, descritto prima il verbo esse- e poi il Verbale, e che solo per incuria abbia dato l'impressione che il Verbale non includa esse-; ma in ogni modo, quando (p. 30) da, riepilogando, il diagramma completo del Verbale, il verbo esse- brilla con la sua assenza. Questo per noi è semplicemente incomprensibile.

La Costabile passa poi alla discussione delle classi VT (verbi transitivi) e VI (verbi intransitivi), le quali si distinguono secondo che possono o no essere seguiti da una FN, con funzione di oggetto. Secondo questa definizione esse- è un VI e perciò da includere nel Verbale. Noi ci domandiamo se lo stesso concetto di oggetto non sia che un'inutile sopravvivenza della grammatica latina, ed anche i concetti VT e VI sono in aito grado discutibili. Prendiamo due frasi come: I) io sono un uomo, e 2) io uccido un uomo. L chiaro che ai iiveiio della proposizione di base queste due frasi sono strutturalmente identiche (Vb -\- FN); la differenza sostanziale delle due frasi, a parte della differente scelta di verbo, essendo che in 1) le due FN sono identiche, in 2) sono diverse (io sono un uomo — FNi 4- vb -f- FNi; io uccido un uomo = FNi -f vb -f FN>¿). Se vogliamo per forza usare i vecchi termini oggetto e predicato (la Costabile usa, per curiosità solo il primo), bisogna definirli alla base dell'identificazione o non-identificazione delle due FN della proposizione di base, e non come fa la Costabile, p. 29, tenendo conto della possibilità o non-possibilitàdella proposizione di base di subire la trasformazione passiva. È molto discutibile se sia lecito difìnire e delimitare gli elementi della strutturadi base, facendo riferimento alle possibili trasformazioni che queste

Side 265

basi possono subire. In primo luogo, è una presunzione in un linguista, che voglia rendere conto della «creatività» della lingua, dire che una trasformazione finora non realizzata non è possibile. In secondo luogo, questo metodo, cosi pensiamo almeno noi, ci conduce a complicazioni inestricabili, e probabilmente anche a circoli viziosi senza uscita. La provasi vede subito, quando la Costabile dice (p. 29) che il verbo ave- non è un VT e che la sua FN2 non è oggetto, perché la trasformazione passiva non è possibile. Tutti i fatti contraddicono una tale analisi: una frase come egli ha un libro si formalizza cosi : FNi + vb + FN2, cioè la formuladella frase transitiva; tutte le lingue che conoscono una declinazionea casi mettono la FN2 di ave- all'accusativo, e l'impossibilità della trasformazione passiva della FV dove vb = ave- non è un «universale», perché esistono lingue, dove tale trasformazione è ammessa, e via di seguito. Il fatto che FNi + vb -f FN2, dove vb = ave-, non conosca la trasformazione passiva, deve registrarsi come una restrizione a una regola trasformazionale, e non giustifica al livello della proposizione di base una classificazione a parte di questo verbo. Il che conduce a un principio fondamentale : se vogliamo dare una descrizione coerente ed economica della struttura di base, dobbiamo tener conto soltanto delle proprietà strutturali e distribuzionali degli elementi costitutivi di essa; le ulteriori trasformazioni non c'entrano a questo stadio della nostra analisi. In fin dei conti è logico che deve essere così: la struttura di base è per cosi dire una materia, con certe proprietà fisse, inerenti; le trasformazioni sono meccanismi o processi, le quali si possono formalizzare come regole, che a tale materia si possono applicare oppure no ; e come diciamo nella vita giornaliera che non c'è regola senza eccezione, ci pare savio calcolare con la possibilità che non c'è trasformazione senza restrizioni. Che due frasi, che, secondo una tale analisi, si dimostrano identiche, non lo siano in realtà, cioè che siano risultati strutturalmente identici di trasformazioni diverse o di una trasformazione a basi diverse nella struttura «profonda », è, come già detto, un'altra questione. Non vogliamo escludere che le trasformazioni ulteriori alla proposizione semplice, possano essere in qualche modo od altro collegate alle trasformazioni anteriori di essa, ma finché non sappiamo come, è meglio fondare l'analisi della proposizione semplice sulle sue proprietà esplicite.

Il criterio della delimitazione della classe VI è nella grammatica della Costabile quello tradizionale: la mancanza di FN.con funzione di oggetto. Ora, questo non è, per molti motivi, un criterio sufficiente per delimitare una categoria unica di verbi ; si vede fra l'altro se si prende in conside-

Side 266

razione la formazione dei tempi composti: alcuni PP (participio passato) di VI formano verbali mediante esse- altri mediante il verbo ave-. In qucsto momcnto si dira che noi siamo in contraddizione con noi stessi, perché abbiamo detto che i participi non sono verbi, ma aggettivi, e allora questo argomento non vale. Perô è un fatto che i PP, pur non essendo verbi ma solo costituenti di verbali, sono semanticamente e forse anche in altro modo collegati a verbi specifici. E abbiamo visto che tutti i PP collegati ai verbi transitivi formano verbali mediante il verbo ave-, e ciô senza eccezione. Nella categoria VI vediamo che i PP formano verbali ora con esse- ora con ave-. Questa per noi è una chiara indicazione che, se vogliamo accettare corne utile la distinzione tra VT e VI, la frontiera fra di essi non puô essere quella tradizionale (basata sull'esistenza/ non-esistenza di FN oggetto), ma deve trovarsi entro la stessa categoria VI. Praticamente, noi vogliamo mettere in dubbio la presupposta intransitività dei cosiddetti VI, i cui PP formano verbili col verbo ave-. Certi casi sono chiari, e prendiamo corne esempio il verbo sorride-, registrato dalla Costabile, e per altro da ogni grammatica e vocabolario, corne VI. Per quanto riguarda VT dobbiamo tenere conto dei fatto che quando la FN (oggetto) non è espressa la struttura fornisce per catalisi tutte le FN capaci a funzionare corne espansione di taie verbo (la totalità di queste FN oppure una qualunque di esse); cfr. Dubois, op. cit. p. 23. Per conscguenza, il fatto che sorride- non apparisce con I'espansione FN (oggetto) non prova dcl tutto che il verbo sia intransitivo, ma soltanto che taie FN non si esprime. La ragione è évidente: sorride- è un verbo transitivo a FN (oggetto) unica (si puô sorridere soltanto un sorriso), e quando un VT ha una sola possibile FN (oggetto), questa si sopprime nella relizzazione ionetica dei verbale; è una sempiice questione di economia. Che ia FN (oggetto), nei nostro caso sorriso, sia strutturalmente présente in egli sorride, si vede dal fatto che se taie FN ha bisogno di espansioni ulteriori anche il nome riappare. Perciô non si dice mai *egli sorride un sorriso, ma si puô dire egli sorride un sorriso amaro e triste; non si dice *egli vive la vita ma egli vive una vita pericolosa va benissimo, e via di seguito. Con questo metodo solo non si puô provare che tutti i VI con ave- siano realmente VT, ma dismostra che questa possibilità esiste e che la vecchia categoria VI non si lascia più difendere, e che dobbiamo, volendo mantenere la distinzione VT/VI, rivedere le nostre idée sulla transitività. Noi siamo convinti che tutti i VI con ave- siano transitivi (secondo la definizione tradizionale di transitività!), benché la piena giustificazione di taie punto di vista si iasci quaiche voita rintracciare soitanto

Side 267

nella diacronia. Ma anche in sincronia è ovvio che il fatto che FN (oggetto) di solito non si esprima, non può essere decisivo per un grammatico moderno : übbidire a uno significa übbidire il comando a uno, mentire a uno significa mentire la verità a uno, e via di seguito, e infatti tali realizzazioni di questi verbi esistono tutt'ora.

Ma c'è anche dell'altro: tutti i verbi che «si coniugano con essere», hanno questo in comune, che sono semanticamente collegati al verbo esse: diventa- è esse- in fieri, sembra- è esse- in similitudine, gli altri, per lo più i cosiddetti verbi di movimento, denotano attività che portano ad esse- in alio loco. Che questa proprietà di esprimere «essenza» coincide colla proprietà strutturale del PP corrispondente di formare verbali con esse- non può essere casuale, ed è questa significanza che è stata intuita in certo qual modo dalla nostra grammatica tradizionale, che parla spesso di verbi di stato e verbi di azione.

In ogni modo, se vogliamo mantenere i termini VT/VI e oggetto/predicato, bisogna definirli in altro modo, tenendo anche conto dei «tempi composti». Seconda l'esistenza e la natura della FN2 potremmo distinguere tre classi di verbi cosi:

I. Verbi la cui FN2 è différente da FNi (verbi differenziatori di FN)

11. Verbi la cui FN2 è uguale a FNi (verbi identificatori di FN)
In tutt'e due i casi la FN2 puô essere espressa o catalizzata.

ITT. Verbi la cui FN? = 0 (verbi uninominali). La hN2 — \ô nel
senso che non si fornisce nemmeno per catalisi.

Mettendo soltanto la differenziazione come criterio distintivo, potremmo distinguere solo due classi, cioè verbi differenziatori di FN e verbi nondifferenziatori di FN, i primi formando verbali con ave-, i secondi formando verbali con esse-. Come spiegare questa differenza?

Ogni PP è un aggettivo che esprime l'azione compiuta del verbo corrispondente.Egli è andato è dunque una frase attiva, indicando azione compiuta,e così si dirà di tutti i verbi non-differenziatori. Questa è la ragione perché queste frasi hanno potuto sostituire direttamente il perfetto latino. La frase corrispondente di verbo differenziatore non è ad esempio egli ha ucciso (che è una frase trasformata), ma invece egli è ucciso. Questa frase può essere o no un compiuto, ma non è un attivo, al contrario, è una frase passiva; ecco perché non ha potuto, come esse- + PP di vb-non-diff. sostituire il perfetto latino. La spiegazione di questo fenomeno è molto semplice: La frase egli è andato si formalizza cosi: FNi + esse\- PP di vb (non-diff.); la frase egli è ucciso invece: FN2 + esse- + PP di vb

Side 268

(diff.); Ia rescrizione dei presenti corrispondenti sarà: egli va -> FNi + vb (non-diff.), e egli uccide (un uomo) -> FNi fa che FN2 è PP di vb (diff.). Per conseguenza un PP di verbo non-diff. può caratterizzare soltantoFNi, un PP di verbo diff. può caratterizzare soltanto FN2 (differenteda FNi). Nella formula FN + esse- 4- PP, FN = FNi quando PP = PP di vb non-diff., ma FN = FN2 quando PP = PP di vb diff. Ecco perché la frase egli è ucciso è per difinizione una frase passiva, il PP di un vb diff. si collega automaticamente a FN2 e presuppone la presenzauna FNi (sia espressa o no). La frase egli è andato è dunque univocamenteun compiuto attivo; mentre egli è ucciso è ambigua dal punto di vista compiutezza; è un passivo compiuto oppure un passivo incompiuto;la passività della frase le ha impedito di entrare nel sistema verbale attivo, come ha fatto è andato, l'ambiguità della frase per quanto riguarda la compiutezza è stata eliminata per mezzo della trasformazione passiva con ve/?/-: egli viene ucciso; questa trasformazione è dunque stata in primoluogo un mezzo di disambiguizzazione. La lacuna costituita dal fatto che il verbo differenziatore non ha un compiuto attivo perifrastico, come ha il verbo non-diff. : è andato) viene colmata colla trasformazione descrittasopra (habeo litteram scriptam).

Quest'analisi ci porta ad affermare però, che la frase egli è ucciso sia una proposizione di base, e non, come dice la Cost. e tutti gli altri trasformazionalisti che noi conosciamo, una frase trasformata dalla frase attiva (egli) uccide qualcuno. La T-pass, come descritta dalla Costabile è a prima vista, molto chiara e insinuante, con rescrizione del verbo, riordinamento delle FN e via di seguito; ma crea infatti dei problemi grossi. Come spiegare che egli è ucciso sia una frase trasformata, ma egli è andato invece no; e come spiegare che egli è ucciso ha la connotazione di compiuto, quando sia una trasformazione di egli uccide qualcuno'! Con l'analisi nostra queste complicazioni si evitano. Siamo invece d'accordo colla Costabile che la frase egli viene ucciso è una frase trasformata, ma contrariamente a ciò che dice la Costabile crediamo che si tratta originariamente di una trasformazione a doppia base. Frasi come egli viene (col senso pieno di venire, verbo di movimento) inseguito dalla moglie, sono naturalmente antichissime. A vero dire, anche noi avremmo certe difficoltà a spiegare la doppia natura di egli è ucciso, benché non sia impossibile; ma è naturalmente possibile vedere in egli è ucciso due costrutti diversi, il primo essendo una proposizione di base col senso di compiuto, l'altro essendo una frase trasformata col senso di incompiuto. La nostra spiegazione vale in tal caso soltanto per il primo.

Side 269

La Costabile non da una definizione chiara del verbo. Dice, p. 21 : «FV-^ EF -+- vb dove EF sta per Elementi Formativi, uno dei quali costante, il tempo, altri facoltativi (come vedremo più avanti), seguito almeno dal verbo, altro elemento costante, che potrà, a sua volta, essere completato da altri elementi facoltativi, i quali concorreranno a formare quello che chiameremo il Verbale». Questa definizione non dice molto sulla natura del verbo, e quando si parla poi di verbi servili e verbi «veri e propri» non comprendiamo più che cosa sia un verbo, se non si tratta semplicemente della concezione della grammatica classica, dove il verbo è nel miglior dei casi una classe semantica, e nemmeno come tale ben definita. Infatti è possibile definire il verbo in modo preciso, tenendo conto delle proprietà strutturali e distribuzionali del vb, dicendo come fa anche il Dubois, op. cil : TI verbo è una grandezza che ha tre proprietà strutturali, o tre elementi formativi (EF), e precisamente tempo, persona e numero. e una proprietà distribuzionale, quella di poter formare verbali, solo oppure insieme ad altri elementi (espansioni del vb). Secondo questa definizione verbo è uguale alla concezione classica di verbum finitum, mentre participi, infiniti ecc. si classificano come aggettivi, nomi ecc; sono dunque costituenti di verbali, ma non verbi, perché privi delle proprietà

La Costabile distingue, p. 29, una classe verbale speciale come V-a; si iraita dei verbi diventa-, sembra- pare-, e si dice che il verbale in frasi come: Maria diventa bella/una donna, si differenzia dal VT, giacché a differenza di quest'ultimo, non può anche e^crc seguito da una FA. In primo luogo non è il verbale che è seguito da una FA, ma eventualmente il verbo, perché il verbale include FA, anche secondo le definizioni della Costabile, se non sbagliamo. In secondo luogo il verbo esse- ha le stesse espansioni, ed infatti anche i cosiddetti verbi intransitivi e transitivi conoscono l'espansione FA, in frasi come egli viene veloce, egli lavora duro, benché la possibilità sia in questi casi meno sfruttata. Questa classe è strutturalmente inesistente.

Lo stesso si dirà dell'ultima classe stabilita dalla Costabile, la V-a. Contiene i verbi ave-, e pesa-, misura-, costa- ecc. Il principio della delimitazione di tale classe (impossibilità della T-pass) è già stato discusso, quando abbiamo trattato la transitività del verbo ave-. Per gli altri diremmo cosi : pesa- in una frase come le mele pesano 5 chili è un verbo non differenziatore di FN; significa essere uguale di peso (si identificano il peso delle mele e il peso del corpo messo sull'altra coppa). In una frase come ho pesato le mele, si vede subito che pesa- appartiene all'altra categoria

Side 270

Sotto la rubrica 'Altri elementi formativi del verbo', p. 30 segg., la Costabile tratta i verbi pote-, vole-, dove- (non comprendiamo perché non abbia incluso anche sape-) descrivendo tali verbi come verbi «che a buon diritto vengono generalmente definiti «servili», perché reggono il verbo vero e proprio ». Abbiamo già affermato che per noi questo è un punto di vista inaccettabile, dicendo che pote- ecc. sono verbi e gli infiniti che seguono non sono verbi, bensi costituenti di FV. Non possiamo nemmeno essere d'accordo quando l'autore continua, ibidem; «Essi (cioè i 'servili') esprimono, in un certo senso, il 'modo' nel quale l'azione espressa dal verbo ha luogo». Certo, così dicono tutte le nostre grammatiche scolastiche, ma è veramente curioso ritrovare quest'affermazione in un lavoro scientifico moderno. I cosiddetti verbi «modali» o «servili» non dicono assolutamente nulla sul modo in cui l'azione espressa dall'infinito ha luogo, anzi è molto normale che tale azione non ha del tutto luogo! Questi verbi esprimono un'altra cosa: dicono qualcosa sulla capacità, la volontà, il dovere di FNi di eseguire l'azione indicata dall'infinito; per conseguenza sono verbi. Naturalmente, non c'è nessuna differenza strutturale tra voglio bere e voglio vino, per quanto riguarda il verbo, intendiamoci.

Similmente pensiamo che in costrutti del tipo veni-l anda-¡sta- -\- -mio (gerundio), i verbi veni-, anda-, sta- sono verbi pieni indicando concretamente la presenza in o il moto a/in lugo della FNi, quando fa un'altra cosa, indicata dal gerundio. La descrizione diacronica può differire un po' da quella sincronica, ma il principio rimane lo stesso. Strutturalmente il gerundio non può essere definito come verbo, il che non gli impedisce di esprimere «azione».

Voghamo connettere alcune osservazioni aìia parie Lrasformativa deìia nostra grammatica. Per le trasformazioni su doppia base abbiamo poco da osservare; si può certamente discutere in ogni caso singolare, se si tratti, secondo una certa definizone, di trasformazione oppure no,ma come principio siamo convinti che il concetto di trasformazione su doppia base, sia un concetto utile che avrà grande fortuna in linguistica. Per le trasformazioni su base singola siamo più in dubbio. La delimitazione di queste trasformazioni sembra essere molto arbitraria. Si parla ad esempio di trasformazione negativa, dicendo che non vado è una trasformazione di vado; ma allora anche vado a casa è una trasformazione di vado, e vai, va, andiamo possono essere considerati trasformazioni di vado e via di seguito. In fin dei conti ogni cambiamento nel discorso diventa trasformazione,e si può certamente spingere questo principio fino adridiculum; e si devono accettare come trasformazioni anche tutti i cambiamenti e le

Side 271

variazioni che le grammatiche trasformative sogliono rimandare alla parte morfologica; oltre il fatto che è assolutamente arbitrario dire che non vado sia una trasformazione di vado, si può benissimo affermare anche il contrario; si può sempre affermare il contrario, quando un solo elementovaria; e non vediamo l'utilità di una definizione del concetto trasformazione'che alle ultime conseguenze deve denotare ogni coniugazionee declinazione come una serie di trasformazioni su base singola,e per di più senza possibilità di decidere quale sia il costrutto 'di base'. Questa critica colpisce, se giusta, non soltanto la Costabile, ma tutti i trasformazionalisti che noi conosciamo. Ma si possono fare obiezioni ancora più gravi contro le trasformazioni su base singola: ogni trasformazionesu doppia base rappresenta una scelta facoltativa, può essere applicata oppure no a due proposizioni semplici che esistono indipendentementedi questa possibilità trasformativa. L'opposizione positivo/ negativo invece è un sistema che sovrasta ad ogni proposizione semplice, è obbligatoriamente l'uno o l'altro, non si tratta di facoltatività, la scelta non esiste. Per conseguenza, l'opposizione positivo/negativo è una proprietàinerente alla proposizione di base, e non può affatto considerarsi una trasformazione. Volendo descrivere tali fenomeni come trasformazioni,non siamo più trasformazionalisti, ma trasformazionofìli. Analogamentesi ragionerà delle trasformazioni interrogative e imperativa: Ogni frase semplice è di peí uè o affermativa, o uiícnogativu. o impelali va., uno di questi elementi, realizzati nella forma più schietta soltanto con i intonazione, e obbligatoriamente presente; e perciò non comprendiamo perché non si possa considerarli elementi di base alla pari di FN e FV, elementi costitutivi costanti. Ogni proposizione di base completa ha dunquedue elementi sintattici: FN, e FV (vb + eventuali espansioni), tre elementi intonali („ ?, !) che si escludono a vicenda, e due elementi esistenziali(positivo/negativo, realizzati come 0 o non (ecc), e che si escludono a vicenda.

Noi siamo dunque convinti che bisogna riscrivere il capitolo Trasformazioni base singola' della nostra grammatica; alcune di esse sono proprietà inerenti della propzoione semplice, altre invece trasformazioni su doppia base, noi diremmo vere trasformazioni. Per fare questo, bisogna ammettere due cose: che la proposizione di base sia una cosa molto più complicata, di quanto abbiamo finora voluto riconoscere, e che occorra basarsi su una definizione più ragionevole del concetto 'trasformazione'.

Non è qua il nostro compito riscrivere tale capitolo Te non è, si capisce,
un compito semplice), ma vogliamo scegliere un solo esempio dalla grammaticadella

Side 272

maticadellaCostabile: la trasformazione imperativa (T-imp.). La Costabilescrive, p. 73, come segue: «Prendendo in esame le seguenti proposizioni,ci rendiamo conto che l'imperativo, come già precedentemente accennato, non ha una valida ragione di essere, come modo e neppure come tempo a sé stante. In effetto, esso, come forma verbale, ci appare come una trasformazione del presente». Siamo d'accordo che l'imperativonon sia un modo, e che non sia un tempo a sé stante, ma non è perciò una trasformazione del presente. È un presente schietto e puro, ma con l'intonazione (!); invece di (.), o se vogliamo invece di (?). Naturalmente un imperativo passato non è impensabile, e non c'è dubbio che l'italiano ha un imperativo futuro, benché le grammatiche non lo riconoscano. La Costabile dice, ibidem, cosi:

La formula della T-imp sarà:

FN + près + vb -> 0 + près + l + vb

E poi si spiega, p. 74; che I sta per imperativo ed che il simbolo près + I indica chiaramente che i due elementi si fonderanno in una unica risultante. Questo non è logico: prima si dice che l'imperativo sia una trasformazione del presente, poi si dice che la frase trasformata contiene il presente; poi non è chiaro: che cosa è questo elemento I? La risposta è evidentemente: qualcosa. La nostra conclusione è inevitabile: spiegare l'imperativo come una trasformazione, non è una spiegazione, ma una mistificazione dei fatti. Certo, l'imperativo italiano include anche altri problemi, come la forma speciale della seconda persona singolare di verbi in -are, la forma speciale dell'imperativo negativo e via di seguito, ma questi problemi non vengono risolti nemmeno dalla Costabile.

Ci sono nella grammatica della Costabile moltissimi altri punti, degni di discussione, di critica e di lode, ma noi abbiamo voluto concentrarci su questi due punti cardinali: il nostro desiderio di vedere una descrizione più soddisfacente e coerente della proposizione di base, la quale è certamente molto più complessa di quanto non s'immagini la Costabile, e il nostro desiderio di stabilire una definizione più ragionevole e efficace dello stesso concetto 'trasformazione'.

In fine si dirà che la nostra posizione verso questa grammatica e verso la grammatica trasformativa in generale, sia molto negativa, ma invece non è vero. Noi siamo convinti che la grammatica trasformativa apporteràdei contributi importantissimi alla linguistica, e la Costabile ha il grande merito di aver introdotto queste idee nuove nell'ambito della linguistica italiana. Ha per di più avuto il grande coraggio di scrivere

Side 273

una grammatica pratica, applicata, invece di perdersi nelle nebulose teoriche;cosi ha inevitabilmente dovuto mettere in rilievo, non soltanto i vantaggi del 'trasformazionalismo', come lo conosciamo finora, ma anche le sue evidenti imperfezioni, che bisognerà correggere. Così il lavoro della Costabile è un lavoro da pioniere, e dobbiamo senz'altro esserle infinitamentegrati.

Magnus Ulleland

OSLO

RÉSUMÉ

L'auteur de cet article prend comme point de départ Norma Costabile: Le strutture della lingua italiana. Gramática generativo-trasformativa (Bologna). C'est un ouvrage plein de mérites, tant en raison de sa clarté formelle que parce que c'est la première application d'une théorie tran^formationnelle à la langue italienne, aboutissant à l'établissement d'une grammaire complète. L'auteur formule cependant de sérieuses réserves sur certains points, avant tout en ce qui concerne la structure profonde, la classification des verbes et les transformations singulières, tous points sur lesquels il propose des solutions de rechange.