Revue Romane, Bind 2 (1967) 2

Discussion II congiuntivo nella secondaria comparativa d'uguaglianza reale (nel toscano antico)

di

MAGNUS ULLELAND

In un articolo anteriorel abbiamo trattato dell'uso dei modi nelle proposizioni comparative nel toscano antico, e abbiamo poi con piacere letto l'articolo di Bliicher2 sull'uso della congiunzione come, dove vengono discussi problemi analoghi. Da tutfe due gli articoli risulta che nella comparativa d'uguaglianza reale si usa il congiuntivo ogni volta che il secondo termine del paragone è generico, non individuato, cioè quando si tratta di ciò che abbiamo definito come uguaglianza generica. In altri casi c'è una documentazione preponderante in favore dell'indicativo, infatti ci sono solo tre casi con congiuntivo. Bliicher ha allargato un po' l'orizzonte, spogliando anche altri testi, non letti da noi, ma le eccezioni rimangono sempre soltanto tre. Noi li abbiamo chiamati eccezioni, ma non spiegati come eccezioni, come sembra pretendere Bliicher, il che viene dimostrato assai chiaramente dal fatto che abbiamo tentato una spiegazione comune. Chiamandoli eccezioni non abbiamo voluto dire che questi tre casi siano necessariamente anormali (sbagli, anacoluti ecc), ma che non entrano in gruppi ben stabiliti, in gruppi statisticamente documentati. Eccezione, in tali casi, non è per noi un'interpretazione, ma un concetto puramente operativo, e rimane tale finché abbiamo potuto documentare per questo tipo una frequenza che possa essere considerata statisticamente significante. Noi abbiamo (op. cit.) tentato di dare una spiegazione comune a tutt'e tre gli esempi, e non costituiva da parte nostra una conclusione, ma un'ipotesi, un fatto che abbiamo sottolineato (pp. cit., passim), che su tre esempi soltanto non si traggono conclusioni. Secondo quest'ipotesi l'uso del congiuntivo nella comparativa indica da parte di chi parla una specie di negazione del contenuto della comparativa, e siccome le nostre spiegazioni sembrano atte a creare certi malintesi, vogliamo tornare un po' su quest'argomento.

Per facilitare la lettura vogliamo ripetere i tre esempi, e per poter discutere poi
una delle distinzioni di Bliicher, indichiamo il parlante (A) e quello di cui si parla
(B). I casi sono dunque:

a) Dee., V, 10, 423: Udendo la donna queste cose, conobbe che egli erano
dell'altre (B) così savie come ella (A) fosse .

1: M. Ulleland, // Periodo Comparativo nel Toscano Antico, in «Studia neophilologica»,
Voi. XXXVII, pp. 51-95, Uppsala, 1965.

2: K. Bliicher, Vuso della congiunzione come nel toscano antico, in « Revue Romane»,
Tome 11, pp. 1-27, Kobenhavn, 1967.

3: G. Boccaccio, Decameron, giornata quinta, novella decima, paragrafo 42; edizione
a cura di V. Branca, Firenze, 1965.

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b) Dec, VI, 6, 7: Tu ci uccelli, quasi come se noi (A) non cognoscessimo i
Baronci corne facci tu (B) .

c) Nov., 264, p. 77, r, 4: se io avessi così bella cotta corn ella, io sarei altresì
sguardata come ella, perch'io (A) sono altresì bella come sia ella (B) .

Noi possiamo accettare quasi tutto ciò che dice Bliicher di concreto su questi tre esempi, ma ci stupisce la sua conclusione che egli si trova d'accordo col Rohlfs (citato da Bliicher, op. cit., p. 17), il quale considera questi congiuntivi come espressione di «Vermutung oder subjektive Auffassung». In primo luogo la definizione di Rohlfs è così vaga che non si può applicare a un caso concreto, il che avviene spesso, si capisce, nei manuali di questo genere che devono descrivere con poche parole dei problemi complicatissimi. Come si può lavorare con termini come «soggettivo» e «obbiettivo» senza nemmeno definire che cosa siano rispettivamente «soggettività» e «obbiettività»? Nei casi b) e e) Bliicher parla dell'opinione altrui rispetto a chi parla (nel discorso diretto), nel caso a) parla dell'opinione altrui (includendo così forse e A e B del periodo comparativo (?) rispetto al narratore, il quale diventa a sua volta A (?). Se i termini «soggettività» e «obbiettività» si usano qua nella loro accezione comune (dove «soggettivo» presuppone la sua antitesi «obbiettivo»), è logico che le opinioni di A, di B e del narratore possano tutte essere soggettive o obiettive, secondo i casi. Abbiamo già stabilito sei categorie (o almeno quattro distribuite in due «dimensioni» diverse; si veda sotto), senza calcolare i possibili sincretismi logici. Ma la lingua, a quanto risulta dal nostro scarso materiale, fa solo distinzione tra due categorie, quelle che si esprimono rispettivamente coll'indicativo e col congiuntivo.

Ora, il caso a) è diverso dagli altri in quanto non sta come questi nel discorso diretto: nel periodo comparativo c'è inversione degli elementi A e B, cioè B-A invece di A-B, senza che noi vediamo attualmente l'eventuale importanza di questo fatto. Abbiamo tentato (op. cit., p. 62) una spiegazione, e ammetiamo volentieri che non è molto convincente, come non lo è mai una spiegazione che si basa su un solo esempio. Ma usando il termine negazione non vogliamo dire ciò che intende Bliicher. Certamente tutt'e due le donne si considerano «savie» nel senso che considerano «savio fare» dare le corna a un marito «tristo». Nessuna delle due negherebbe questo fatto, e, crediamo, nemmeno il narratore lo farebbe. Ma agendo come hanno fatto, si sono veramente comportate saviamente? L'altra donna (B) è già stata scoperta dal marito e A sta per esserlo! Non è perciò escluso che la donna metta in dubbio la propria saviezza, ma non vogliamo per il momento insistere di più su questo caso, ma passare alla discussione degli altri due, i quali sono molto più semplici.

Nei casi b) e e) Bliicher dice che il congiuntivo viene usato nella comparativa perché questa esprime l'opinione altrui (di B). Che in questi casi si esprima l'opinione di B nella comparativa è possibile, anzi, è molto probabile, ma ciò vuoi dire forse che si usa nella comparativa il congiuntivo ogni volta che si esprima l'opinione di B? Ci sono due metodi per provare tale tesi: l'uno è di trovare altri esempi e stabilire così una prova statistica, l'altro è di rileggere nel loro contesto tutti gli



4: // Novellino, novella 26; a cura di C. Alvaro, Edizioni Garzanti, 1945.

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esempi con indicativo e controllare che in nessuno di questi casi venga espressa l'opinione di B. O vuoi dire che si usa il congiuntivo solo quando l'opinione di B è «soggettiva», e allora siamo rientrati nel circolo vizioso della «soggettività». Bisogna dunque definire «soggettivo» o trovare eventualmente un termine migliore.

Analizziamo ora il caso e) dove viene detto che io (A) sono altresì bella come sia ella (B). Noi non vogliamo affermare che A neghi il fatto; non nega la qualità (bellezza) a B. La sua bellezza era un fatto conosciuto («era molto sguardata dalle genti »), e sarebbe un controsenso che A volesse paragonare la propria bellezza, la quale è ugualmente incontestabile, secondo lei, alla bellezza di una donna (B) che fosse addirittura brutta, o, almeno, che non fosse del tutto bella. No, la sua negazione è un processo psicologico molto più sottile. Bliicher dice che si usa il congiuntivo perché la comparativa esprime l'opinione di B, e questa è, secondo lui, la causa primaria. Noi pensiamo invece, che questa non sia causa, ma effetto, risultato. Dobbiamo farci la seguente domanda: perché preferisce A di rappresentare un fatto indiscutibile (la bellezza di B) come l'opinione di B, e non come l'opinione propria? Evidentemente c'è una differenza tra un'affermazione presentata da A come l'opinione di B e la stessa affermazione presentata da A come l'opinione di A. Il fatto che A presenta la realtà come opinione di B, e non come la sua, significa che lo espone, come dice anche Bliicher, in un certo qual modo, con riserva, dubbio, insinuazione ecc. E questa «alienazione» della realtà da parte di A, l'abbiamo noi, forse imprudentemente, chiamata negazione, ma non pensiamo che A neghi la bellezza di B, ma che A nega il paragone, che rigetta il paragone tra la bellezza di B e quella propria; si considera dunque la più bella di due donne belle.

Bisogna dunque constatare che, se vogliamo definire «l'opinione di B» come soggettiva nel presente caso, non è lecito caratterizzare un'affermazione come soggettiva così in abstracto, ma ci vuole un punto di riferimento, deve essere soggettiva rispetto a qualche cosa, e questo «qualche cosa» non può essere altro che «l'opinione di A». Ed è appunto questo contrasto implicito a livello semantico che provoca il congiuntivo a livello linguistico, e viceversa è appunto questo congiuntivo che suggerisce tale contrasto. Così possiamo immaginarci la possibilità di mettere nella bocca di A l'opinione di B, senza che questo contrasto sia implicato, e in tal caso si userebbe probabilmente l'indicativo; in tal caso si parlerebbe forse dunque dell'opinione obbiettiva di B (rispetto a A).

Ma, a vero dire, noi non vediamo come si possa convenientemente definire i concetti «soggettività» ed «obbiettività» per rendere questi termini praticamente applicabili al nostro caso. Si tratta, se noi abbiamo ragione, di cosa molto più semplice e precisa; si tratta di 1) opinione di A accettata da A o non accettata da A, o 2) opinione di B accettata da A o non accettata da A; in caso di accettazione si usa l'indicativo, in caso di non accettazione si usa il congiuntivo. Il paradosso che sta nell'affermazione che A può non accettare la propria opinione è solo apparente. Bisogna tener presente che A esprime la sua opinione (come anche quella di B) non come affermazione esplicita, ma in forma di paragone, di cui non mette in dubbio nessun dei componenti individuali, ma solo la supposizione che siano uguali (quest'ultimo quando usa il congiuntivo, intendiamoci; quando usa l'indicativo conferma la giustezza dello stesso paragone). Se questa ipotesi sia giusta, e solo ricerche future potranno illuminarci, non importa affatto se «l'opinione» 12 Revue Romane

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della comparativa sia di A o di B, ma importa solo l'atteggiamento di A verso la
giustezza del paragone. E così avremmo a che fare solo con due categorie di contenuto,
come abbiamo certamente a che fare solo con due categorie formali.

Lo stesso si dica del caso b) del nostro elenco. Qua non viene negato che Michele
Scalza conosca i Baronci, ma viene negato che li conosca così bene come gli altri,
o se vogliamo, viene insinuato che gli altri li conoscano meglio.

Il caso a) è un po' diverso, in quanto entra in gioco un'altra «dimensione»: la persona del narratore, come avviene ogni volta che il periodo comparativo non si trova nel discorso diretto. Ma può benissimo darsi che il narratore qua «prenda le funzioni» di A, in modo che possiamo applicare un'interpretazione analoga. Infatti il narratore sa che la «saviezza» della donna la trarrà fra poco nei guai.

Per concludere, siamo d'accordo con Bliicher per quanto riguarda l'interpretazione concreta di questi casi, e troviamo, contrariamente alla sua opinione, che la sua interpretazione testuale si concorda benissimo con la nostri tesi. Troviamo inoltre che l'uso di termini come «soggettivo» non può che offuscare la discussione, ammettendo però che il nostro termine «negazione» sia forse poco felice, perché provoca delle associazioni sbagliate. Era però molto naturale in una tesi che discuteva proprio il concetto di «negazione sintattica». Così è bene che l'artìcolo di Bliicher ci abbia dato l'opportunità di chiarire le nostre idee ad altri e forse anche a noi stessi.

Data la scarsissima documentazione (tre poveri esempi), dobbiamo anche ammettere che al nostro piacere della discussione si aggiunga una preoccupazione inquietante: che le nostre sottigliezze (come anche quelle di Bliicher) intorno a questo problema possano meritarsi la caratteristica: molto fumo e poco arrosto.

Magnus Ulleland

OSLO