Revue Romane, Bind 2 (1967) 2

Le correzioni ai Sei Personaggi e il Castelvetro di Pirandello

DI

JØRN MOESTRUP

1. Scopo e metodo

II presente studio si propone di studiare le varianti di tre edizioni diverse e successive del dramma pirandelliano Sei Personaggi in cerca d'autore, la cui prima edizione è del 1921 (p.e.). Terremo conto anche della terza (t.e.) del 1924 e della quarta, «riveduta e corretta con l'aggiunta di una prefazione », del 1925 (e.f. = edizione rifatta).

Dai risultati ottenuti non cercheremo di trarre tutte le conseguenze implicite, perché questo richiederebbe una preliminare analisi d'insieme della versione definitiva che non rientra nei propositi. A qualunque studio delle varianti è inerente una possibile duplicità di valutazione; si può aspirare a un giudizio di massimo o di minimo, e dal punto di vista metodologico è importante di non confonderli. Tutta la portata di una variante non può essere misurata appieno se non sulla nuova unità dell'opera, ma d'altra parte presenta regolarmente dei caratteri generali sufficienti per un giudizio con intenzioni speciali e limitate.

Da una ricerca così circoscritta esula a rigore il giudizio di valore che non può fare a meno dell'esame d'insieme, e uno degli errori più frequenti in questo campo è proprio il tentativo di fare delle valutazioni estetiche sulla base delle sole varianti. È comunque impossibile tracciare una linea di demarcazione netta. A volte i due punti di vista si legano così strettamente insieme da escludere la coerenza, e in seguito non verranno, perciò, evitati accenni saltuari a giudizi di valore, all'interpretazione complessiva ecc.

Pirandello aveva l'abitudine di correggere quasi sempre nelle molte edizioni delle sue moltissime opere, ma allo stato attuale degli studi l'entità precisa del fenomeno resta sconosciuta. Nei pochi casi in cui è stato fatto un esame comparativo delle varianti, il metodo si è rivelato subito di notevole utilitàl. Evidentemente è indispensabile negli studi stilistici, ma può servire anche, come si vedrà, a mettere in luce altri fattori nello svolgimento dell'opera.

1: B. Terracini: Analisi stilistica. Feltrinelli 1966, pp. 291-2.

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2. L'Edizione del 1924

Già in t.e. compaiono varianti degne di nota per quanto non paragonabili a quelle del rifacimento del '25. Tutte le cancellature e innovazioni del '24 saranno rispettate o ulteriormente sviluppate nell'elaborazione definitiva che prosegue la revisione senza tornare in nessun caso alla prima edizione. Vedremo le principali novità di t.e. rispetto a p.e. - Due sostituzioni di carattere tecnico interessano un gran numero di pagine: nelle didascalie il presente ha ceduto il posto al futuro; il direttore è diventato il capocomico e invece del trovarobe è subentrato ovunque il direttore di scena (senza identificazione delle due funzioni, i termini si trovano già l'uno accanto all'altro in p.e.p. 65, poi t.e.p. 60). Oltre a queste vi sono in t.e. ca. 75-100 correzioni (secondo il modo di fare il conteggio), la stragrande maggioranza di poco conto. Riportiamo le più importanti.

P.e.p. 38 - t.e.p. 34. Dopo la battuta del direttore (La smetta! Mi
faccia sentire, santo Dio!) è scomparsa una battuta della figliastra e
metà della successiva del padre :

LA FIGLIASTRA. Sissignore! Ma sanità morale, lui, signore, lui, cliente di
certi ateliers come quello di madame Pace!

IL PADRE. Sciocca! Per questo sono un uomo! Questa che sembra un'incongruenza, signore, è la prova più vera ch'io sono qua vivo davanti a lei! Ma se appunto per queste incongruenze mi sono ridotto a soffrire quello che soffro!

Nella risposta del padre si nota che p.e. dava risalto alla sua qualità di
uomo vivo e incongruente oltreché a quella di personaggio.

P.e.pp. 52-3 - t.e.p. 48. « IL PADRE. Oh, ma lui glielo leva subito, l'impaccio, sa! E anche quella bambina, che è anzi la prima ad andarsene ...» In p.e. segue una pagina in cui il padre espone al capocomico come si svolgerà e terminerà il dramma che i personaggi desiderano rappresentare sul suo palcoscenico. Egli da anche una spiegazione della catastrofe familiare: tutto deriva dal suo «Demone dell'esperimento » che non vuoi lasciare le cose e gli uomini come sono, ma cerca con malinteso idealismo di cambiarli, mentre ognuno ha invece in sé la propria realtà che va rispettata ad ogni costo, anche quando è nociva all'individuo. - Con la soppressione di questa pagina scompare l'unica spiegazione diretta della tragedia umana dei personaggi, accentuandosi il senso di fatalità nel loro destino; scompare anche la previsione della fine del dramma e la sua ragione: morti i bambini e fuggita la figliastra,

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i tre che restano sentono di non poter più formare una famiglia, tutto si dissolve e perciò anche il dramma dovrà finire. - In questo modo diminuisce l'insistenza sul fatto che i personaggi già conoscono la loro sorte quando si presentano al teatro.

P.e.p. 70 - t.e.p. 64. « IL DIRETTORE. E va bene « i personaggi », poiché a lei fa ancora piacere di definirsi così ». La causale non c'è in t.e. La convinta incredulità del capocomico, la sua condiscendenza a ciò che considera un capriccio puro e semplice del padre, pone in rilievo il carattere apparentemente umano di questo e, per riflesso, degli altri personaggi. - Identico elemento caduto p.e.p. 122.

P.e.pp. 121-3 - t.e.p. 116. « IL PADRE. Ma la nostra no signore! . . . che dovrebbe dar loro un brivido nell'accostarsi a noi. » - Dopo queste prime righe della battuta del padre sono scomparse più di due pagine con un dialogo filosófico alquanto lungo fra padre e capocomico. Il padre afferma l'identità fra sentimento e ragione secondo la concezione di Pirandello (l'uomo ragiona perché sente e mentre sente) e ritorna sulla differenza fra personaggi artistici eterni e esseri umani transitori, tema già svolto ampiamente all'inizio del primo atto. Inoltre il brano soppresso riprende in chiave polemico-umoristica il motivo dell'odio del direttore nei confronti del Pirandello, anch'esso già sfruttato all'inizio del primo atto e qui sostanzialmente identico.

P.e.pp. 126-8 - t.e.p. 118. Altre due pagine cancellate. Dopo quello che dice «LA FIGLIASTRA. Ma che! Se egli stesso m'ha voluta così . .. così come il pubblico solitamente lo vede elo vuole » seguivano ancora una volta delle considerazioni filosofiche del padre e del capocomico, sull'animale vivente di fronte all'uomo pensante e sulla necessità che i personaggi non tentino di sopraffarsi a vicenda. Quest'ultimo era già stato detto dal capocomico alla figliastra alla fine del primo atto.

P.e.p. 135 - t.e.p. 126. «IL FIGLIO. Ah, sì! Benissimo!» (t.e.: « Grazie! ») - in seguito t.e. aggiunge: « Ma non ha ancora compreso che questa commedia lei non la può fare? Noi non siamo mica dentro di lei, e i suoi attori stanno a guardarci da fuori. »

È una giustificazione della fine che si avvicina e che, oltre a far terminarela rappresentazione del dramma dei personaggi, rende chiara l'impossibilità per il capocomico di riprenderlo. Le parole del figlio spiegano questa impossibilità, preludendo alla prefazione, di epoca poco posteriore (fine del '24), in cui la fine è vista come inerente alla situazione dei personaggi: sono stati rifiutati dall'autore, l'artificio di sostituirlo con il capocomico è impossibile e crolla con l'esplosione finale. È evidenteil

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denteilcontrasto fra questa spiegazione, « tecnica », del figlio e l'altra, «naturalistica », del padre in p.e., la famiglia cessa di esistere ecc, cfr. p.e.pp. 52-3 e t.e.p. 48. Quella del padre è stata cancellata perché sostituitacon la nuova del figlio.

Oltre alle varianti elencate altre meriterebbero di essere citate, ma nella maggior parte dei casi si tratta di ritocchi stilistici di carattere puntuale che non alterano gran che la fisionomia dell'opera. - I risultati del precedente esame si possono così riassumere: una certa tendenza alla disumanizzazione dei personaggi, minor rilievo dato alla loro consapevolezza del proprio destino, alleggerimento nel terzo atto di brani filosofici abbastanza lunghi e non molto necessari, nuova spiegazione della fine.

3. L'Edizione definitiva del 19252

La 4. ed. del '25, « riveduta e corretta con l'aggiunta di una prefazione », triplica le correzioni che ormai rispetto alla stesura originale superano largamente le duecento. In confronto con t.e. le varianti del '25 appaiono molto vistose e tali da incidere sulla stessa struttura del dramma. Le trasformazioni interessano in modo particolare gli inizi del primo e del secondo atto, nonché la fine del terzo; intere scene sono state aggiunte cancellate spostate, e le proporzioni relative delle tre parti hanno subito alterazioni notevoli. Mentre in p.e. i primi due atti avevano dimensioni identiche (53-52), di fronte a un terzo molto più breve (30), in e.r. le cifre sono 29-23-16; il primo atto non poco aumentato, il secondo abbreviato in modo corrispondente, il terzo reso ancora più breve.

1. Atto

P.e.pp. 8-13 - e.r. (Mondadori) pp. 71-7. Già l'esordio fa vedere chiaramentele direttrici - poche e tenute ferme con molta coerenza - sulle quali Pirandello effettua i numerosi interventi di e.r. A pp. 71-4, fino all'inizio della prova per « II Giuoco delle parti » (« IL SUGGERITORE (leggendo nel copione). In casa di Leone Gala ecc. ») - corrispondono soltanto poche scene in p.e. In questa, dopo una brevissima didascalia con le indicazioni di scena, c'è subito l'arrivo degli attori e immediatamentedopo entra il capocomico. Solo a questo punto comincia il dialogo vero e proprio, ridotto ad uno scambio di poche battute fra il



2: Citata nelFed. Mondadori in sei volumi, 1958, Maschere Nude, I, pp. 53-138.

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capocomico e il direttore di scena. In e.r. sono stati aggiunti il dialogo fra macchinista e direttore di scena, il ballo fra attori e attrici, lo scambio di battute fra capocomico e segretario, le due scene fra capocomico e prima attrice (con il particolare nuovo che lei arriva dalla sala, come anche il capocomico), e altre cose di minor conto. Poco più in là fanno il loro ingresso i sei personaggi, e Pirandello opera il secondo, importantissimointervento. Innanzitutto, in p.e. i personaggi non vengono dalla sala, ma entrano sulla scena esattamente come gli attori, da una porta di fondo3. Anche in altro modo e.r. ha trasformato completamente questa presentazione: la «diversa colorazione luminosa a mezzo di appositiriflettori» è invece, semplicemente, in p.e.: «una strana tenuissima luce, appena percettibile . . . come irradiata da essi: lieve respiro della loro realtà fantastica. Questo soffio di luce sparirà quand'essi si faranno avanti per entrare in contatto con gli attori . . . certa loro naturale levità di sogno ... che pure non toglierà nulla all'essenziale realtà delle loro forme e delle loro espressioni». - Manca la proposta di usare maschere e tutta la caratterizzazione a tipi fissi che le maschere dovrebberomettere in risalto, il padre-rimorso, la figliastra-vendetta ecc.

Riassunto; due novità fondamentali distinguono e.r. da p.e.: 1) la parte spettacolare e tecnicamente antitradizionale riceve una fortissima accentuazione; 2) i personaggi, tipizzati, sono nettamente differenziati dagli attori e le loro caratteristiche in quanto esseri non umani vengono poste nel massimo rilievo.

L'utilizzazione della sala (e di altre parti del teatro) quale parte del palcoscenico, ossia la demolizione della cosidetta «quarta parete» non avviene quindi per la prima volta in Pirandello nei Sei Personaggi, ma in Ciascuno a suo modo del 1924, fatto non privo di interesse per la storia del teatro europeo, ma regolarmente ignorato. Non è improbabile che Pirandello sia stato indotto a trasformare i Sei Personaggi in questo senso anche in seguito alle esperienze degli anni precedenti di messinscenedel suo dramma. Si ricorderà ad esempio la celebre rappresentazionedella Comédie des Champs-Elysées del '23 in cui i personaggi venivano calati sulla scena con un montacarichi. Pirandello era in principiorestio



3: Una curiosità: Pirandello ha dimenticato di togliere il « fondo », giusto in p.e., ma non più in e.r.. con l'arrivo dei personaggi dalla sala; sono già vicini alla scena, quando il capocomico per la prima volta si rivolge a loro (p.e.p. 14e.r.p. 77). Altra minima incongruenza: «alluderà» al posto di «allude», p.e.p. 58 e.r.p. 99.

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cipiorestioad accettare l'idea, ma si convinse dopo avere assistito
personalmente4.

La nuova e spettacolare tecnica del Pirandello non si esaurisce evidentemente al livello dei procedimenti formali, ma la questione non riguarda il presente studio al quale rimane estraneo anche il problema dei rapporti profondi, nell'unità dell'opera, fra tecnica e personaggi. Qui si vuole soltanto approntare il materiale per l'interpretazione complessiva del dramma, incompleta se non tiene conto della storia della sua formazione, e indicare una delle sorgenti principali della sua forma rinnovata. A questa sorgente arriveremo a conclusione della rassegna delle varianti.

La rivoluzionaria tecnica teatrale ha per effetto immediato di illuminare in modo spettacolare il carattere dei personaggi, differenziandoli dagli attori. Mentre nelle prime versioni essi sono, sì, differenti ma simili, come risulta con evidenza dalla citazione sopra riportata (questo soffio di luce sparirà ecc), nel '25 vengono staccati con tutti i mezzi e contrapposti ai comici, spiccando i loro tratti non umani. A costo di qualche ripetizione conviene tornare su queste varianti iniziali e passarle in rassegna con l'occhio fisso alla duplice prospettiva dell'innovazione tecnica e del particolare rilievo dato ai personaggi, fermo restando che la prima, spesso ma non sempre e non esclusivamente, serve al secondo.

L'estensione delle primissime pagine interessa soltanto indirettamente i personaggi, mentre contribuisce a sottolineare in modo polemico ed aggressivo la situazione antitradizionale. Lo spettacolo di teatro nel teatro viene efficacemente rafforzato dall'introduzione del macchinista che si mette a schiodare degli assi a colpi di martello'per preparare la rappresentazione, dal prolungamento della scena dell'arrivo degli attori, dai battibecchi fra capocomico e prima attrice. Dal punto di vista del nuovo carattere dei personaggi è molto notevole la seguente indicazione di scena:

Sarà bene che tanto le Attrici quanto gli Attori siano vestiti d'abiti piuttosto chiari e gai, e questa prima scena a soggetto abbia, nella sua naturalezza, molta vivacità. A un certo punto, uno dei comici potrà sedere al pianoforte e attaccare un ballabile; i più giovani fra gli Attori e le Attrici si metteranno a ballare.



4: Georges Pitoëff: Notre théâtre, Rigault, Paris 1949, quotato da G. Giudice: L. Pirandello, UTET 1963, pp. 368-70.

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Così si prepara il contrasto con l'arrivo dei personaggi, solenni, a momenti

Il loro ingresso attraverso la sala si inquadra perfettamente nella doppia prospettiva, ponendo in risalto l'elemento di teatro-nel-teatro (con sue implicazioni) e richiamando su di loro una particolare attenzione. La proposta di usare maschere li eleva sopra il livello umano, al piano dell'ideale e del tipico. Una volta chiarito questo proponimento fondamentale certe varianti apparentemente minime ricevono spiegazione. Così nella caratterizzazione dei personaggi si diceva in p.e. del padre : « piuttosto grasso » - particolare troppo umano e realistico e perciò tolto in e.r. L'abbozzo dedicato al figlio comprende in p.e. questo tratto : «... mostrerà d'esser venuto contro voglia là su un palcoscenico » ; togliendolo Pirandello insiste meno sulla resistenza del tìglio, ne vedremo il perché.

P.e.pp. 15-8 - e.r.pp. 78-80. La figliastra sale sul palcoscenico seguita dal padre, mentre il dialogo si è svolto finora fra sala e scena. Un momento dopo, opportunamente preparato da una battuta del padre (« portiamo in noi ... un dramma doloroso », l'aggettivo non c'è in p.e., serve a predisporre la scena successiva, novità dell'e.r.), l'arrivo della madre con la bambina, il giovinetto e, a breve distanza, il figlio: « Così dicendo porgerà la mano alla Madre per ajutarla a salire gli ultimi scalini e, seguitando a tenerla per mano, la condurrà con una certa tragica solennità dall'altra parte del palcoscenico, che s'illuminerà subito di una fantastica luce ». Tragica solennità, e soprattutto, fantastica luce: idealizzazione e irrealtà.

P.e.p. 22 - e.r.p. 81. La risata fragorosa, crassa e volgare, della figliastra
viene sostituita con la più inquietante stridula risata.

P.e.p. 23 - e.r.p. 82. Aggiunta non dissimile in e.r. : gli attori « attratti da un fascino strano [da parte della figliastra, cors, sempre nostri], si moveranno verso lei e leveranno appena le mani quasi a ghermirla. Ella sfuggirà; e, quando gli Attori scoppiano in applausi, resterà, alla riprensione del Capocomico, come astratta e lontana ». Misteriosa, irreale, lontana. E ancora p.e.p. 38 - e.r. 90, la didascalia: « Subito, di nuovo, alla riprensione del Capocomico, ella resterà come assorta e lontana, con la risata a mezzo » ecc. Come nell'esempio precedente le rimostranze del regista la fa dimenticare la sua momentanea realtà terrena e tornare a quella vera, interrompendo la canzone e la risata.

P.e.p. 30 - e.r.p. 86. Comincia la serie delle discese e risalite del capocomicodalla

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pocomicodallascena in platea e viceversa. Di queste evoluzioni compirà
complessivamente sei, due nel primo, quattro nel secondo atto.

Per completezza bisogna far cenno ad una serie di aggiunte minori in e.r. Si tratta di numerose didascalie che precisano l'interpretazione della battuta, togliendo la possibilità di sbagli da parte del regista e degli attori. Evidentemente le tante rappresentazioni cui era stato presente fra il '21 e il '25 avevano convinto Pirandello della necessità di salvaguardare il suo dramma da simili pericoli.

2. Atto

L'inizio del 2. atto è stato rivoluzionato completamente, molte pagine sono scomparse, in parte soppresse e in piccola parte trasferite alla fine dell'ultimo atto. Anche in questo caso è possibile rinvenire direttrici essenziali. L'esordio dell'atto è in p.e. impostato sui preparativi della rappresentazione. Il capocomico e i personaggi sono in camerino a concordare la scelta e lo svolgimento delle scene, e l'apertura presenta la figliastra al momento di uscire dal camerino del direttore, seguita dalla bambina e dal giovinetto. « LA FIGLIASTRA (dopo aver gridato sulla soglia del camerino). Ma che! Fate voi! Fate voi! Non voglio saperne io di questi pasticci ! (Rivolgendosi alla bambina e venendo con lei di corsa sul palcoscenico) Vieni, vieni, Rosetta, corriamo, corriamo! » ecc. - II seguito in p.e. è costituito dalle due scene a pp. 133-4 in e.r., figliastra-bambina e figliastra-giovinetto (scoperta della rivoltella). Spostando queste pagine Pirandello evita l'anticipazione della fine, con un intento che fa tutt'uno con la minore insistenza sui fatto che i personaggi sono consapevoli del proprio destino. Ristretta questa serie di anticipazioni la fine arriverà con maggiore sorpresa, sarà meno scontata.

- Nelle scene trasferite si aggiungono nuovi particolari intonati sulla linea generale del rifacimento: la figliastra alla vista della rivoltella dice, cupa ... e il giovinetto che non risponde ha gli occhi sbarrati e vani, mentre in p.e. era solamente pallidissimo - consueto rafforzamento della atmosfera di tragica e allucinata irrealtà.

Dopo le due scene spostate arrivano dal camerino padre e capocomico per portare via con loro la figliastra. Vogliono il suo aiuto per concordare qualche particolare della rappresentazione. Li segue riluttante, e si svolge poi una scena cancellata totalmente in e.r. fra madre e figlio. Lei cerca timidamente di avviare un colloquio, ma è respinta. Ambedue esprimono la loro disapprovazione per il padre e la figliastra desiderosi di portare sulla scena le disgrazie della famiglia, ma non è possibile rifiutarsi e

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non participare, lo dice il figlio esplicitamente. La scena termina con un lungo monologo del figlio di cui già nel '24 Pirandello era scontento, ne fanno fede le numerose correzioni di t.e. Il tema del monologo è l'obbligo che avrebbero i genitori di non farsi scoprire troppo uomini dai figli.

Riassumendo si può costatare che in questo inizio d'atto vanno via o si restringono i seguenti elementi: 1) II lavoro di preparazione del dramma che da anch'esso qualità umana ai personaggi ; padre e figliastra collaborano con il capocomico in p.e., mentre la superiore unità della loro tragedia, com'è configurata in e.r., non si presta più a simili compromessi tecnici; non sono del tutto evitabili, ma vengono taciuti. 2) L'anticipazione del loro destino ineluttabile. 3) La riluttanza di madre e figlio, contrari alla rappresentazione. 4) II moralistico monologo del figlio.

P.e.p. 80 - e.r.p. 107. La figura di madama Pace è resa molto più caricaturale in e.r. : innovazione di sicuro effetto. Ha in e.r. una «pomposa parrucca di lana color carota e una rosa fiammante da un lato, alla spagnola», la seta del vestito è da nera diventata rossa sgargiante! Invece della « lunga catena d'argento attorno della vita, da cui pende un paio di forbici », ha in una mano un ventaglio di piume e nell'altra una sigaretta accesa. Anche qui è probabile che le regie degli anni precedenti abbiano contributo, mancano studi al proposito. La parrucca servirà più avanti, quando viene alle mani con la madre che le strappa la parrucca buttandola a terra!

All'apparizione di madama Pace in e.r. «gli Attori e il Capocomico schizzeranno via dal palcoscenico con un urlo di spavento, precipitandosi dalla scaletta e accenneranno di fuggire per il corridojo »; altra aggiunta parallela a p.e.p. 84 - e.r.p. 109, dove per un malinteso il capocomico chiede « costernatissimo » (in tutte le ed.) « Deve forse scappar fuori qualche altro ?» e gli attori « accenneranno di scappar via di nuovo dal palcoscenico », mentre in p.e. «scoppiano a ridere »! A madama Pace come figura sovrannaturale, malgrado il suo aspetto caricaturale che crea anzi un contrasto ricco di effetto, si da un forte rilievo con le reazioni di terrore degli attori.

P.e.pp. 95-8 - e.r.pp. 115-6. Alcune addizioni completano lo spettacolo di teatro nel teatro, dando spicco contemporaneamente all'opposizione fra mondo ideale dei personaggi e spettacolo teatrale. Quando il capocomico si accinge a fare la prova con i suoi attori, in e.r. si aggiunge la seguente didascalia: « S'udrà dal cupolino chiaramente la voce del sug-

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geritore ». Successivamente viene prolungata la scena in cui il capocomico
istruisce gli attori sul modo di rifare le parti dei personaggi (padrefigliastra).

3. Atto

P.e.p. 125 - e.r.p. 127. LA FIGLIASTRA (venendo avanti come trasognata) la parentesi è soltanto dell'e.r. A partire dalla didascalia: « Richiamerà per nome un apparatore » e.r. aggiunge 18 linee di effetti teatrali, la calata di un cielo di tela bianca, il lavoro dell'elettricista per creare un po' di atmosfera lunare che poi diventa una misteriosa scena lunare, altro esempio di coincidenza fra le mire di spettacolosità teatrale e di elevazione dei personaggi.

P.e.p. 130 - e.r.pp. 130-1. In e.r. il giovinetto è ridotto un automa, ogni traccia di vita scompare; p.e.: «perplesso, smarrito, pieno di sgomento », e.r. : »... il capo che ogni volta casca giù » [quando il capocomico cerca di rialzarlo]. Al momento di eseguire la parte lo fa in p.e. « con una verità impressionante », mentre Pirandello in e.r. utilizza l'occasione per una significativa reazione degli attori : «il giovinetto eseguirà l'azione tra lo sgomento degli Attori che ne restano impressionatissimi

P.e.p. 132 - e.r.p. 132. La scena in cui viene illustrata in modo spettacolare l'impossibilità del figlio di muoversi e andar via è interamente nuova, in p.e. reagisce semplicemente così: « II Figlio resta, guardandola con disprezzo, anzi con odio. Ella ride » ecc. Nuovi quindi « il potere occulto », lo « sgomento ansioso » e anche la « virtù magica » con cui in e.r. la figliastra attira la madre presso di sé.

P.e.p. 137 - e.r.p. 136. Altro particolare d'effetto, in e.r. il figlio, nella
colluttazione con il padre, lo butta a terra.

P.e.p. 141 - e.r.pp. 137-8. (La fine) A partire dalla didascalia « Tutti,
tranne il capocomico e il padre » ecc. il resto in e.r. è un'aggiunta. In
p.e. c'erano poche battute:

IL DIRETTORE. . . . ferito davvero?
ALCUNI ATTORI. Davvero! davvero! Morto! morto!
ALTRI ATTORI. No! Finzione! Non creda! Finzione! Finzione!
IL PADRE. (con un grido altissimo) Ma che finzione! Realtà, realtà, signori!
(accorre disperatamente anche lui).
IL DIRETTORE. Finzione! realtà! Andate al diavolo tutti quanti! Non mi
è mai capitata una cosa simile! E mi hanno fatto perdere una giornata!
TELA.

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Non vi è bisogno di commentare lungamente la drastica trasformazione della fine che ognuno, leggendo e comparando con la fine citata di p.e., può riscontrare costruita sulla duplice esigenza, già tante volte messa in rilievo precedentemente, di una molteplicazione degli effetti teatrali e di uno specialissimo risalto dato ai personaggi, creature meta-fisiche.

4. Adriano Tilgher e i « Sei Personaggi »

La fonte di una parte molto importante delle varianti studiates è il celebre saggio di Tilgher negli Studi sul teatro contemporaneo, del 19226. Com'è noto, il filosofo napoletano7 basa la sua trattazione sui termini forma e vita, elementi di un insanabile dualistico contrasto che costituirebbe il nucleo centrale dell'opera pirandelliana. Vita nel senso di flusso libero, spontaneo, indistinto, forma come arresto della vita, progressivo irrigidirsi e morte. Nei Sei Personaggi culmina l'opera di Pirandello, e, pur non lesinando critiche, Tilgher le rendeva più che sopportabili definendo, « malgrado gli errori », il dramma « il più forte tentativo fatto finora in Europa di realizzare scenicamente un processo tutto interiore di stati d'animo » ecc.B Pirandello «fu abbagliato » (Giudice) dal brillantissimo e captante saggio di Tilgher, anche se il suo entusiasmo non poteva fargli accettare senza riserve una interpretazione che l'avrebbe costretto a rifare di sana pianta gran parte della commedia. Tnvece cercò, come vedremo, di adattarsi come meglio poteva alle indicazioni di Tilgher, di rimediare agli « errori di costruzione ».

L'analisi tilgheriana dei Sei Personaggi è ripudiabile in blocco, ma, come il resto del suo studio, molto interessante e ingegnosa. Considera il dramma la traduzione scenica del lavoro creativo di uno scrittore ; dopo la tumultuosa agitazione del primo atto che risponde all'iniziale disordine, « naturale », nella mente dell'artista, la commedia si sarebbe dovuta sviluppareverso il superiore equilibrio, la forma perfetta dell'arte. Ma la commedia non fa questo, e Tilgher si vedeva quindi costretto a criticare



5: Non è stato possibile per il presente studio utilizzare anche la seconda ed., deT '23, comunque posteriore al saggio di Tilgher.

6: La prima ed. uscì, sec. la pref. della seconda, «a fine novembre 1922», m3 almeno una parte degli esemplari portano la data del 1923. Le correzioni» numerose, dall'una all'altra ed. non sono del tutto insignificanti.

7: Giustamente definito dal Bragaglia « il Castelvetro » di Pirandello. L'ltalia lett.y 3-7-1932.

8: Tilgher, 2. ed. p. 212. I Sei Personaggi sono esaminati in § 30, di sfuggita in § 19.

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severamente il secondo e il terzo atto con argomentazioni che in qualche modo appoggiassero la sua costruzione. Non gli poteva riuscire, e il fatto che Pirandello, nei limiti del possibile, cercò nondimeno di conformareil suo capolavoro ai dettami del saggio, testimonia eloquentementedella troppa ammirazione che sentiva per Tilgher. Nessun'altra analisi tilgheriana ha forse più il carattere di camicia di forza che quella ricavata dai Sei Personaggi.

I. Tilgher presenta tre obiezioni principali alla struttura del dramma. In primo luogo accusa l'autore di avere introdotto « un dualismo che vizia intimamente la commedia », in quanto « inconsciamente, dei personaggi, che, ricordiamoci bene, sono fantasmi artistici più o meno realizzati, fa degli esseri reali, li trasferisce dal piano della fantasia sul piano della vita vissuta ». Nelle pagine precedenti abbiamo visto, che Pirandello cerca con grande impegno di sottrarsi a questa critica con una serie di ritocchi che favoriscono proprio la trasformazione dei personaggi in esseri non umani. Questa tendenza, una delle due decisive riscontrate a fondamento delle varianti in e.r., deriva senza dubbio da Tilgher, ma non mancano d'altra parte spunti polemici. Nella didascalia per l'ingresso dei personaggi è detto che essi sono « realtà create », non « fantasmi » - l'espressione di Tilgher, ma è questione di parole. La polemica non si spiega soltanto con una comprensibile ribellione psicologica, è basata anche sull'impossibilità, di cui sopra, di accettare in toto l'interpretazione tilgheriana.

Le maschere sono un'altra conseguenza della lettura di Tilgher, soprattutto del § 19 del saggio, intitolato « Opposizione dell'individuo e della costruzione che ne hanno fatto gli altri: Sei personaggi in cerca d'autore » ecc. All'inizio del § si analizza la maschera che la figliastra avrebbe imposta al padre, inchiodandolo alla colpa dell'incontro da madama Pace. La maschera che ognuno si da, quelle affibbiate dagli altri e le centomila possibili, è un caposaldo filosófico del saggio di Tilgher, importante anche per Pirandello, non però in misura tale da costituire la base dei Sei Personaggi, in cui l'uso delle maschere non sarebbe giustificabile. Í personaggi non sono riducibili alle maschere cui Pirandello giunse soltanto nel '25, spinto dagli schemi tilgheriani.

11. Un secondo rimprovero di Tilgher alla composizione del dramma: riteneva che la rappresentazione dei personaggi fosse fallita e tacciava perciò la fine di completa assurdità. Il fallimento era, a suo giudizio, un errore dell'autore, giustificato con cause insufficienti quali la resistenzadel figlio a participare e l'inettitudine del capocomico. Argomentazioneincredibile

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tazioneincredibilee Pirandello non poteva seguire Tilgher senza fare un'altra opera eccetto il primo atto. Però, continuando un ideale dialogo con il suo critico-guida, da una parte gli venne incontro, dall'altra rafforzò e chiarì dove pensava che Tilgher avesse frainteso. Sulla resistenzadel figlio insiste meno, dando spicco invece all'inevitabilità della sua partecipazione, cfr. la scena in cui vuole andar via e non può, sviluppatissima rispetto a p.e. Così si smentisce che la mancata adesione del figlio abbia provocato il fallimento.

In altro modo è chiarito questo punto: con la battuta del figlio, al capocomico, che non può rappresentare il loro dramma, smetta quindi di farsi illusioni. Con queste parole Pirandello aderisce fondamentalmente a Tilgher, accettando cioè che « Sei Personaggi » sono il dramma della creazione artistica e quindi fantasmi, realtà create i protagonisti. Ma si tratta di una creazione artistica rifiutata dall'autore e l'artificio di sostituirlo con il capocomico è predestinato a fallire, perciò le citate parole del figlio e il rafforzamento della fine, in discordia con Tilgher. È dubbio che l'autore abbia colto bene il nucleo della sua opera; la critica non ha mai seguita la sua interpretazione (ma tanto meno quella di Tilgher).

111. Anche sul terzo punto Pirandello faceva concessioni. Dice Tilgher che i personaggi « hanno la totale visione » del loro destino generando confusione perche cercano di evitarlo. Non ci riescono, perché l'unità dell'opera d'arte è intoccabile, ma « questo motivo andava svolto più profondamente e messo in maggior rilievo ». Così fa Pirandello, accentuando l'inevitabilità dei fatti. Volenti o nolenti la madre e il figlio partecipano. - E gli accenni alla consapevolezza dei personaggi diminuiscono in e.r., come le anticipazioni della fine, ricordiamo lo spostamento della scena che dall'inizio del secondo si trasferisce alla fine del terzo atto.

« Si aggiunga che il terzo atto, in fondo, non fa che piétiner sur la
piace del secondo e ...» : Pirandello toglie dal terzo due lunghe scene
di carattere filosófico, aggiungendo quello vivissimo del secondo.

Una delle idee di Tilgher che Pirandello accoglie tutta, è la classificazionedei personaggi secondo il grado di elaborazione. Il padre e la figliastra, secondo Tilgher, « sono vicinissimi alla perfetta e compiuta realizzazione artistica », la madre è invece « natura bruta, impressione di vita », il figlio è realizzato liricamente e perciò non vuole partecipare, gli ultimi due sono mere presenze. In seguito Pirandello toglie ogni segno di vita dal giovinetto, e la scomparsa della scena madre-figlio

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all'inizio del 2. atto va vista nella medesima prospettiva. Il dialogo madre-figlio ha un carattere riflessivo, contiene i loro pensieri sui fatti che li coinvolgono, ma una simile manifestazione non si accordava con lo schema di Tilgher che vieta alla madre di ragionare e al figlio di partecipare. - Non tutte le contraddizioni si potevano togliere: il grido della madre nel 2. atto, « No, avviene ora, avviene sempre! » e il seguito, dimostrano chiaramente che la madre non è solo natura bruta, si rende conto della sua situazione.

5. La Prefazione dei « Sei Personaggi » . Conclusione

All'ed. del '25 Pirandello fece una prefazione, documento di straordinario interesse di cui sarebbe desiderabile un'analisi dettagliata. Se l'interpretazione dei Sei Personaggi è stata incerta fino ad oggi, la colpa ne ricade in non piccola parte sulla prefazione, paradossale e contraddittoria, inadatta come guida alla lettura. - L'influenza di Tilgher è evidentissima, daremo qualche rapido cenno.

L'ultimo tratto esaminato nel capitolo precedente è molto sviluppato nella prefazione: la classificazione dei personaggi secondo il grado di compiutezza. Tilgher ritiene che i personaggi rappresentino o dovrebbero rappresentare la storia di un processo di creazione interiore, quindi trasforma la diversa caratterizzazione psicologica dei protagonisti in una graduatoria dei livelli di elaborazione artistica. E Pirandello resta vittima di questa brillante ¡dea che, nel dramma com'è e non come lo voleva Tilgher, non ha alcun senso. Il lettore non può fare a meno di sorridere, quando Pirandello si da da fare per illustrare il significato di questa graduatoria, della cui esistenza si è ormai convinto9. Dice, ancora stupito egli stesso, che «... infatti ! Dovevano proprio apparire ciascuno in quello stadio di creazione raggiunto nella fantasia dell'autore al momento che questi li volle scacciare da sé »; poco più in là spiega tutto: «... le ragioni che io dirò per chiarirne i valori [della commedia] non siano intese come intenzioni da me preconcette quando mi accinsi alla sua creazione . . . ma solo come scoperte che io stesso, poi, a mente riposata, ho potuto fare. » Aggiungi : leggendo gli Studi sul teatro contemporaneo.

- Compaiono nella prefazione anche i concetti forma-vita, relativismo
della personalità ecc.



9: La prefazione in ed. Mond. pp. 57-68; cit. p. 61

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Non mancano studi dedicati ai rapporti fra Pirandello e Tilgherlo, ma non c'è nessuno di carattere sistematico e esauriente. Bisognerebbe affrontare ex novo la questione che è molto importante. Innanzitutto è necessario stabilire l'incidenza nell'opera pirandelliana anteriore al 1922 dei termini forma-vita. Azzardiamo l'ipotesi che sia molto scarsa. Pirandello parla, sì, di forma e vita, e Mattia Pascal è esempio di un uomo costretto a tornare alle pur odiate forme che con gioia aveva abbandonato: sono l'unica esistenza possibile. Ma la terminologia è lontanissima da Tilgher a questo punto, « vita » come la intende Tilgher non c'è nel romanzo. - Prescindendo dal teatro, nel saggio troviamo soltanto pochissime novelle, posteriori al primo decennio del secolo, citate dal Tilgher a sostegno dei propri termini; Sciasela aggiunge un'indicazione del 1918. Comunque sia, stabilita l'entità del binomio prima del 1922, i risultati vanno misurati su quanto si potrà trovare in seguito. Sarà probabilmente molto, ma allo stato attuale degli studi non si può sapere quanto, né è possibile precisare in quale periodo. La ricerca si farà su un doppio binario : nel materiale nuovo, posteriore al '22, e nelle numerose riedizioni.

Del secondo gruppo abbiamo dato un esempio con l'analisi delle varianti dei Sei Personaggi che mostrano la forte utilizzazione da parte del Pirandello dei suggerimenti del suo maggior critico. A completamento della ricerca bisognerebbe rispondere alla domanda, se l'influenza di Tilgher, « maio consigliere » (Giudice), è stata soltanto negativa e fino a che punto, se cioè, nel caso dei Sei Personaggi, la versione del '25, e in grado minore quella del '24, sia migliore, peggiore o semplicemente diversa rispetto a quella del '21. A questo punto è necessario, evidentemente, tenere conto delle varianti non derivate da Tilgher - tutta la parte tecnico-spettacolare. Per un giudizio qualitativo di questo genere è però indispensabile una interpretazione complessiva, e l'abbiamo per questo motivo evitato nel presente studio.

Jorn Moestrup

FIRENZE



10: Giudice cit., pp. 386-400, L. Sciascia: Pirandello e la Sicilia, S. Sciascia ed., Caltanissetta 1961, pp. 91-114, F. Rauhut: Das junge Pirandello, C. H. Beck, Munchen 1964, pp. 416-19.